del 28 agosto 2009
Dopo il terremoto è arrivata la Protezione civile. Ed è arrivata con Bertolaso Guido, De Bernardinis Bernardo e tutte le truppe cammellate al seguito, fornitori e clienti compresi.
Il sisma del 6 aprile - annunciato da 4 mesi di scosse durante i quali la Protezione civile non ha mosso un dito in tema di Previsione e Prevenzione - causa morti e rovine, ma mette in ginocchio anche tutte le istituzioni: una “situazione eccellente” per qualsiasi tipo d’intervento senza il pericolo di essere disturbati.
Come tutte le storie che si rispettino, anche questa delle “macerie che scottano” inizia per caso.
Le ore sono quelle immediatamente successive alla scossa del 6 aprile. Lo scenario è un territorio militarizzato già devastata dal sisma, con le sedi di tribunale, corte d’appello, caserme, comune, genio civile, ecc. distrutte o inagibili. A dirigere senza controllo alcuno le operazioni sul terreno è solo la Protezione civile, che nel caos generale esautora gli enti locali di ogni potere e disarticola le forze dell’ordine nelle loro funzioni istituzionali.
In questo quadro, Berlusconi tenta di arginare il primo tsunami in arrivo sulla gestione del post terremoto. “Se ci sono responsabilità emergeranno - dichiara il premier - Per favore non perdiamo tempo, cerchiamo di impiegarlo sulla ricostruzione e non dietro a cose che ormai sono accadute. Quando ci sono questi eventi - insiste il Cavaliere - c’è chi si rimbocca le maniche e chi invece si prodiga a ricercare responsabilità. Io sono diverso, non è nel mio dna. E poi, per indicare responsabilità ci devono essere prove consistenti”.
L’affermazione di Berlusconi è ineccepibile, servono le prove. Infatti, nel frattempo, tra Pasqua e Pasquetta qualcuno le prove le sta facendo sparire a metri cubi, e lo fa a piazza d’Armi con uno spiegamento eccezionale di uomini e di mezzi.
Ma per comprendere il senso dell’irritazione del premier verso stampa e magistratura bisogna fare un passo indietro. A pochi giorni dal sisma, il Procuratore di L’Aquila annuncia l’apertura di un’inchiesta sui crolli di alcuni edifici, pubblici e privati: Alfredo Rossini dichiara che non ci sarebbero stati “indagati”, ma “arrestati”. E’ la prima inchiesta, anzi, “una per ogni crollo sospetto”. Solo che, come ricorda Berlusconi, per indagare, arrestare e condannare servono prove e corpi di reato. Come quelle che venivano triturate a piazza d’Armi.
Migliaia di metri cubi di macerie prelevate dagli edifici posti sotto inchiesta e triturate senza che nessuno avesse provveduto prima al loro sequestro.
La nostra testata denuncia, il tribunale sequestra il poco rimasto, le operazioni a piazza d’Armi si fermano. Il Procuratore annuncia un’altra inchiesta su piazza d’Armi, ma forse solo per la possibile presenza di amianto nei detriti triturati e invita i cittadini a fornire prove: poi nulla. Intanto una di quelle macchine tritasassi finisce nell’ex cava Teges “in preparazione”, ne rendiamo pubblica la presenza e tutto si riblocca. Così a maggio la Protezione civile investe del problema anche il Comune, il quale assegna l’appalto proprio alla Teges. Poi revoca la delibera, scatta l’inchiesta - ed è la seconda sulle macerie - e così la gestione torna a bomba nelle mani della Protezione civile.
Tiriamo le somme: in ballo un appalto da decine di miloni di euro, due inchieste sullo smaltimento macerie invece di una, una macchina tritasassi come filo conduttore, la cava Teges come unico elemento fisso: sempre la Protezione civile come primo attore.
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