lunedì 31 agosto 2009

Il gioco dello scambio

Dal Sito L'Antefatto
del 31 agosto 2009

di Furio Colombo
(Parlamentare PD)


Invece della tediosa indicazione a fare qualcosa di “bipartisan” (una formula saldamente fondata sulla resa dell’opposizione seguita dal voto congiunto per ciò che propone-impone la maggioranza) vogliamo avanzare l’idea dello scambio. Potrebbe dare luogo a un vivace sparigliamento che da un lato animerà il cupo e depresso silenzio dei due rami del Parlamento (mai scambiare per partecipazione di tutti alla politica il fitto cicaleccio di 3-4 voci per parte). Dall’altro renderà meno bizzarramente arlecchineschi i due schieramenti. Entrambi esibiscono vistose diversità in ciò che credono, in ciò che vogliono, in ciò per cui intendono battersi , diversità che sono vere e proprie spaccature.
Esempio: Gianfranco Fini ha appena finito di esortare i deputati a non accettare senza discussione la legge Calabrò sul testamento biologico appena approvata dal Senato (goliardica trovata Quagliarello-Ratzinger per cancellare il testamento biologico con la stessa legge che lo istituisce) e subito il deputato PD Enzo Carra dichiara: a) di respingere ogni cosa detta da Fini sulla libertà e l’impegno che devono avere i parlamentari per non apparire reclute di una caserma; b) di dare tutta la sua adesione al messaggio di sottomissione al papa-re del presidente del Senato Schifani, cattolico di stretta osservanza berlusconiana; c) di ignorare l’esortazione di Fini a fare del Parlamento un luogo di libero e aperto discorso politico per rendere onore, invece, a Tony Blair, festeggiato come un santo al meeting CL di Rimini, raggiunto dalla grazia dopo aver sostenuto, reso possibile e protratto per anni la guerra in Iraq (torture incluse) senza alcun pentimento.
Non sarebbe una bella idea scambiare l’indignatissimo Carra con Flavia Perina, deputata Pdl e per giunta direttore del quotidiano Il secolo d’ Italia, un giornale spesso originale e coraggioso? Sentite la Perina: “La legge sul testamento biologico così come ci arriva dal Senato non è adeguata a regolare questo tipo di temi. È giusto che se ne discuta. L’unica cosa che non può esistere è il reato di lesa maestà”. Lo scambio potrebbe avvenire in modo discreto lungo una linea di frontiera stabilita dai deputati questori della Camera. Carra potrebbe essere consegnato a monsignor Fisichella, che ne verificherà la vita e le opere. La Perina si autotutela da sola.
Ammettete che lo scambio è una bella tentazione. Che cosa ne direste di consegnare ai ministri Brunetta e Sacconi i leader sindacali Cisl e Uil in cambio di una sola attivissima sindacalista – Renata Polverini – che ha spesso da dire la cosa giusta al momento giusto? Se devi batterti per i diritti dei lavoratori è necessario avere almeno uno straccio di idea, un minimo di visione. Urge scambio. E segue elenco.

Gheddafi contro Gerusalemme "Dietro i conflitti in Africa c'è Israele"

Dal Quotidiano La Repubblica
del 31 agosto 2009


TRIPOLI - Il leader libico Gheddafi si scaglia contro Israele: "Dietro tutti i conflitti in Africa c'è Israele". Al vertice dell'Unione Africana a Tripoli, il Colonnello punta l'indice contro Gerusalemme: "E' Israele che alimenta le crisi in Darfur, nel Sud del Sudan e in Ciad. Lo fa per sfruttare le ricchezze di quelle aree. Chiedo alle ambasciate israeliane di lasciare l'Africa".
Nel giorno dei festeggiamenti per il 40esimo anniversario della rivoluzione verde, Muammar Gheddafi prende la parola sotto la tensostruttura allestita sul lungomare di Tripoli davanti a venti capi di Stato africani tra cui anche il presidente sudanese Omar Al-Bachir, ricercato dal Tribunale penale internazionale dell'Aja per crimini di guerra e contro l'umanità.
Parla in qualità di presidente dell'Unione africana Gheddafi, e lo fa senza usare giri di parole. Ma da Gerusalemme non tarda la risposta, altrettanto dura ed esplicita. "Quel circo equestre itinerante che è Gheddafi - ha detto il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Yigal Palmor - è divenuto da tempo uno show tragicomico che imbarazza chi lo ospita e la nazione libica che ne paga il conto".
Palmor ha proseguito: "Mi chiedo se vi sia ancora qualcuno al mondo che prende seriamente ciò che dice quest'uomo. Noi comunque siamo certi che nessuno stato darà peso alle azioni teppistiche di questo bulletto".
Israele ha dieci ambasciate in Africa e nei prossimi giorni il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha in programma di cominciare un viaggio in diversi stati africani - il primo di un capo della diplomazia israeliana dopo molti anni - con l'intento di rafforzare le relazioni con questo continente.
Il summit dell'Ua cerca un accordo per offrire al governo di transizione somalo un forte sostegno che possa migliorare la sicurezza nel Paese. I leader discuteranno anche della guerra nel Darfur valutando la possibiltà di un rafforzamento delle missioni di peacekeeping. Infine saranno affrontate le situazioni politiche attuali in Guinea e Madagascar, Paesi in cui ci sono stati colpi di Stato condannati dall'Ua.

Il video dello show di Berlusconi sulla (sua) televisione tunisina: "La mia tv vi porterà libertà e democrazia"

Dal Blog di Daniele Sensi
del 28 agosto 2009

di Daniele Sensi
(Giornalista)



Berlusconi su Nessma TV (prima parte)



Berlusconi su Nessma TV (seconda parte)




Lo scorso 18 agosto Berlusconi è stato in visita privata a Tunisi.
La mattina un incontro con il presidente Ben Alì, e nel pomeriggio la partecipazione a Ness Nessma, programma di Nessma TV, la televisione satellitare tunisina acquisita, lo scorso anno, per il 50 per cento, da Mediaset e da Quinta Communications, società di produzione di Tarak Ben Ammar di cui è socio di rilievo anche il gruppo Fininvest e nel cui capitale, alla fine di giugno, è entrata, tramite la Lafitrade, pure Tripoli (ai più maliziosi basterà questo solo dato per comprendere la ratio della politica mediterranea dell’attuale governo…).
Tra un ricordo commosso del viaggio in Libia (“un evento storico e coraggioso”, lo ha definito il conduttore), ed una breve dissertazione su quello che è il ruolo della televisione e su quanto di buono ("libertà e democrazia") la (sua) televisione potrà portare alla gente del Nord Africa (“Crede che Nessma TV sarà capace di cambiare il volto del Maghreb così come le sue televisioni già hanno fatto con quello dell’Italia?”, gli chiedeva la co-conduttrice), ospite della tv tunisina Berlusconi ha parlato anche di immigrazione. Con un discorso evidentemente non concordato con il ministro Maroni. Perché se in Italia il presidente del Consiglio ha bisogno di assecondare, sul tema, la propaganda leghista, dall’altra parte del Mediterraneo l’uomo d’affari Berlusconi ha un mercato di 80 milioni di telespettatori da conquistare. Spettatori che hanno quindi potuto apprendere di come la politica del governo italiano sia tesa ad “aumentare i canali di ingresso legali” e a garantire, ai migranti, “casa, lavoro, istruzione” e -udite udite- “l’apertura di tutti i nostri ospedali alle loro necessità”, perché “pure gli italiani sono stati emigranti, e quindi devono aprire il loro cuore a chi oggi viene in Italia”.
Di seguito il video della trasmissione. L’ho tradotto e sottotitolato in italiano, affinché anche voi possiate scoprire che il pacchetto sicurezza in realtà non è mai esistito.

Il Times: "Stavolta ha esagerato E' troppo anche per il suo ego"

Dal Quotidiano La Repubblica
del 31 agosto 2009

di Enrico Franceschini
(Giornalista)



LONDRA - Il commento più significativo trai servizi di oggi della stampa internazionale sul caso Berlusconi è un editoriale sul Times di Londra, firmato da James Walston, dicente di relazioni internazionali alla American University di Roma. "Nel lanciare i suoi mastini all'attacco contro i pochi media di opposizione che rimangono", scrive il professor Walston, "stavolta il premier italiano ha esagerato, mordendo più di quello che poteva digerire: la Chiesa cattolica e una coalizione di giornali italiani e stranieri sono troppo anche per lo smisurato ego di Berlusconi".

L'articolo ricostruisce gli ultimi sviluppi, la denuncia per diffamazione contro Repubblica e vari organi di stampa internazionali, l'attacco del Giornale di Feltri al direttore dell'Avvenire, le crescenti tensioni tra il Vaticano e il capo del governo, e i precedenti mesi di rivelazioni e polemiche, la richiesta di divorzio di Veronica Lario, le serate con veline ed escort a Villa Taverna e Palazzo Grazioli. "In un mondo più semplice e diretto, Berlusconi avrebbe dovuto dimettersi già da tempo", afferma l'editorialista del Times. "Ma egli è la risposta dell'Europa al Chavez del Venezuela, un populista che alternativamente minaccia e seduce per conquistare il potere e smantellare ogni tipo di opposizione".

Walston asserisce che Berlusconi resta popolare grazie al controllo sui media nazionali, grazie all'immunità che ha fatto approvare dal Parlamento, grazie ai limiti che ha posto all'opposizione istituzionale, come i poteri del presidente della Repubblica e della magistratura, e grazie alle divisioni interne dell'opposizione politica. Tuttavia, conclude, oggi il premier appare diviso tra "il ridicolo e la megalomania", come "un uomo che ha perso il controllo" e che, pur essendo tra i più ricchi e potenti del mondo, "sembra deluso e frustrato".

Il motivo potrebbe essere che "nessun ammontare di ricchezza può renderlo più giovane o più bello, né può costringere il Vaticano ad accettarlo, né può dargli l'influenza di Sarkozy, della Merkel o di Brown, né può conferirgli lo status che avevano gli Agnelli". In più, "vari medicamenti" potrebbero pesare sul suo comportamento e le sue "smorfie allegre non riescono a celare la rabbia". La resa dei conti, prevede il docente dell'American University, verrà probabilmente in autunno, "quando nessuna manipolazione potrà nascondere gli errori della conduzione economica del suo governo, la disoccupazione e le difficoltà per le quali egli è largamente responsabile".

Un ampio articolo sul caso Berlusconi appare stamani anche su El Pais, un altro dei quotidiani europei contro cui gli avvocati del premier hanno minacciato causa per diffamazione. Il quotidiano spagnolo torna sul tema con una lunga intervista al governatore della Puglia, Niki Vendola, "omosessuale, cattolico e comunista". Nell'intervista, Vendola critica la "cultura dei figli di papà che formano la nuova cupola della criminalità" e si scaglia contro "un establishment islamofobico, omofobico e machista, degna di una repubblica islamica, l'India sta meglio di noi". Infine il governatore della Puglia afferma che il modo in cui la Rai e in particolare il primo canale ha seguito la vicenda Berlusconi "grida vendetta", definendolo "un giornalismo delinquenziale".

Tra gli altri numerosi articoli che appaiono sulla stampa straniera, degni di nota un servizio sul francese Figaro, che parla "dell'aggravarsi dello scontro tra Berlusconi e la Chiesa", osservando che "non ci saranno indulgenze" per il presidente del Consiglio; uno dello spagnolo La voz de Asturias, che parla dei dissidi fra Palazzo Chigi e il Quirinale sulle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell'unità d'Italia; e uno sul britannico Independent, che rileva come Berlusconi sarà "il solo leader dell'Unione Europea" a partecipare ai festeggiamenti per il quarantennale del colpo di Stato che portò al potere Gheddafi in Libia.

