giovedì 3 settembre 2009

Brunetta, la rivolta dei dirigenti e l’insofferenza degli altri ministri

Dal Quotidiano Il Corriere della Sera
del 3 settembre 2009

di Sergio Rizzo
(Giornalista)



ROMA — «Io, povero, non bello e non ricco, ho fatto il c... al mondo e sono la Lo­rella Cuccarini del governo Berlusconi». Esattamente un anno fa Renato Brunetta completava questi concetti espressi in una intervista a «Gente» definendosi «il più amato dagli italiani». Volava nei sondaggi, il ministro della Pubblica amministrazio­ne, dopo aver dichiarato guerra ai fannul­loni: secondo per popolarità soltanto a Sil­vio Berlusconi. Mentre gli assenteisti ma­sticavano amaro e lo insultavano, la gente lo incitava per strada: «continui così». E qualche suo collega «rosicava».


Un anno dopo il ministro già più amato dagli italiani si appresta ad affrontare un autunno con qualche insidia in più, e non certamente a causa di sondaggi meno ge­nerosi. Che i suoi rapporti con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti siano com­plessi non è affatto un mistero: lo sono da tempo, anche da prima che i due si ritro­vassero insieme al governo. Più recenti, e collegate alla sua azione governativa, sono invece le insofferenze che altri ministeri (certamente non il suo), e altri ministri, manifestano nei suoi confronti. Malignan­do che la strategia brunettiana abbia pro­dotto finora soprattutto annunci sensazio­nali a mezzo stampa. Culminati nella pub­blicazione del libro «Rivoluzione in cor­so », che qualche invidia pure l'ha suscita­ta.



Alle critiche lui ha sempre ribattuto con i dati che dimostrerebbero un calo a preci­pizio dell'assenteismo, ridottosi del 30% anche soltanto come effetto degli annun­ci. Il fatto è che decisioni sacrosante, come quella di non consentire la nomina a diri­gente generale per coloro che distano dal­la pensione meno di tre anni ha mandato letteralmente su tutte le furie le alte sfere della burocrazia, abituate a promuovere i fedelissimi pochi mesi prima del pensiona­mento per farli uscire dal ministero con la pensione dorata. Per modificare quella norma sarebbe intervenuta perfino la Ra­gioneria dello Stato. Né è stata del tutto di­gerita la disposizione per mandare in pen­sione chi ha raggiunto i quarant'anni di contributi.



Ma Brunetta deve fronteggiare anche la rivolta dei travet, che non accenna a pla­carsi dopo il taglio della parte variabile del­la retribuzione in caso di malattia. Tanto più che la mannaia sui dirigenti, spesso i veri responsabili della scarsa efficienza del­la pubblica amministrazione, non è anco­ra calata. Tutto questo mentre del regola­mento che dovrebbe stabilire quali alti pa­paveri pubblici devono essere sottoposti al tetto degli stipendi fissato dal governo di Romano Prodi, e che doveva essere pronto entro il 31 ottobre 2008, ancora nessuna notizia. «Ora li staneremo», ha promesso alla fi­ne di luglio, riferendosi ai dirigenti respon­sabili delle inefficienze, il ministro a Vitto­rio Zincone sul «Magazine» del Corriere.



Ricordando il prossimo varo di un organi­smo per la valutazione dei servizi. Un'idea nata in seguito alla proposta avanzata dal giuslavorista Pietro Ichino, ora senatore del Partito democratico, ma la cui attuale formulazione ha lasciato alquanto deluso anche chi, nel centrosinistra, aveva soste­nuto senza riserve la crociata del ministro. Fatto sta che quella che doveva essere nel­le intenzioni un'autorità indipendente ve­ra e propria è diventato un organismo ge­stito in condominio da Brunetta e Tremon­ti. Circostanza che avrebbe snaturato il progetto. «L'apparato sta frenando la sua riforma», commentava già alla fine dello scorso aprile lo stesso Ichino, lasciando in­tendere che Brunetta avrebbe le mani lega­te.



Osservazione riget­tata dal ministro, che deve tuttavia fare i conti non soltanto con i sindacati «con­servatori », i burocrati colpiti nella pensione, i consulenti che si so­no visti pubblicare i compensi online, e i dipendenti inferociti. C'è anche chi gli rema contro nel suo stes­so schieramento. Un mese fa, per esem­pio, si è scoperto l’emendamento di un se­natore del suo partito che avrebbe cancel­lato la norma della trasparenza totale, quel­la secondo cui i cittadini dovrebbero poter conoscere con un semplice clic sul mouse del computer vita, morte e miracoli dei di­rigenti pubblici. Lui ci ha messo una pez­za, ma è chiaro che quella norma non avrà vita facile. Insomma, ce n'è abbastanza perché qualcuno interpreti la singolare «aspirazione» a fare il sindaco di Venezia, che il ministro ha recentemente espresso, come un auspicio.

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