Il teologo progressista, il papa reazionario e l’odio per l’umanesimo ateo

Dal Quotidiano Il Manifesto
del 23 agosto 2009

di Paolo Flores D'Arcais
(Direttore di Micromega)


L'anatema di Ratzinger, sostenuto dal teologo Mancuso, ripropone l'equazione tra umanesimo ateo e nichilismo. Confutazione di una tesi che rifiuta le radici della modernità.

Vito Mancuso ha portato il suo prezioso sostegno di teologo progressista (e perfino in odore di eresia) all'ennesima offensiva di Papa Ratzinger contro la modernità nata dall'illuminismo, il cui peccato originale - capitale e inescusabile - è indicato dal Pastore tedesco nella pretesa dell'uomo alla autonomia. Questa pretesa, in effetti, è la carta d'identità dell'illuminismo, il suo tratto essenziale: autos nomos, darsi da sé la propria legge. In questo orizzonte risuona poi il "sapere aude!" di Kant, e la ragione come tribunale supremo anche di ogni fede. Contro questa pretesa, che è a fondamento anche della democrazia liberale, come è ovvio (visto che essa poggia sulla sovranità dei cittadini, non su quella di Dio) si è rinnovato nei giorni scorsi lo sguaiato "vade retro Satana!" di Benedetto XVI. Il suo anatema, che coinvolge democrazia e modernità. E che Vito Mancuso ha deciso di spalleggiare.
Papa Ratzinger ovviamente non prende di petto democrazia e modernità, bensì le demonizza obliquamente, a partire dall'equivalenza che prova ad instaurare tra umanesimo ateo e nichilismo (e poi tra nichilismo e nazismo, ma su questo il teologo progressista si dissocia, benché proprio su questo il ragionamento di Ratzinger diventi semmai logico).

L'evoluzione non ama il mistero
Qui ci interessa la difesa filosofica che Mancuso imbastisce della prima equazione ratzingeriana, tra umanesimo ateo e nichilismo. Mancuso definisce nichilismo "la negazione di un fondamento razionale ed eterno della natura e della storia" cioè dell'essere nella sua totalità, fondamento "comunemente chiamato Dio", come giustamente sottolinea. Ma un tale fondamento non ha bisogno di essere negato, semmai deve essere dimostrato. L'onere della prova spetta a chi lo afferma, per negarne l'esistenza è sufficiente che tale prova non venga offerta, al di là di ogni ragionevole dubbio.
In altre parole: che l'evoluzione dell'universo dal big bang ad oggi, e poi la nascita della vita in quel frammento di sputo di una dei pianeti di uno dei miliardesimi soli di una delle infinite galassie, e poi il suo evolvere dai protozoi a quella scimmia bizzarra la cui neocorteccia apre la cogenza degli istinti ad una ampiezza e contraddittorietà di comportamenti..., che tutto questo sia razionale, cioè dovesse avvenire proprio come è avvenuto, anziché essere il frutto della contingenza (quello che Monod riassumeva nello splendido titolo del suo capolavoro: il caso e la necessità) non è cosa che vada da sé. Confligge, anzi, con tutti i dati empirici di cui disponiamo. Di modo che va dimostrata da chi la sostiene, contro le "apparenze" che ci dicono esattamente il contrario. Il che significa dimostrare che al di sotto di tali "apparenze" agisce una entità invisibile che indirizza questo apparente caos verso uno scopo, che anima il cosmo e la storia verso il suo culmine, che è l'amore - attraverso l'amore. Come sostiene Mancuso concludendo il suo articolo.
E' dimostrabile questa razionalità, questo finalismo, questo anelare all'amore (le tre cose, si faccia attenzione, per Mancuso sono indisgiungibili e si chiamano spirito) che dovrebbe informare l'intero corso del cosmo e infine dell'intera avventura di homo sapiens? No. Non si può dimostrare. Si può credere, volendo. Per fede, e contro ogni ragione.
Sotto il profilo filosofico non si può neppure ipotizzarlo, infatti. A proibirlo non è un qualche fanatismo ateo ma la scoperta filosofica di un religioso francescano di parecchi secoli fa, Guglielmo di Occam, che segna un caposaldo cruciale nella storia del pensiero, e stabilisce che non si debbano avanzare ipotesi esplicative aggiuntive (inevitabilmente di tipo metafisico occultistico) quando di un insieme di fenomeni abbiamo già una spiegazione adeguata.
E' proprio il nostro caso. Alla conoscenza scientifica sfugge per ora solo quel fantastiliardesimo di secondo che precede il big bang. Per il resto, "sappiamo tutto". E i meccanismi darwiniani dell'evoluzione della vita su questa terra (ovviamente aggiornati e perfezionati dai successivi studiosi darwiniani, fino ad oggi) hanno spiegato perfettamente tutte le differenze che zoologia e botanica ci squadernano, e tutte le testimonianze fossili delle specie estinte. E continuano a farlo, e sono puntualmente confermati dai nuovi rilievi che la scoperta del dna ha consentito e moltiplica. Non c'è dunque mistero alcuno sul come siamo venuti al mondo, e introdurre questo benedetto "Spirito" nelle vicende del cosmo e dell'evoluzione non le rende più intelligibili, le complica e oscura, spaccia "mistero" dove vi è già conoscenza.

Cittadini autonomi non sudditi
Ma, ammonisce Mancuso in perfetto sincrono teologico con Ratzinger, se rinunciamo a questo "fondamento razionale ed eterno dell'essere, comunemente chiamato Dio" precipitiamo nell'abisso di "idiozie, di odio e di morte" proprio in virtù (in vizio!) di quella pretesa all'autos nomos con cui l'uomo si sostituisce a Dio.
Questa è però - in primo luogo - la condizione umana ineludibile, se vogliamo essere razionali, cioè almeno non rifiutare le conoscenze scientifiche di cui disponiamo. In secondo luogo, come già richiamato all'inizio, l'autos nomos è la condizione perché si possa perfino parlare di democrazia, visto che fa tutt'uno con la sovranità dei cittadini (se essi dovessero obbedire ad una legge voluta da Dio non sarebbero sovrani, ma sudditi, obbedienti o disobbedienti, della Sua legge, per noi eteronoma). In terzo luogo, se anche facessimo "come se Dio ci fosse" le cose non cambierebbero affatto, e il rischio del nichilismo resterebbe tale e quale. Quale Dio, infatti? Solo a prendere i tre monoteismi, le morali eterne e trascendenti che il Dio unico ha stabilito prevedono un matrimonio divorziabile (Jhavè), un matrimonio indissolubile (Gesù), un matrimonio con quattro mogli (Allah). Se poi allarghiamo all'intera storia del Sacro, troveremo norme che impongono come dovere etico-religioso l'antropofagia, i sacrifici umani, la tortura dei prigionieri, l'infanticidio, l'incesto... Lo aveva notato già il cristianissimo Blaise Pascal (o è anche lui un ateo nichilista?), sottolineando la vanità della pretesa di individuare con la ragione una morale naturale (anche per questo chiedeva di scommettere per la fede).
Il fatto è che Dio o il Sacro parlano sempre e solo attraverso la voce di uomini, i quali hanno proclamato legge eterna e trascendente le norme più diverse e tra loro incompatibili. E la cosa non cambia affatto se al posto di Dio mettiamo una maiuscola Ragione (quella cui fa riferimento Mancuso). Prendendola per esistente, io considero morale (cioè obbediente a tale Ragione) che un individuo condannato a morte dalla malattia e la cui condizione sia ormai di tortura, abbrevi tale tortura, perché disumana. Il cardinal Bagnasco considera invece che sia morale l'opposto, e che anche quella tortura vada vissuta "à bout de souffle", perché evidentemente umana, anziché disumana. Di più: come meta-etica (procedura per risolvere un conflitto etico) io sostengo che ciascuno abbia diritto a decidere sulla propria vita come preferisce, Bagnasco che la sua preferenza morale vada imposta a tutti.

Scelte di vita e di morte
Mancuso dovrebbe prendere atto che non se ne esce. Se per caso avesse ragione Dostoevskij, "se non c'è Dio tutto è permesso", sarà altrettanto vero il reciproco, che anche "se Dio c'è tutto è permesso", perché ciascuno può farsi interprete di Dio (o della Ragione metafisica, che ne è un surrogato) e attribuire a Lui la propria scelta morale. Con una differenza inquietante. Che se io avanzo come mia scelta morale l'eutanasia, non sarò tentato di imporla agli altri. Ma se spaccio una qualsiasi morale come Volontà/Ragione del Sacro mi verrà inevitabile e conseguente l'imporla a tutti, per il loro stesso bene (la Salvezza).
E tuttavia il rischio del nichilismo, sotto il profilo gnoseologico inaggirabile, sotto il profilo pratico non è affatto un destino (che sarebbe comunque comune, abbiamo visto, all'umanesimo ateo e ad ogni forma di Sacro). Ogni società è costretta a "decidere" un insieme di norme che ne regolino la vita e la riproduzione. Quali norme? Qualsiasi, purché funzionino. Ma sotto questo profilo (che ha dato luogo a infinite varianti di "idiozie, di odio e di morte"), la società democratica è particolarmente avvantaggiata. Ha "deciso" per l'eguale dignità di tutti i suoi cittadini, dunque per il loro eguale potere (almeno politico). Questa "decisione" fa tutt'uno con la democrazia perché fa tutt'uno con l'autonomia. Di tutti e di ciascuno. E' semmai la negazione di questo principio democratico in seno alle democrazie "realmente esistenti" che dà luogo alla fenomenologia di iniquità quotidiane richiamate da Mancuso a prova dell'odierno nichilismo. Ma da esse non sarà un qualche "Spirito" a salvarci, solo la democrazia presa sul serio. Se ne saremo capaci.

SUL FINE-VITA NON SI FIATA. IL VATICANO CENSURA

Dal Sito Adista
del 31 agosto 2009

di Luca Kocci
(Giornalista)


Un’intimidazione con pochi precedenti quella appena avviata dal Vaticano contro 41 preti e religiosi che poco più di cinque mesi fa firmarono un appello “per la libertà sul fine-vita” promosso dalla rivista MicroMega dopo la morte di Eluana Englaro e durante la discussione al Senato del disegno di legge sul testamento biologico, poi approvato lo scorso 26 marzo (v. Adista n. 37/09).
Ad agosto – riferiscono ad Adista fonti vaticane – sarebbe infatti partita dalla Congregazione per la Dottrina della Fede una lettera indirizzata ai vescovi diocesani e ai superiori provinciali dei 41 preti e religiosi contenente un ordine preciso: convocare i sacerdoti per richiamarli all’ordine ed eventualmente punirli. La libertà di pensiero e di espressione, secondo la Santa Sede, la colpa dei firmatari che avrebbero dato la loro adesione ad un testo giudicato contrario alla dottrina cattolica, dal momento che ammette la possibilità di rifiutare alimentazione e idratazione. L’aggravante è che il testo è stato pubblicato su MicroMega, cioè una rivista in ritenuta in Vaticano laicista ed anticlericale. Il direttore del mensile, Paolo Flores D’Arcais, interpellato da Adista, reagisce così alla notizia dell’iniziativa vaticana: “Questa ennesima intimidazione contro la coscienza che a parole viene ritenuta sacra fa parte di uno smaccato scambio simoniaco tra la Chiesa e Berlusconi: anti-testamento biologico subito da una parte, ammorbidimento delle polemiche sui comportamenti pagani di Berlusconi dall’altra”.
Coscienza disidratata
“La legge sul testamento biologico che il governo e la maggioranza si apprestano a votare imprigiona la libertà di tutti i protagonisti coinvolti al momento supremo della morte”, si legge nell’appello ancora online sul sito internet di Micromega. “Definendo il nutrimento e l’idratazione forzati come cura ordinaria e obbligata e non più come intervento terapeutico straordinario, la legge annulla ogni possibilità di valutazione sull’accanimento terapeutico”. Prosegue il testo: “La morte è un appuntamento naturale a cui tutti siamo chiamati; per i credenti poi è il vertice della vita vissuta, la soglia che introduce all’eternità. La decisione di porre fine ad una parvenza di esistenza è di pertinenza esclusiva della persona interessata che ha il diritto di esporla preventivamente in un testamento, oppure alla famiglia di concerto con il medico che agisce in scienza e coscienza. Con la forza della ragione e la serenità della fede ci opponiamo ad un intervento legislativo che mortifichi la libertà di coscienza informata e responsabile in nome di principi che non sono di competenza dello Stato e tanto meno di un governo o di un Parlamento che agiscono in modo ideologico sull’onda emotiva e la strumentalizzazione di una dolorosa vicenda (Eluana Englaro). Come credenti riteniamo che chiunque come è stato libero di vivere la propria vita, così possa decidere anche di morire in pace, quando non c’è speranza di migliorare le proprie condizioni di esistenza umana”.
A firmare il documento, don Paolo Farinella, don Vitaliano della Sala, don Enzo Mazzi, don Raffaele Garofalo, p. Fausto Marinetti, don Andrea Tanda, don Ferdinando Sudati, don Adolfo Percelsi, don Giovanni Marco Gerbaldo, don Pierantonio Monteccucco, don Chino Piraccini, don Marcello Marbetta, p. Tiziano Donini, don Aldo Antonelli, don Roberto Fiorini, don Luigi Consonni, don Angelo Cassano, don Renzo Fanfani, don Nicola De Blasio, don Guglielmo Sanucci, p. Benito Maria Fusco, p. Pierangelo Marchi, don Paolo Tornambè, don Carlo Sansonetti, don Franco Brescia, don Carlo Carlevaris, p. Nino Fasullo, don Andrea Gallo, don Angelo Bertucci, don Alessandro Santoro, don Giorgio De Capitani, don Francesco Capponi, don Alessandro Raccagni, don Salvatore Corso, don Riccardo Betto, don Albino Bizzotto, don Sandro Artioli; inoltre dom Giovanni Franzoni, don Franco Barbero e p. Gino Barsella, già dimessi dallo stato clericale (fra i firmatari ci sarebbe stato anche don Goffredo Crema che però, a metà agosto, ha scritto alla redazione di Micromega per ritirare la propria adesione).
L’iniziativa della Santa Sede nei confronti non di un singolo prete, ma di un intero gruppo rimanda a tempi lontani: restando all’Italia, alla battaglia referendaria per il divorzio del 1974 quando furono molti i preti schierati pubblicamente per il “No” a subire la sospensione a divinis (tra questi anche Giovanni Franzoni); oppure al 1989, quando vennero in vario modo puniti gran parte dei 63 teologi che firmarono una “Lettera ai cristiani” a favore di una attuazione più decisa del Concilio Vaticano II (insieme a don Vittorio Cristelli, direttore del settimanale diocesano Vita trentina che, solo per il fatto di aver pubblicato quella lettera, venne licenziato in tronco).
Le lettere della Congregazione per la Dottrina della Fede sono in viaggio. Si tratterà di vedere nei prossimi giorni come i vescovi e i superiori provinciali decideranno di intervenire sui preti e sui religiosi che si trovano sotto la loro giurisdizione.

Strani collegamenti tra il giallo del Circeo e la strage di piazza della Loggia

Dal Sito L'Antefatto
del 31 agosto 2009

di Elisabetta Reguitti
(Giornalista)


Chissà se oggi, da uomo libero, Gianni Guido risponderà alle domande sulla Strage di piazza della Loggia che alle 10 e 12 del 28 maggio 1974 provocò otto morti e oltre 100 feriti.
A unire il giallo del Circeo alla strage bresciana sarebbero le rivelazioni fatte da Ermanno Buzzi (neofascista bresciano condannato per la strage e poi ucciso in carcere nel 1981) allo stesso Gianni Guido quando entrambi erano reclusi nel carcere di San Gimignano (1977).
Era stato Angelo Izzo (altro autore del massacro del Circeo nel quale perse la vita Rosaria Lopez e riuscì a salvarsi, fingendosi morta, Donatella Colasanti) il 19 gennaio 1984 interrogato dal Procuratore della Repubblica di Firenze nell’ambito di un’indagine sugli attentati ferroviari avvenuti in Toscana, a parlare di quelle "confidenze": ovvero che la strage era stata effettivamente compiuta da un gruppo di fascisti bresciani (in stretto collegamento operativo con un gruppo milanese) e di cui lo stesso Buzzi faceva parte.
Si apriva così un altro capitolo nel grande buco nero dello stragismo che ha insanguinato il nostro Paese con in controluce, costantemente, il ruolo dei cosiddetti servizi segreti ”deviati”.
Nella città lombarda il 25 novembre 2008 nel frattempo è iniziato il processo di primo grado della quinta istruttoria. E forse questa sarà l'ultima occasione per ricostruire i fatti, non solo di Brescia, ma dell'intero quinquennio 69-74 da piazza Fontana all'Italicus.
Cosa significhi oggi il processo? 1000 testimoni e 800 mila pagine di atti istruttori. Centotrentacinque i testi non ammessi relativi tra l'altro anche alla strage di Piazza Fontana. Un dibattimento che si svolge al ritmo di due udienze ogni settimana (martedì e giovedì) e la decisione del procuratore Roberto Di Martino e del sostituto Francesco Piantoni di non sentire testimoni "illustri" come Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Emilio Colombo e Arnaldo Forlani.
Da 35 anni, però, ci sono donne e uomini che aspettano di sapere, non tanto forse il perché, ma chi progettò la strage. Sono i familiari di Giulietta Banzi Bazoli ( 34 anni insegnante), Livia Bottardi Milani (32 anni insegnante), Alberto Trebeschi (marito di Clem 37 anni docente), Clementina Calzari Trebeschi (per tutti Clem 31 anni insegnante), Luigi Pinto (25 anni insegnante), Euplo Natali (69 anni pensionato), Bartolomeo Talenti (detto Bartolo 56 anni armaiolo) e Vittorio Zambarda (60 anni) quel giorno in piazza per manifestare.
"Un processo che avviene a 35 anni dai fatti è la dimostrazione di un fallimento. La giustizia ha senso se ha tempi rapidi. Qui siamo di fronte a qualcosa che è quasi una ricerca storica" sostiene Manlio Milani presidente dell'Associazione Familiari Vittime della Strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 che un anno fa aveva inviato una lettera al ministro degli esteri Franco Frattini chiedendo l'intervento del governo presso le autorità argentine per chiarire le circostanze in cui si sono perse le tracce di un importante documento nel fascicolo che riguardava proprio Gianni Guido e le rivelazioni fatte, come dicevamo, da Ermanno Buzzi.
La vicenda era riemersa in una puntata della trasmissione di Rai Tre ''Chi l'ha visto?'' (16 giugno 2008) .
Ovvero: che l'allora giudice titolare dell'inchiesta Giampaolo Zorzi della Procura di Brescia, voleva interrogare Guido.
Tutto peraltro anche ricostruito nell'ordinanza del giudice istruttore di Milano Guido Salvini sull' eversione di estrema destra che portò anche all'inchiesta sulla strage di Piazza Fontana a Milano.
Nei documenti infatti emerge che quando venne reso noto il racconto di Angelo Izzo sulle rivelazioni fatte da Buzzi a Guido "il giudice istruttore di Brescia si era quindi subito attivato chiedendo alle autorità argentine mediante una rogatoria internazionale di poter interrogare personalmente Gianni Guido".
Il giudice di Buenos Aires, incaricato dell'organizzazione della rogatoria, aveva comunicato all'ambasciata d'Italia di Buenos Aires che l'interrogatorio avrebbe potuto aver luogo l'11 marzo (1985) ma pochi giorni prima di tale data il ministero degli esteri argentino aveva chiesto di differire l'interrogatorio in quanto non meglio identificate autorità italiane avevano comunicato che i magistrati bresciani non avrebbero potuto essere presenti per tale data". L'interrogatorio fu fissato al 23 aprile, ma proprio pochi giorni prima, il 4 aprile, Guido riuscì a scappare dalla prigione, anzi dall'ospedale Rocca di Buenos Aires, dove si trovava per "circostanze mai chiarite" ha scritto ancora Salvini.
Nessuno è mai riuscito a risalire a chi avesse chiesto di spostare la data dell'interrogatorio (depistaggio?) nel frattempo però Guido riuscì a fare perdere le proprie tracce.
Sparito anche il documento che rinviava l’interrogatorio e l’intero fascicolo del caso.
Chissà se oggi, da uomo libero, Gianni Guido risponderà a quelle domande.

Bassolino sindaco di Napoli? No Grazie

Dal Sito L'Antefatto
del 31 agosto 2009

di Vincenzo Iurillo
(Giornalista)


“E’ un valore aggiunto, anzi, ‘il’ valore aggiunto” dice l’europarlamentare Pd ed ex assessore regionale all’Agricoltura, Andrea Cozzolino. “E’ uno degli uomini politici di maggiore spessore in Campania” afferma il vice sindaco di Napoli, Tino Santangelo. “Fra due anni potrebbe levarsi un appello in suo favore, del tipo salvaci tu”, ipotizza l’ex segretario napoletano dei Ds, Diego Belliazzi. Chi è il fuoriclasse che, secondo Cozzolino, Santangelo e Belliazzi, avrebbe le carte in regola per candidarsi alla guida del Comune di Napoli per il dopo Iervolino e salvare il Pd e il centrosinistra partenopeo dal baratro? La risposta è Antonio Bassolino. Chi? Antonio Bassolino. Per caso è un omonimo del rinviato a giudizio per truffa aggravata ai danni dello Stato per il disastro spazzatura, la più grave catastrofe sanitaria dai tempi del colera? E’ un omonimo del governatore della Campania che ha gestito circa 13 miliardi di fondi europei, risorse che hanno prodotto un indice di occupazione locale inferiore a quello del 1994? E’ un omonimo del commissario straordinario dell’emergenza rifiuti condannato in primo grado dalla Corte dei conti a risarcire tre milioni e 300mila euro per gli sprechi del carrozzone ‘Pan’? E’ un omonimo del governatore che promise a Veltroni che si sarebbe fatto da parte una volta usciti dalla fase acuta della crisi-monnezza?
No, non è un omonimo. E’ proprio lui. Ha 63 anni, è stato dirigente del Pci, ministro del Lavoro con D’Alema, due volte sindaco di Napoli dal 1993 al 2000 e due volte presidente della Campania dal 2000 ad oggi. Il mandato di Palazzo Santa Lucia scadrà nella primavera del 2010, ma non pare intenzionato a ritirarsi a vita privata. E per blindarsi in Regione ha trascorso gli ultimi mesi a nominare in giunta, nella sanità e in ruoli chiave di palazzo numerosi fedelissimi napoletani – e solo napoletani - a lui vicini dal 1993. L’anno in cui avvenne un cambiamento nella Napoli della Banda dei Quattro, stritolata dalla voracità tangentista dei boss della Prima Repubblica. Grazie a Bassolino in fascia tricolore, infatti, prese il via una stagione bella e breve, forse sopravvalutata, ma che ha avuto il merito di recuperare l’orgoglio di appartenere alla città del Vesuvio, un orgoglio smarrito negli anni successivi, seppellito sotto montagne di sacchetti neri.
Con la recente mitragliata di incarichi Bassolino ha recuperato affianco a sé alcuni dei protagonisti del ‘Rinascimento Napoletano’. Si è così arroccato nel passato per assicurarsi un futuro. Obiettivi a breve termine: finire il mandato in scioltezza e far decollare la sua fondazione, Sudd, con la quale dialogare coi governatori del mezzogiorno e con D’Alema. Poi, chissà. Nel frattempo, ha costretto al silenzio gli antibassoliniani. Il cui campione, Luigi Nicolais, è stato bastonato a sangue alle elezioni provinciali di Napoli dal pidiellino Luigi Cesaro. Nelle stesse ore in cui il bassoliniano doc Andrea Cozzolino veniva eletto trionfalmente a Strasburgo. “Alle politiche 2008 e alle recenti provinciali è stata sconfitta un’idea del ruolo del Pd, quella per cui più si stava lontani da Bassolino meglio era – commenta il neo assessore regionale Gianfranco Nappi, più bassoliniano di Bassolino – una linea nazionale che è stata interpretata da Veltroni e Nicolais, persone che stimo molto, ma è pur vero però che è successo quel che è successo….”. Insomma, se fino a ieri Bassolino era indicato come la malattia del Pd, oggi qualcuno lo vorrebbe prescrivere come medicina.
Il pezzo di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, che ha rilanciato i boatos sul ritorno di Bassolino a Palazzo San Giacomo, ha dato il via a un dibattito sulla stampa locale a tratti surreale, dove la memoria di quel che è accaduto annega in un mare di chiacchiere. Si comprende comunque che la nuova forza del Governatore deriva dall’impressionante carenza di autorevolezza dei suoi rivali interni, in un partito inchiodato in eterno allo scontro tra pro e contro Bassolino. E proviene anche dalla collezione di sconfitte dei democrat campani. Che in un solo colpo hanno perso le province di Napoli, Salerno e Avellino. Ma nel solo capoluogo partenopeo, ultimo baluardo bassoliniano, il Pd ha tenuto e si è mantenuto a una breve incollatura dal Pdl. E Bassolino ogni tanto ricorda di aver sempre condotto il centrosinistra alla vittoria. Ma forse ha ragione il sindaco di Ercolano Nino Daniele: “Se si candidasse ancora, sarebbe la dimostrazione che nel corso del suo lungo ciclo non ha costruito una nuova classe dirigente”.
Bassolino è ancora un leader. Però impera tra le macerie di una città e di una regione in crisi, piene di politici deboli e inconcludenti, nel centrosinistra come nel centrodestra. In un paese normale, dove si viene giudicati per i risultati, sarebbe stato costretto da tempo a fare un passo indietro.

Contro l’omofobia, la risposta delle leggi

Dal Blog di Luigi De Magistris
del 31 agosto 2009

di Luigi De Magistris
(Europarlamentare IDV)



Roma, Rimini, Napoli, ancora Roma. L’omofobia dilaga nel paese e in una sola settimana si susseguono gli episodi di aggressione alle coppie omosessuali, senza distinzione geografica, nella più assoluta continuità, dal Nord al Sud passando per il centro della penisola.
Con il disegno di legge che contrasta l’omofobia ancora perso nei meandri del Parlamento, con la legge sulle unioni di fatto cestinata nel dimenticatoio delle istituzioni e con la sessualità che diventa un’arma politica per delegittimare l’avversario: il direttore di Avvenire colpito dall’attacco de Il Giornale per le sue vicende private legate alla sua presunta omosessualità, quasi essere omosessuali fosse un motivo di vergogna e quindi uno strumento di delegittimazione, mentre si insinua il sospetto che esista una sorta di “schedatura” sulle abitudini intime e private delle persone, come pure in passato accadeva.
Il tutto in piena stagione securitaria, con il governo che ha militarizzato –almeno così sostiene Maroni- il paese, schierando esercito e ronde di volontari a tutela del territorio. Ma senza una cultura della tolleranza diffusa, come dimostrano le recenti aggressioni omofobe, non c’è militare o rondista che possa garantire la protezione collettiva.
A meno che il governo non pensi che agli omosessuali non debba esser garantita la stessa sicurezza che spetta alle giovani coppie eterosessuali che camminano per le strade del centro di qualsiasi città.
La politica è fatta di azioni simboliche, i rappresentanti istituzionali hanno il dovere di inviare messaggi di tolleranza, il Parlamento ha il compito di varare leggi che non discriminino i cittadini ma governino la realtà sociale in movimento garantendo i diritti di tutti.
Per questo è compito e al tempo stesso dovere della Camera e del Senato arrivare ad una legge sulle coppie di fatto, che ponga fine alla discriminazione esistente fra esseri umani di serie A e serie B, fra amori legittimi e illegittimi, fra scelte ratificabili davanti allo Stato o alla Chiesa ed altre confinate nel silenzio della non esistenza, del non lecito.
C’è poi un disegno di legge, prima firmataria on. Paola Concia del Pd, che punta ad introdurre l’aggravante della discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere nei reati contro la persona: la Camera lo deve calendarizzare subito e subito approvare.
Varando questi due provvedimenti si invierebbe un segnale chiaro anche al paese su come non possa essere tollerata, dallo Stato e dalla politica, qualsiasi forma di razzismo a sfondo sessuale; sarebbe un contributo anche a quella rivoluzione culturale che sola può garantire il rispetto di tutti nella differenza di ciascuno.
Le resistenze che si dicono religiose non bastano a giustificare il vuoto legislativo di questo paese: la cristianità non convive con la sofferenza, l’ingiustizia, la discriminazione. Cristiano sarebbe approvare norme che già esistono nella maggior parte degli altri stati europei e riconoscere la libertà sessuale quando questa non nuoce a nessuno.
Cristiano è non sentirsi minacciati dalla diversità, della pelle o della vita intima, ma riconoscerla e accettarla. Questa strada è più forte di ogni esercito, ogni pattuglia, ogni ronda, ogni telecamera schierata sul territorio. E’ l’unica che può rendere una società degna di questo nome: inclusiva e capace di garantire diritti e doveri a coloro che la animano e la vivono. Questa è l’unica forma di sicurezza.

Il colpo di stato d'autunno

Dal Quotidiano L'Unità
del 30 agosto 2009

di Luigi De Magistris
(Europarlamentare IDV)



Credo che il popolo italiano debba essere consapevole che la maggioranza politica –di ispirazione piduista– tenterà di utilizzare le Istituzioni per portare a compimento –nei prossimi mesi- il più devastante disegno autoritario mai concepito dal dopoguerra in poi. Un vero e proprio golpe d’autunno.

Da un punto di vista istituzionale si cercherà di rafforzare il progetto presidenzialista –di tipo peronista– disegnato su misura dell’attuale Premier. Poteri assoluti al Capo dello Stato eletto dal popolo. Elezioni supportate dalla propaganda di regime costruita attraverso il controllo quasi totale dei mezzi di comunicazione.

Il Parlamento –coerentemente ad un assetto autoritario e verticistico del potere- ridotto ad organo di ratifica dei desiderata dell’esecutivo con le opposizioni democratiche messe in condizione di esercitare mera testimonianza.

La distruzione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura attraverso la sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo con modifiche costituzionali realizzate illegittimamente con legge ordinaria (quale quella che subordina il PM all’iniziativa della Polizia Giudiziaria e, quindi, del Governo), nonché attraverso la mortificazione del suo ruolo attraverso leggi quale quella che elimina di fatto le intercettazioni (rafforzando quindi la cosiddetta microcriminalità in modo, poi, da invocare poteri straordinari ed extra-ordinem per combatterla).

La revisione della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura –non però nella direzione di liberare tali fondamentali organi dalle influenze partitiche e di poteri che pure sono presenti– ma attraverso il rafforzamento della componente politica e partitocratica.

La soppressione della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione formalizzando normativamente la scomparsa dei fatti. La disintegrazione della scuola pubblica, dell’università e della ricerca, in modo da favorire il consolidamento della sub-cultura di regime, quella per intenderci che ha realizzato il mito del Papi, ossia del padrone che dispensa posti e prebende nel circuito perverso corruttivo dell’utilizzazione post-industriale dei corpi.

Il prossimo Presidente della Repubblica –il desiderio dei nuovi peronisti è ovviamente quello che Berlusconi diventi il Capo, il Capo di tutto e di tutti, il Capo dei Capi con Mangano in cornice e Dell’Utri consigliori- dovrà avere ampi poteri e con questi anche il comando delle forze armate –dopo aver già ottenuto la gestione della sicurezza attraverso la sua privatizzazione con l’utilizzo delle ronde da lanciare magari a caccia di immigrati, omosessuali e dei residui sociali, come vengono considerati i deboli da parte dei pezzi xenofobi e razzisti della maggioranza- in modo da poter governare anche eventuali conflitti sociali con la forza.

Sul piano economico e del lavoro la maggioranza prepara la repressione al dissenso ed al conflitto sociale causato da un disegno che punta a rafforzare le disuguaglianze attraverso una politica economica che consolida sempre più i poteri forti e squilibra fortemente il Paese come nei regimi (chi ha già tanto deve avere di più e tanti invece sempre di più saranno quelli che non riescono ad arrivare alla fine del mese o che vivono in condizioni estremamente disagevoli), con l’assenza del contrasto all’evasione fiscale e l’approvazione di norme che rafforzano il riciclaggio del denaro sporco. Il furto delle risorse pubbliche che vanno a finire nelle tasche dei soliti comitati d’affari.

Il mancato adeguamento dei salari al costo della vita. L’incapacità di favorire l’iniziativa economica privata fondata sulla libera concorrenza degli imprenditori supportando, invece, la rapacità dei soliti prenditori. L’assenza di strategia che possa rilanciare il lavoro – pubblico e privato– fondandolo sulla meritocrazia e non sul privilegio e sull’occupazione indecente della cosa pubblica (come, per fare un esempio, nella sanità). Assenza totale di politiche economiche fondate su sviluppo e lavoro, tutela delle risorse e rispetto della natura e della vita. Il saccheggio,in definitiva, della nostra Storia.

Un progetto contro il nostro futuro. Il colpo di Stato –apparentemente indolore ed a tratti invisibile- reso possibile dall’istituzionalizzazione delle mafie,dalla loro penetrazione nelle articolazioni economiche e pubbliche del Paese, dal loro controllo del territorio, dalla capacità di neutralizzare la resistenza costituzionale.

Un golpe senza armi –ma intriso di violenza morale- con l’utilizzo del diritto illegittimo, della creazione di norme in violazione della Costituzione. L’eversione attraverso l’uso di uno schermo legale. L’uccisione della democrazia dal suo interno. Le sanguisughe delle libertà. E’ necessario, quindi, che si realizzino subito le condizioni per una grande mobilitazione civile, sociale e politica che si opponga a questo disegno autoritario che stravolge gli equilibri costituzionali e l’assetto democratico del nostro Paese.

Dove è finita l'informazione

Dal Quotidiano La Repubblica
del 31 agosto 2009

di Edmondo Berselli
(Giornalista)



Esploso in questi mesi come una battaglia di verità, davanti alle contraddizioni e alle bugie del premier, lo scandalo Berlusconi diventa oggi un problema di libertà, come sottolineano tutti i grandi quotidiani europei, evidenziando ancor più il conformismo silente dei giornali italiani. Prima la denuncia giudiziaria delle 10 domande di "Repubblica", un caso unico al mondo: un leader che cita in giudizio le domande che gli vengono rivolte, per farle bloccare e cancellare, visto che non può rispondere. Poi l'intimidazione alla stampa europea, perché non si occupi dello scandalo. Quindi il tentativo di impedire la citazione in Italia degli articoli dei giornali stranieri, in modo che il nostro Paese resti all'oscuro di tutto. Ecco cosa sta avvenendo nei confronti della libertà di informazione nel nostro Paese.

A tutto ciò, si aggiunge lo scandalo permanente, ma ogni giorno più grave, della poltiglia giornalistica che la Rai serve ai suoi telespettatori, per fare il paio con Mediaset, l'azienda televisiva di proprietà del premier. È uno scandalo che tutti conoscono e che troppi accettano come una malattia cronica e inguaribile della nostra democrazia. E invece l'escalation illiberale di questi giorni conferma che la battaglia di libertà si gioca soprattutto qui. La falsificazione dei fatti, la mortificante soppressione delle notizie ridotte a pasticcio incomprensibile, rendono impossibile il formarsi di una pubblica opinione informata e consapevole, dunque autonoma. Anzi, il degrado dei telegiornali fa il paio con il pestaggio mediatico dei giornali berlusconiani. Molto semplicemente, il congresso del pd, invece di contemplare il proprio ombelico, dovrebbe cominciare da viale Mazzini, sollevando questa battaglia di libertà come questione centrale, oggi, della democrazia italiana.

In quest'ultima stagione del berlusconismo abbiamo contemplato l'apice del conflitto d'interessi, l'anomalia più grave (a questo punto la mostruosità) della politica italiana. Si è vista l'occupazione della Rai e specialmente dei vertici dei telegiornali, cioè ruoli pubblici trasformati in postazioni partigiane; e nello stesso tempo la blindatura militare dei media di proprietà diretta o indiretta del capo del governo.
Berlusconi voleva un'anestesia della società italiana, in modo da poter comunicare ai cittadini esclusivamente le sue verità, i successi, le vittorie, le sue spettacolari "scese in campo" contro i problemi nazionali. L'immondizia a Napoli, il terremoto in Abruzzo, la continua minimizzazione della recessione. Una e una sola voce doveva essere udita, e gli strumenti a disposizione hanno fatto sì che fosse praticamente l'unica a essere diffusa e ascoltata.

Ma evidentemente tutto questo non bastava. Non bastava una maggioranza parlamentare praticamente inscalfibile. Non bastava al capo del governo neppure il consenso continuamente sbandierato a suon di sondaggi. Nel momento in cui la libertà di informazione ha investito lo stile di vita di Berlusconi, e soprattutto il caotico intreccio di rozzi comportamenti privati in luoghi pubblici o semi-istituzionali, il capo della destra ha deciso che occorreva usare non uno bensì due strumenti: il silenziatore, per confondere e zittire l'opinione pubblica, e il bastone, per impedire l'esercizio di un'informazione libera.

Negli ultimi mesi chiunque non sia particolarmente addentro alla politica ha potuto capire ben poco, in base al "sistema" dei telegiornali allineati, dello scandalo che si stava addensando sul premier. Un'informazione spezzettata, rimontata in modo incomprensibile, privata scientemente delle notizie essenziali, ha occultato gli elementi centrali della vicenda della prostituzione di regime. Allorché alla lunga lo scandalo ha bucato la cortina del silenzio, è scattata la seconda fase, quella dell'intimidazione. L'aggressione contro il direttore di Avvenire, Dino Boffo, risulta a questo punto esemplare: il giornale di famiglia, riportato rapidamente a una funzione di assalto, fa partire il suo siluro; nello stesso tempo l'informazione televisiva, con una farragine di servizi senza capo né coda, rende sostanzialmente incomprensibile il caso.

Come in una specie di teoria di Clausewitz rivisitata e volgare, il killeraggio giornalistico, cioè una forma di guerra totale, priva di qualsiasi inibizione, si rivela un proseguimento della politica con altri mezzi. In grado anche di fronteggiare le ripercussioni diplomatiche con la segreteria di Stato vaticana e con la Cei. La strategia rischia di essere efficace, peccato che configuri un drammatico problema di sistema. Ossia una ferita gravissima a uno dei fondamenti della democrazia reale (non dell'astratta democrazia liberale descritta dai nostri flebili maestri quotidiani). Purtroppo non si sa nemmeno a quali riserve di democrazia ci si possa appellare. Ci sono ancoraggi, istituzioni, risorse di etica e di libertà a cui fare riferimento? Oppure il peggio è già avvenuto, e i principi essenziali della nostra democrazia sono già stati frantumati?

Basta una scorsa alla più accreditata informazione straniera per rendersi conto del penoso provincialismo con cui questo problema viene trattato qui in Italia, della speciosità delle argomentazioni, del servilismo della destra (un esponente della maggioranza ha dichiarato ai tg che la rinuncia di Berlusconi a partecipare alla Perdonanza, dopo l'attacco del Giornale a Boffo, "disgustoso" per il presidente della Cei Angelo Bagnasco, era un atto "di straordinario valore cristiano"). Oltretutto, risulta insopportabile l'idea che nel nostro futuro, cioè nella nostra politica, nella nostra cultura, nella nostra idea di un paese, ci sia un blocco costituito dall'informazione di potere, un consenso organizzato mediaticamente nella società, e al di fuori di questo perimetro pochi e rischiosi luoghi di dissenso. Questa non è una democrazia. È un regime che non vuole più nemmeno esibire una tolleranza di facciata. Quando tutti se ne renderanno conto sarà sempre troppo tardi.

Il posto della Chiesa in tempi pagani

Dal Quotidiano La Repubblica
del 31 agosto 2009

di Ilvo Diamanti
(Giornalista)



È SINGOLARE vedere la Chiesa all'opposizione. Soprattutto oggi, che governa il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, particolarmente attento e disponibile nei confronti delle richieste della Chiesa: sulla bioetica, sulla scuola e sull'educazione, sulla famiglia. Mentre le incomprensioni con il precedente governo di centrosinistra erano comprensibili. Eppure mai, nella contrastata (per quanto breve) stagione dei rapporti con il governo Prodi, si era assistito ad attacchi tanto violenti, nei confronti della Chiesa, come quelli lanciati negli ultimi giorni dal centrodestra. 

Prima: le reazioni della Lega alle critiche espresse dal mondo cattolico in merito alle politiche sulla sicurezza e sull'immigrazione. Culminate nella minaccia - apertamente evocata dal quotidiano "La Padania" - di rivedere il Concordato. Poi l'attacco rivolto dal "Giornale" al direttore di "Avvenire", Dino Boffo (il quale ha parlato di "killeraggio"). Accusato di non avere titolo per esprimere giudizi "morali" sugli stili di vita del premier. Troppi e troppo ravvicinati, troppo violenti, questi interventi per apparire casuali. Come si spiega l'esplodere di queste tensioni? E, in particolare, cosa ha spinto all'opposizione la Chiesa, fino a ieri interlocutore affidabile del governo? 

In effetti, occorre distinguere. I rapporti con la Lega sono sempre stati conflittuali. Basti pensare al periodo intorno alla metà degli anni Novanta, quando la Chiesa si oppose alla strategia secessionista della Lega. Allora Bossi si scagliò contro il Papa polacco e i "vescovoni romani arruolati nell'esercito di Franceschiello, l'esercito del partito-Stato". In altri termini: contro la Chiesa, ritenuta (non senza ragione) il collante, forse più denso, dell'unità nazionale. Oggi, invece, il problema è prodotto dalle critiche del mondo cattolico - le associazioni, i media, le gerarchie - contro le politiche del governo sulla sicurezza e l'immigrazione. Cioè: il vero marchio della Lega (degli uomini spaventati). Più ancora del federalismo. 

D'altronde, il mondo cattolico, su questi temi, esprime un progetto fondato sull'accoglienza, sulla carità, sull'integrazione. Concretamente praticato attraverso associazioni e istituzioni diffuse sul territorio. Dalla Caritas, ai gruppi di volontariato, alle parrocchie. Assai più della sinistra, è il mondo cattolico l'alternativa alla cultura e al linguaggio leghista. Non solo sui temi della sicurezza e degli immigrati. Perché il mondo cattolico è presente e attivo soprattutto dove è forte la Lega. Cioè: nella provincia del Nord. Dove i campanili costituiscono ancora un centro della vita sociale. Da ciò un conflitto inevitabile. Che è, in parte, competizione. Anche perché la Lega si propone come una sorta di "Chiesa del Nord". Con i suoi riti, i suoi simboli, i suoi valori, le sue reti di appartenenza locale. Ronde comprese. Della tradizione cattolica accetta gli aspetti, appunto, più tradizionali e tradizionalisti. Le "radici cristiane" rivendicate dalla Lega coincidono, in effetti, con la "religione del senso comune". 

Diverso - e meno prevedibile - è invece il contrasto diretto con il premier e il PdL. Innescato dalla velenosa inchiesta dedicata dal "Giornale" al direttore dell'"Avvenire". Definito un "lapidatore che non ha le carte in regola per lapidare alcuno". In particolare il premier. Immaginare Dino Boffo - prudente per natura (e incarico) - impegnato a scagliare parole dure come le "pietre" risulta (a noi, almeno) davvero difficile. Per questo, la reazione del "Giornale" appare sproporzionata rispetto al contenuto e al tono delle critiche apparse su "Avvenire". 

Era difficile, d'altronde, che i vescovi italiani tacessero di fronte al disagio emerso in molti settori del clero e in molti esponenti del mondo cattolico. Tanto più al tempo di Papa Ratzinger, che ha fatto del contrasto al relativismo etico un marchio e un programma. 
Tuttavia, nonostante le smentite di questi giorni, ci riesce altrettanto difficile pensare che Vittorio Feltri abbia lanciato il suo attacco "senza preavviso". Senza, cioè, avvertire almeno il premier. Il che suggerisce una ulteriore spiegazione della singolare (op) posizione assunta dalla Chiesa in questa fase. 

Vi sarebbe stata spinta, più che per propria scelta, dallo stesso premier e dalla Lega. Per diverse ragioni. (a) Intimidire l'unico soggetto capace, nell'Italia d'oggi, di esercitare un effettivo controllo morale, istituzionale e sociale. (b) Dividere la Chiesa stessa, al proprio interno; isolando gli ambienti accusati di simpatie per la "sinistra"; e ponendola in contrasto con il suo stesso popolo. In larga parte vicino alle posizioni della Lega, in tema di sicurezza e immigrazione. E indulgente verso i comportamenti e gli stili di vita esibiti dal premier. (c) C'è, infine e al fondo di tutto, la crisi del modello, proposto e imposto da Ruini alla fine della prima Repubblica. La "Chiesa extraparlamentare" (come la definisce Sandro Magister), che agisce ora come movimento, ora come gruppo di pressione. A sostegno dei propri riferimenti di valore e di interesse. Senza partiti cattolici né "di" cattolici. 

Oggi sembra suscitare molti dubbi. E in alcuni settori della Chiesa e del mondo cattolico emerge la nostalgia di un polo alternativo: a una destra amica ma pagana. E a una sinistra laicista e comunque inaffidabile. Da ciò l'idea (post-ruiniana) di un soggetto politico che metta insieme Casini, Tabacci, Pezzotta. Rutelli e Montezemolo. Magari Letta (Gianni). D'altra parte, 4 cattolici praticanti su 10 non hanno un partito di riferimento. Sono patologicamente incerti. Anche così si spiega la reazione di Berlusconi - e l'azione di Feltri. Volta a scoraggiare la costruzione di un nuovo partito collaterale alla Chiesa. Mentre al premier - e alla Lega - piace di più l'idea di una Chiesa collaterale o, comunque, affiancata al PdL. In grado - non da ultimo - di santificare un modello di vita che - come ha ammesso il premier - santo non è. Ma, anzi, piuttosto pagano.

Il Pd: "Il caso in Parlamento" Copasir: "Vigileremo sui servizi"

Dal Quotidiano La Repubblica
del 31 agosto 2009

di Alberto Custodero
(Giornalista)


ROMA - È scontro sulla "velina" sul direttore dell'Avvenire, Dino Boffo, pubblicata da Vittorio Feltri sul Giornale. Il Pd chiede che il caso si affronti in Parlamento mentre il Copasir, l'organo di controllo sugli 007, assicura che "vigilerà sul corretto funzionamento dei servizi in questo momento delicato della vita democratica". Feltri, intanto, dopo la rivelazione di Repubblica di ieri - la "nota informativa" citata dal Giornale non è contenuta nelle carte giudiziarie del Tribunale di Terni - è investito da una bufera di accuse. Ed è costretto a smentirsi fino quasi a negare l'esistenza della "nota informativa" citata per ben tre volte nell'inchiesta del Giornale nella quale Boffo viene definito "noto omosessuale già attenzionato dalla polizia di Stato per questo genere di frequentazioni...". 

Emanuele Fiano, deputato pd e membro del Copasir, lo sfida: "Se ha quel documento, lo tiri fuori. Così vedremo da chi è firmato". È dunque ora il direttore del Giornale a doversi giustificare per rispondere alla domanda che da più parti gli viene posta: "Dove ha preso quella "nota informativa"?". 

"Non ho mai parlato di schedature o informative giudiziarie - si difende ora Feltri - e il Viminale non c'entra in alcun modo. Abbiamo un documento che prova un fatto (il patteggiamento di Boffo, non i riferimenti alla sua vita privata, ndr), il resto non conta. Non conta da chi l'abbiamo avuto, non conta se ci sono errori perché non è un testo di diritto. Anche se i termini fossero impropri, i fatti sono questi e se qualcuno è in grado di smentirli lo faccia". Ma l'articolo del Giornale di venerdì parlava invece proprio di una "nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del direttore di Avvenire disposto dal Gip". 

D'altronde è proprio in quella nota che sono contenute le frasi più gravi su Boffo definito "un noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia per questo genere di frequentazioni". Negli atti giudiziari del resto non si fa nessun accenno alla vita privata di Boffo: quindi non è affatto irrilevante come sostiene oggi il direttore del Giornale, da dove provenga e che attendibilità abbia il documento su cui ha fondato la sua azione di killeraggio. Feltri nega, poi, di essersi recato a Palazzo Chigi dopo la sua nomina al Giornale. 

"Non vado a Roma da 4 mesi - dichiara - non sono stato a Palazzo Chigi, né a Palazzo Grazioli. L'unico che ho sentito, venerdì scorso, è stato Gianni Letta. Voleva avere notizie dell'articolo. Ma erano le 23,30, e il Giornale era già in stampa". Berlusconi sostiene "di non aver mai avuto in questi giorni alcuna conversazione telefonica" col direttore del giornale di famiglia. 

Ma la sua risposta non placa le polemiche politiche. "Quelle contro Boffo, ma anche altre allusioni minacciose - commenta il senatore pd Luigi Zanda - hanno le stesse caratteristiche delle "veline" che, in anni recenti e passati, hanno inquinato l'aria della nostra Repubblica". Mentre il deputato europeo leghista Matteo Salvini ammette che "il caso Boffo potrebbe essere un avvertimento alla gerarchia ecclesiastica", anche il capogruppo pd all'Antimafia, Laura Garavini, chiede chiarezza: "C'è un inquietante sospetto che grava sul governo, che a questo punto deve fare al più presto chiarezza in questa bruttissima vicenda". 

A proposito di presunte schedature di omosessuali da parte del Viminale Boffo ha fatto sapere di aver ricevuto una telefonata dal ministro dell'Interno. "Maroni mi ha assicurato che quell'"informativa" non esce dall'apparato della pubblica sicurezza".

Boffo, la "velina" anonima arrivò a tutti i vescovi

Dal Quotidiano La Repubblica
del 31 agosto 2009

di Zita Dazzi
(Giornalista)


MILANO - Una fotocopia del certificato del casellario giudiziale del direttore di Avvenire, Dino Boffo. E, attaccato con una graffetta, un secondo foglio, dattiloscritto, non firmato e compilato in un italiano malfermo, dal titolo elusivo: "Riscontro a richiesta di informativa di sua Eccellenza". In queste due pagine, arrivate oltre due mesi fa sulle scrivanie di tutti i vescovi italiani, era scritta la storia che in questi giorni il Giornale della famiglia Berlusconi ha sbattuto in prima pagina. 


L'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, viene citato nel documento anonimo, come il cardinale Camillo Ruini e come il vescovo di Firenze Giuseppe Betori. Ed è proprio monsignor Betori a rivelare di aver cestinato quella lettera senza mittente e a scagliarsi contro i "fogli anonimi che circolano in questi giorni, assurti al rango di 'informativa'. Li ho sempre ritenuti - come ogni missiva anonima - degni del cestino della spazzatura, da cui provengono e devono tornare". 

Della missiva si parlava da tempo negli ambienti ecclesiastici ed erano in molti a interrogarsi sulla provenienza di quel materiale imbarazzante e pieno di insinuazioni sul direttore del quotidiano della Cei. Nessuno aveva dubbi sul primo dei due fogli, visto che, pur essendo stata cancellata col pennarello la sede, c'era il timbro di una Procura della Repubblica e un estratto del casellario dal quale risulta il decreto penale del Tribunale di Terni a carico di Boffo. Ma sulla seconda pagina, gli alti prelati che l'hanno ricevuta, hanno visto l'ombra di una qualche burocrazia legata ai servizi segreti o di qualche nemico del giornalista nello stesso mondo cattolico. 


È il linguaggio, poco giuridico, a tradire l'estensore del secondo foglio, ripreso senza alcuna modifica dall'articolo sul Giornale di Vittorio Feltri e citato come "nota informativa" in accompagnamento all'atto del giudice per le indagini preliminari. "Il Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni - si legge testualmente, con tanto di errori di ortografia - destinataria di telefonate sconcie e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo aveva una relazione omosessuale". 

Le stesse parole dell'articolo che ha puntato l'indice contro il direttore di Avvenire, reo di aver espresso critiche nei confronti del presidente del Consiglio. I cardinali e i vescovi che hanno ricevuto la missiva anonima non hanno tenuto in nessun conto le altre notizie peccaminose che si leggono nel messaggio: "Il Boffo è un noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni e gode indubbiamente di alte protezioni, correità e coperture in sede ecclesiastica". 

Il vescovo di Firenze Betori, amico di lunga data del direttore di Avvenire, non ha dubbi di fronte a quei veleni: "Quale sia la mia stima e fiducia nei confronti del dottor Boffo lo mostra la collaborazione con lui instaurata negli anni del mio servizio alla Cei".

domenica 30 agosto 2009

"Con il Vaticano parlerò solo io" Berlusconi studia l'exit strategy

Dal Quotidiano La Repubblica
del 30 agosto 2009

di Francesco Bei
(Giornalista)


ROMA - "Adesso è meglio se state tutti zitti, lasciamo decantare la cosa. Poi me ne occuperò io personalmente". È questa la consegna impartita ieri da Silvio Berlusconi a quanti - ministri e parlamentari - lo hanno cercato per chiedergli come comportarsi sulla crisi innescata con il Vaticano. Egli stesso si è conformato alla direttiva, lasciando Roma senza dire una parola e andando la sera a seguire il derby a San Siro.

Ma il disagio dell'ala cattolica del Pdl, seppur espresso a mezza bocca, è evidente in quella che rimane l'estate nera nei rapporti fra il governo e la Santa Sede, segnata dalle polemiche della Lega contro i vescovi e culminata con la cancellazione dell'incontro tra Berlusconi e Bertone. "Sembra di aver imboccato una strada senza uscita - ammette sconsolato un deputato berlusconiano - , ancora non ho capito come abbiamo fatto a passare per quelli che hanno dichiarato guerra alla Chiesa italiana".

L'exit strategy è stata tuttavia già stata delineata dagli strateghi del Cavaliere e si basa essenzialmente su quella sorta di agenda "Vat" enunciata ieri da Renato Schifani (previo consulto con palazzo Chigi) a conclusione del Meeting. Un'agenda fatta di biotestamento, restrizioni all'uso della pillola RU486, rinnovata attenzione a tutte le istanze della Chiesa.

Mara Carfagna, il ministro a cui Cl ha affidato l'apertura del Meeting e che ha incontro il Cardinal Bertone all'Aquila, dopo aver negato che ci sia una "sofferenza" dei cattolici del Pdl, conferma la linea su cui si sta assestando la maggioranza per uscire fuori dall'impasse: "Queste polemiche, che hanno ben poco di politico, dureranno lo spazio di qualche ora. Ciò che resterà sono i provvedimenti presi a favore di chi ha bisogno, dei più deboli e degli ultimi, che anche la Chiesa ha più volte dimostrato di apprezzare". Come dire che quello che interessa di più in Vaticano sono i fatti concreti, le leggi gradite ai cattolici che questa maggioranza è in grado di approvare. "Siamo noi a garantire - osserva Gaetano Quagliariello - che il contributo della Chiesa al dibattito pubblico sia considerato un contributo positivo". E proprio Quagliariello ha deciso di far aprire la summer school di Magna Carta, la prossima settimana, da monsignor Rino Fisichella.

Ci si avvia dunque a una grande stagione legislativa di stampo vaticano? Sembra questo il prezzo da pagare per la ricomposizione del dissidio fra il governo e la Chiesa. Questa volta insomma le gerarchie affonderanno il coltello nel burro, a meno che la pattuglia di finiani in Parlamento non metta della sabbia negli ingranaggi. Un cattolico laico come il ministro Gianfranco Rotondi, che ha proposto senza grande successo un ddl sulle unioni di fatto, rimpiange i tempi della Dc: "È un rapporto con la Chiesa del tutto sbagliato quello che c'è in Italia, a destra ma ormai anche a sinistra. Servirebbe un Pdl che dicesse "siamo cristiani, ma alla maniera del Ppe, distinti e distanti dalle gerarchie". E invece eccoci qua, alla mescolanza tra Dio e Cesare".

Con tutta la prima linea dei ministri Pdl a fare a gara per mostrarsi in linea con il Vaticano: Giulio Tremonti, che esalta l'enciclica del Papa, Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna, pupille dei ciellini. E Maurizio Sacconi, che ancora ieri è tornato a picchiare sulla pillola abortiva che "preoccupa, perché potrebbe banalizzare un atto che il legislatore ha considerato tutt'altro che banale". E allora, per rispondere al malessere dei cattolici della maggioranza, l'unica strada è l'approvazione integrale dell'agenda "Vat", la risposta concreta ai vescovi sui "fatti" che contano. "Il tema vero sono le leggi che si approvano - spiega Maurizio Lupi, anima del Meeting ciellino - e su quello saremo misurati. Il resto verrà dimenticato. E non parlo solo del testamento biologico, mi riferisco anche alla famiglia, alla libertà di educazione. Alla fine il Pdl ha sempre dimostrato di essere più affidabile". E il nuovo obiettivo adesso diventa il quoziente famigliare: "Ce lo ha detto anche Tremonti: meglio dare i soldi alle famiglie che alle banche". Basterà a far dimenticare le sparate dei leghisti, la vita privata del premier e gli attacchi del Giornale?

Le convulse giornate della perdonanza

Dal Quotidiano La Repubblica
del 30 agosto n2009

di Eugenio Scalfari
(Giornalista)


Venerdì scorso il Tg1 diretto dall'ineffabile Minzolini, incurante del fatto che le notizie del giorno fossero l'attacco del "Giornale" contro il direttore dell'"Avvenire", lo scontro tra la Cei e la Santa Sede da un lato e il presidente del Consiglio dall'altro e infine la querela di Berlusconi a Repubblica per le 10 domande a lui dirette e rimaste da giugno senza risposta; incurante di queste addirittura ovvie priorità, ha aperto la trasmissione delle ore 20 con l'intervento del ministro Giulio Tremonti al meeting di Comunione e Liberazione.

Farò altrettanto anch'io. Quell'intervento infatti è rivelatore d'un metodo che caratterizza tutta l'azione di questo governo, mirata a sostituire un'onesta analisi dei fatti con una raffigurazione completamente artefatta e calata come una cappa sulla pubblica opinione curando col maggiore scrupolo che essa non percepisca alcun'altra voce alternativa.

Cito il caso Tremonti perché esso ha particolare rilievo: la verità del ministro dell'Economia si scontra infatti con dati ed elementi di fatto che emergono dagli stessi documenti sfornati dal suo ministero, sicché l'improntitudine tocca il culmine: si offre al pubblico una tesi che fa a pugni con i documenti ufficiali puntando sul fatto che il pubblico scorda le cifre o addirittura non le legge rimanendo invece colpito dalle tesi fantasiose che la quasi totalità dei "media" si guardano bene dal commentare.

Dunque Tremonti venerdì a Rimini al meeting di Cl. Si dice che fosse rimasto indispettito per il successo riscosso in quello stesso luogo due giorni prima di lui dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, con il quale ha da tempo pessimi rapporti. Non volendo entrare in diretta polemica con lui si è scagliato contro gli economisti e i banchieri.

Nei confronti dei primi l'accusa è di cretinismo: non si avvidero in tempo utile che stava arrivando una crisi di dimensioni planetarie. Quando se ne avvidero - a crisi ormai esplosa - non chiesero scusa alla pubblica opinione e sdottorarono sulle terapie da applicare mentre avrebbero dovuto tacere almeno per due anni prima di riprendere la parola.

Nei confronti dei banchieri la polemica tremontiana è stata ancor più pesante; non li ha tacciati di cretinismo ma di malafede. Nel momento in cui avrebbero dovuto allentare i cordoni della borsa e aiutare imprese e consumatori a superare la stretta, hanno invece bloccato le erogazioni. "Il governo" ha detto il ministro "ha deciso di non aiutare i banchieri ma di stare vicino alle imprese e ai consumatori".

Così Tremonti, il quale si è spesso auto-lodato di aver avvistato per primo ed unico al mondo l'arrivo della "tempesta perfetta" che avrebbe devastato il mondo intero.

Ho più volte scritto che la primazia vantata da Tremonti non è esistita, ma ammettiamo che le sue capacità previsionali si siano manifestate. Tanto più grave, anzi gravissimo è il fatto che la politica economica da lui impostata fin dal giugno 2008 sia stata l'opposto di quanto la tempesta perfetta in arrivo avrebbe richiesto. Sarebbe stato infatti necessario accumulare tutte le risorse disponibili per fronteggiare l'emergenza, per sostenere la domanda interna, per finanziare le imprese e i redditi da lavoro.
Tremonti fece l'esatto contrario. Abolì l'Ici sulle prime case dei proprietari abbienti (sui proprietari meno abbienti l'abolizione di quell'imposta l'aveva già effettuata il governo Prodi). Si accollò l'onere della liquidazione di Alitalia. Versò per ragioni politico-clientelari fondi importanti ad alcuni Comuni e Province che rischiavano di fallire. Dilapidò risorse consistenti per "aiutini" a pioggia.

In cifre: le prime tre operazioni costarono oltre 10 miliardi di euro; la pioggia degli aiutini ebbe come effetto un aumento del 5 per cento della spesa corrente ordinaria per un totale di 35 miliardi. Ho chiesto più volte che il ministro elencasse la destinazione di questo sperpero ma questo governo non risponde alle domande scomode; resta comunque il fatto.

Ne deduco che il ministro preveggente fece una politica opposta a quello che la preveggenza avrebbe dovuto suggerirgli. Se gli economisti sono cretini che dire di chi, avendo diagnosticato correttamente, applicò una terapia sciagurata?

Quanto ai banchieri: il governo Berlusconi-Tremonti si è più volte vantato di avere ottenuto, nei primissimi incontri parigini avvenuti dopo lo scoppio della crisi, interventi di garanzia a sostegno di eventuali "default" bancari. In Italia tali interventi non furono necessari (altrove in Europa ci furono in misura massiccia) perché le nostre banche erano più solide che altrove, situazione riconosciuta ed elogiata dallo stesso ministro quando ancora i suoi rapporti con Draghi erano passabili. Se ci fu un blocco nei crediti interbancari, questo fu dovuto ai dissesti bancari internazionali. Se c'è tuttora scarsa erogazione creditizia ciò si deve al fatto che i banchieri guardano attentamente al merito del credito e debbono farlo.

Tremonti sostiene che i soldi delle banche riguardano le banche mentre quelli del Tesoro riguardano i contribuenti. Ma su un punto sbaglia di grosso: il credito elargito dalle banche è di proprietà dei depositanti che sono quantitativamente addirittura maggiori dei contribuenti.

Concludo dicendo che il nostro ministro dell'Economia ha detto al meeting di Cl un cumulo di sciocchezze assumendo per l'occasione un "look" da profeta biblico che francamente non gli si addice. Ha riscosso molti applausi, ma il pubblico del meeting di Cl applaude convintamente tutti: Tremonti e Draghi, Tony Blair e Bersani, Passera e Tronchetti Provera, il diavolo e l'acqua santa e naturalmente Andreotti. Chi varca quei cancelli si "include" e questo è più che sufficiente per batter le mani. Ecco una questione sulla quale bisognerà ritornare.

* * *
Torniamo ai fatti rilevanti di questi giorni: l'aggressione del "Giornale" all'"Avvenire", il rapporto tra il premier e le gerarchie ecclesiastiche, la querela di Berlusconi contro le domande di Repubblica. Sul nostro giornale sono già intervenuti in molti, da Ezio Mauro a D'Avanzo, a Sofri, a Mancuso, al documento firmato da Cordero, Rodotà e Zagrebelsky sul quale si sta riversando un plebiscito di consensi che mentre scrivo hanno già superato le cinquantamila firme.

Poiché concordo con quanto già stato scritto in proposito mi restano poche osservazioni da aggiungere.
Che Vittorio Feltri sia un giornalista dedito a quello che i francesi chiamano "chantage" o killeraggio che dir si voglia lo sappiamo da un pezzo. Quella è la sua specialità, l'ha praticata in tutti i giornali che ha diretto. Proprio per questa sua caratteristica fui molto sorpreso quando appresi tre anni fa che la pseudofondazione che gestisce un premio intitolato al nome di Mario Pannunzio lo avesse insignito di quella medaglia che in nulla poteva ricordare la personalità del fondatore del "Il Mondo".

I telegiornali e buona parte dei giornali hanno parlato in questi giorni del "giornale di Feltri" omettendo una notizia non secondaria e non sempre presente alla mente dei lettori: il "giornale di Feltri" è il "Giornale" che fu fondato da Indro Montanelli, per molti anni di proprietà di Silvio Berlusconi e poi da lui trasferito prudentemente al suo fratello.

Lo stesso Feltri ha scritto che dopo aver ricevuto la nomina da Paolo Berlusconi si è recato a Palazzo Chigi dove ha avuto un colloquio di un'ora con il presidente del Consiglio. Una visita di cortesia? Di solito un direttore di un giornale appena nominato non va in visita di cortesia dal presidente del Consiglio. Semmai, se proprio sente il bisogno di un atto di riguardo verso le istituzioni, va a presentarsi al Capo dello Stato. E poi un'ora di cortesie è francamente un po' lunga.
Lo stesso Feltri non ha fatto misteri che il colloquio ha toccato molti argomenti e del resto la sua nomina, che ha avuto esecuzione immediata, si inquadra nella strategia che i "berluscones", con l'avvocato Ghedini in testa, hanno battezzato la controffensiva d'autunno.

Cominciata con Minzolini al Tg1 è continuata con l'arrivo di Feltri al "Giornale" e si dovrebbe concludere tra pochi giorni con la normalizzazione di Rete Tre e l'espianto di Fazio, Littizzetto, Gabanelli e Dandini.
La parola espianto è appropriata a questo tipo di strategia: si vuole infatti fare terra bruciata per ogni voce di dissenso. Non solo: si vogliono mettere alla guida del sistema mediatico persone di provata aggressività senza se e senza ma quando la proprietà del mezzo risale direttamente al "compound" berlusconiano, oppure di amichevole neutralità se la proprietà sia di terzi anch'essi amichevolmente neutrali.

Berlusconi avrà certamente illustrato a Feltri la strategia della controffensiva e i bersagli da colpire. Aveva letto l'attacco contro il direttore dell'"Avvenire" prima della sua pubblicazione? Sapeva che sarebbe uscito venerdì? Lo escludo. Feltri è molto geloso della sua autonomia operativa e non è uomo da far leggere i suoi articoli al suo editore. Ma che il direttore di "Avvenire" fosse nel mirino è sicuro. Berlusconi si è dissociato e Feltri ieri ha chiosato che aveva fatto benissimo a dissociarsi da lui. "Glielo avrei suggerito se mi avesse chiesto un parere".

Si dice che la gerarchia vaticana avrebbe sollecitato il suo licenziamento, ma Berlusconi, se anche lo volesse, non lo farà. L'ha fatto con Mentana, ma Mentana non è un giornalista killer. Farlo con Feltri sarebbe assai pericoloso.
Una parola sulle dichiarazioni di dissenso da Feltri fatte ieri da tutti i colonnelli del centrodestra, da Lupi a Gasparri, a Quagliariello, a Rotondi. Berlusconi si è dissociato? I colonnelli si allineano. E' sempre stato così nella casa del Popolo della Libertà. Tremonti, pudicamente, ha parlato d'altro.
E la Perdonanza?

* * *
Come si sa la Perdonanza fu istituita da Celestino V, il solo papa che si sia dimesso nella millenaria storia della Chiesa, come una sorta di pre-Giubileo che fu poi istituzionalizzato dal suo successore Bonifacio VIII.
I potenti dell'epoca avevano molti modi e molti mezzi per farsi perdonare i peccati, ma i poveri ne avevano pochi e le pene erano molto pesanti. La Perdonanza fu una sorta di indulgenza di massa che aveva come condizione la pubblica confessione dei peccati gravi, tra i quali l'omicidio, la bestemmia, l'adulterio, la violazione dei sacramenti. Confessione pubblica e perdono. Una volta l'anno. Di qui partirono poi le indulgenze ed il loro traffico che tre secoli dopo aveva generato una sistematica simonia da cui nacque la scissione di Martin Lutero.

E' difficile immaginare in che modo si sarebbe svolta l'altro ieri la festa della Perdonanza con la presenza del Segretario di Stato vaticano inviato dal Papa in sua vece e con accanto il presidente del Consiglio a cena e nella processione dei "perdonati". Diciamo la verità: il killeraggio di Feltri contro Boffo ha risparmiato al cardinal Bertone una situazione che definire imbarazzante è dir poco anche perché era stata da lui stesso negoziata e voluta.

Dopo l'attacco di Feltri quella situazione era diventata impossibile, ma non facciamoci illusioni: la Chiesa vuole includere tutto ciò che può portar beneficio alle anime dei fedeli e al corpo della Chiesa.

Se Berlusconi si pentisse davvero, confessasse i suoi peccati pubblicamente, si ravvedesse, la Chiesa sarebbe contenta. Ma se lo facesse sarebbe come aver risposto alle 10 domande di Repubblica. Quindi non lo farà.

Nessun beneficio per l'anima sua, ma resta il tema dei benefici per il corpo della Chiesa. Lì c'è molto grasso da dare e il premier è prontissimo a darlo.
In realtà il prezzo sarà pagato dalla democrazia italiana, dalla laicità dello Stato e dai cittadini se il paese non trarrà da tutto quanto è accaduto di vergognoso ed infimo un soprassalto di dignità.

Su Boffo una velina che non viene dal Tribunale

Dal Quotidiano La Repubblica
del 30 agosto 2009

di Giuseppe D'Avanzo
(Giornalista)


LA "nota informativa", agitata dal Giornale di Silvio Berlusconi per avviare un rito di degradazione del direttore dell'Avvenire, Dino Boffo, non è nel fascicolo giudiziario del tribunale di Terni. Non c'è e non c'è mai stata. Come, in quel processo, non c'è alcun riferimento - né esplicito né implicito - alla presunta "omosessualità" di Dino Boffo. L'informazione potrebbe diventare ufficiale già domani, quando il procuratore della Repubblica di Terni, Fausto Cardella, rientrerà in ufficio e verificherà direttamente gli atti.

Bisogna ricordare che il Giornale, deciso a infliggere un castigo al giornalista che ha dato voce alle inquietudini del mondo cattolico per lo stile di vita di Silvio Berlusconi, titola il 28 agosto a tutta pagina: "Il supermoralista condannato per molestie/ Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impegnato nell'accesa campagna stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione". Il lungo articolo, a pagina 3, dà conto di "una nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del tribunale di Terni il 9 agosto del 2004". La "nota" è l'esclusivo perno delle "rivelazioni" del quotidiano del capo del governo. L'"informativa" subito appare tanto bizzarra da essere farlocca. Nessuna ordinanza del giudice per le indagini preliminari è mai "accompagnata" da una "nota informativa". E soprattutto nessuna informativa di polizia giudiziaria ricorda il fatto su cui si indaga come di un evento del passato già concluso in Tribunale.

Scrive il Giornale: "Il Boffo - si legge nell'informativa - è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla onde lasciasse libero il marito con il quale Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione. Rinviato a giudizio, il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un'ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela...".

È lo stralcio chiave dell'articolo punitivo. È falso che quella "nota" accompagni l'ordinanza del giudice, come riferisce il Giornale. L'"informativa" riepiloga l'esito del procedimento. Non è stata scritta, quindi, durante le indagini preliminari, ma dopo che tutto l'affare era già stato risolto con il pagamento dell'ammenda. Dunque, non è un atto del fascicolo giudiziario. Per mero scrupolo, lo accerterà anche il procuratore di Terni Cardella che avrà modo di verificare, con i crismi dell'ufficialità, che la nota informativa non è agli atti e che in nessun documento del processo si fa riferimento alla presunta "omosessualità" di Boffo. La "nota informativa", pubblicata dal Giornale del presidente del Consiglio, è dunque soltanto una "velina" che qualcuno manda a qualche altro per informarlo di che cosa è accaduto a Terni, anni addietro, in un "caso" che ha visto coinvolto il direttore dell'Avvenire.

L'evidenza sollecita qualche domanda preliminare: è vero o falso che Dino Boffo sia "un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni"? È vero o falso che la polizia di Stato schedi gli omosessuali?

Sono interrogativi che si pone anche Roberto Maroni, la mattina del 28 agosto. Il ministro chiede al capo della polizia, Antonio Manganelli, di accertare se esista un "fascicolo" che dia conto delle abitudini sessuali di Dino Boffo. Dopo qualche ora, il capo della polizia è in grado di riferire al ministro che "né presso la questura di Terni (luogo dell'inchiesta) né presso la questura di Treviso (luogo di nascita di Boffo) esiste un documento di quel genere" e peraltro, sostiene Manganelli con i suoi collaboratori, "è inutile aggiungere che la polizia non scheda gli omosessuali: tra di noi abbiamo poliziotti diventati poliziotte e poliziotte diventate poliziotti". "Da galantuomo", come dice ora il direttore dell'Avvenire, Maroni può così telefonare a Dino Boffo e assicurargli che mai la polizia di Stato lo ha "attenzionato" né esiste alcun fascicolo nelle questure in cui lo si definisce "noto omosessuale".

Risolte le domande preliminari, bisogna ora affrontare il secondo aspetto della questione: chi è quel qualcuno che redige la "velina"? Per quale motivo o sollecitazione? Chi ne è il destinatario?
C'è un secondo stralcio della cronaca del Giornale che aiuta a orientarsi. Scrive il quotidiano del capo del governo: "Nell'informativa si legge ancora che (...) delle debolezze ricorrenti di cui soffre e ha sofferto il direttore Boffo "sono a conoscenza il cardinale Camillo Ruini, il cardinale Dionigi Tettamanzi e monsignor Giuseppe Betori"". C'è qui come un'impronta. Nessuna polizia giudiziaria, incaricata di accertare se ci siano state o meno molestie in una piccola città di provincia (deve soltanto scrutinare i tabulati telefonici), si dà da fare per accertare chi sia o meno a conoscenza nella gerarchia della Chiesa delle presunte "debolezze" di un indagato. Che c'azzecca? E infatti è una "bufala" che il documento del Giornale sia un atto giudiziario. E' una "velina" e dietro la "velina" ci sono i miasmi infetti di un lavoro sporco che vuole offrire al potere strumenti di pressione, di influenza, di coercizione verso l'alto (Ruini, Tettamanzi, Betori) e verso il basso (Boffo). È questo il lavoro sporco peculiare di servizi segreti o burocrazie della sicurezza spregiudicate indirizzate o messe sotto pressione da un'autorità politica spregiudicatissima e violenta. È il cuore di questa storia. Dovrebbe inquietare chiunque. Dovrebbe sollecitare l'allarme dell'opinione pubblica, l'intervento del Parlamento, le indagini del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), ammesso che questo comitato abbia davvero la volontà, la capacità e soprattutto il coraggio civile, prima che istituzionale, di controllare la correttezza delle mosse dell'intelligence.

Quel che abbiamo sotto gli occhi è il quadro peggiore che Repubblica ha immaginato da mesi. Con la nona delle dieci domande, chiedevamo (e chiediamo) a Silvio Berlusconi: "Lei ha parlato di un "progetto eversivo" che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?".

Se si guarda e si comprende quel che capita al direttore dell'Avvenire, è proprio quel che accade: il potere che ci governa raccoglie dalla burocrazia della sicurezza dossier velenosi che possano alimentare campagne di denigrazione degli avversari politici. Stiamo al "caso Boffo". La scena è questa. C'è un giornalista che, rispettando le ragioni del suo mestiere, dà conto - con prudenza e misura - del disagio che nelle parrocchie, nei ceti più popolari del cattolicesimo italiano, provoca la vita disordinata del capo del governo, il suo modello culturale, il suo esempio di vita. È un grave smacco per il presidente del Consiglio che vede compromessa credibilità e affidabilità in un mondo che pretende elettoralmente, indiscutibilmente suo. È un inciampo che può deteriorare anche i buoni rapporti con la Santa Sede o addirittura pregiudicare il sostegno del Vaticano al suo governo. Lo sappiamo, con la fine dell'estate Berlusconi decide di cambiare passo: dal muto imbarazzo all'aggressione brutale di chi dissente. Chiede o fa chiedere (o spontaneamente gli vengono offerte da burocrati genuflessi e ambiziosissimi) "notizie riservate" che, manipolate con perizia, arrangiate e distorte per l'occasione, possono distruggere la reputazione dei non-conformi e intimidire di riflesso i poteri - in questo caso, la gerarchia della Chiesa - con cui Berlusconi deve fare i conti. Quelle notizie vengono poi passate - magari nella forma della "lettera anonima" redatta da collaboratori dei servizi - ai giornali direttamente o indirettamente controllati dal capo del governo. In redazione se ne trucca la cornice, l'attendibilità, la provenienza. Quei dossier taroccati diventano così l'arma di una bastonatura brutale che deve eliminare gli scomodi, spaventare chi dissente, "educare" i perplessi. A chi altro toccherà dopo Dino Boffo? Quanti sono i dossier che il potere che ci governa ha ordinato di raccogliere? E contro chi? E, concluso il lavoro sporco con i giornalisti che hanno rispetto di se stessi, a chi altro toccherà nel mondo della politica, dell'impresa, della cultura, della società?

sabato 29 agosto 2009

Giovanna Maggiani Chelli: Riina, 41 bis e vittime di mafia

Dal Quotidiano Antimafia 2000
del 29 agosto 2009

di Giovannna Maggiani Chelli)
(Associazione trai familiari delle vittime di via dei Georgiofili)


Mentre apprendiamo che si è estesa la protesta dei detenuti anche al carcere dell’Opera - secondo reparto - dove alloggiano i detenuti condannati a “41 bis” per terrorismo e associazione mafiosa, attraverso la stampa veniamo a conoscenza che Salvatore Riina non compilerà alcun memoriale come aveva promesso, anzi che come prevedibile cercherà di avere una revisione dei processi, e naturalmente cercherà di farsi annullare il “41 bis”.
Non avevamo dubbi sul comportamento del boss di “cosa nostra”.
Noi però non torneremo indietro , il “41 bis” siamo certi debba essere la pena necessaria per il contrasto alla mafia ,fintanto che ognuno dei suoi adpeti non collaborerà con la giustizia dentro i Tribunali ,smascherando chi ha fatto affari con loro e denunciando dove stanno i capitali illeciti accumulati sulla pelle dei nostri parenti.
Capitali che sono così ben nascosti da impedire, ancora oggi, da parte dello Stato, di poter far fronte fino in fondo alle esigenze delle vittime del terrorismo eversivo e mafioso.
Pur comprendendone lo spirito, peraltro racchiuso in norme, non saranno qualche edificio adibito al sociale e qualche campo arato da ragazzi in buona fede al servizio troppo spesso della politica opportunistica a cambiare il sistema mafioso che vige in Italia, ma la presa di coscienza che o si toglie alla mafia veramente tutto quello che ha guadagnato uccidendo e rovinando persone, e lo si restituisce fino all’ultimo centesimo alle sue vittime, o i capi di “cosa nostra” non parleranno mai.
Del resto all’esterno del carcere la famiglia di Riina e quella di Provenzano, sono ampiamente garantite, visto che il potente Messina Denaro è ancora latitante, e prima o poi quei politici che hanno giurato alla mafia in sede di “trattativa”, di abolire l’ergastolo e buttare alle ortiche il “41 bis”, con le buone o con le cattive lo dovranno fare ,fra una visita ipocrita e l’altra fuori e dentro dal carcere.
Ma in tal caso noi torneremo in piazza con gli striscioni a ricordare che il “41 bis” non si tocca,salvo collaborazione con la giustizia da parte della mafia, perché i nostri figli sono stati massacrati proprio per quella abolizione e che per risolvere il problema dell’affollamento delle carceri basta correggere qualche legge che se la prende con i ladri di polli, e riaprire per i boss le isole di Asinara e Pianosa senza se e senza ma.
Altro che visitare i mafiosi rei di strage eversiva in carcere, e portare fuori le loro lagne, le false apprensioni per i loro ricchi figli e il loro collaborazionismo da quattro soldi.
Cordiali saluti