Dal Quotidiano La Repubblica
del 15 settembre 2009
di Giuseppe D'Avanzo
(Giornalista)
Ora che si annuncia il character assassination di Gianfranco Fini, come per la brutale liquidazione del direttore dell'Avvenire, non tiene conto discutere di chi preme il grilletto.
Quel che conta è mettersi dinanzi la figura del mandante, le ragioni della sua mossa intimidatoria per fermare l'immagine della scena distruttiva in cui siamo precipitati. Quel che accade, non c'è altro modo per dirlo: Silvio Berlusconi, con il suo giornale, avverte il partner che, en passant, è anche la terza carica della Repubblica. Lo minaccia con formule che fanno venire il freddo alla nuca: "Ultima chiamata per Fini... Fini ha l'esigenza immediata di trovare una ricollocazione: o di qua o di là. Non gli è permesso... Deve risolversi subito... E ricordi che, bocciato un Lodo Alfano, se ne approva un altro". E infine, lo scintillio del coltello: "Ricordi che delegare i magistrati a far giustizia politica è un rischio. Perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. E' sufficiente - per dire - ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme".
Nella "strategia della tensione" (le Monde), inaugurata per l'autunno dal capo del governo, il giornalismo diventa strumento di intimidazione e minaccia. Ce ne possiamo meravigliare? L'avevamo già visto all'opera contro Dino Boffo, quel giornalismo assassino. Quel che conta è scorgere dietro quell'alterazione dell'informazione, la manovra politica, seguire i passi del manovratore. Anche quel dispositivo si era avvistato per tempo. Dopo il rimescolamento nell'informazione controllata direttamente o indirettamente dall'Egoarca, era già chiaro in luglio che sarebbe cominciato il tempo dell'aggressività. Non era difficile prevedere che una stagione di prepotenza avrebbe demolito deliberatamente i non-conformi, degradato i perplessi, umiliato gli antagonisti. Dentro la maggioranza o nell'opposizione. Dentro la politica o fuori della politica. Nel mondo dell'impresa, della società, della cultura, dell'informazione. Nessuno oggi - si deve aggiungere - può dirsi al sicuro dalle ritorsioni dell'Egoarca. Non lo è stata la moglie del premier, la madre dei suoi figli, che per prima ha subito un mortificante rito di degradazione. Non lo è stata la Chiesa dei vescovi italiani, umiliata con le accuse taroccate al direttore dell'Avvenire. Ora tocca al presidente della Camera al quale viene interdetto, con la minaccia di "uno scandalo", di manifestare il proprio pensiero, che poi dovrebbe essere un suo diritto costituzionale. Vale la pena di parlare di Costituzione. Nel lavoro assegnato dal capo del governo al suo giornale, c'è innanzitutto la distruzione dei principi della Carta. L'Egoarca sa che la Corte costituzionale potrebbe cancellare la legge che lo rende immune e fa sapere che se ne impiperà. Farà approvare una nuova legge. Disporrà che sia "immediatamente in vigore". I giudici sono avvisati. Del Parlamento l'Egoarca non se ne cura, è un trascurabile accidente. Se il presidente della Camera ritiene di doversi mettere di traverso, magari rispettando i regolamenti, sappia che finirà nel tritacarne di uno scandalo che non c'è, ma che i media controllati faranno credere vero e infamante. Fini è anche co-fondatore del partito del presidente del Consiglio, è un uomo libero che liberamente - anche se in contrasto con il partner politico - esprime le sue convinzioni su temi (immigrazione, fine-vita) sensibili e controversi. Il presidente del Consiglio gli fa sapere che deve tacere, adeguarsi, rendere le sue idee conformi. In caso contrario, la "macchina della calunnia", che ha organizzato in Sardegna e ad Arcore quest'estate, lo stritolerà.
Il paradigma che informa, in questa stagione, l'Egoarca è soltanto un fragoroso, orientale abuso del potere. Berlusconi ha rinunciato anche all'obiettivo dichiarato di ridurre i poteri plurali e diffusi a vantaggio di una forma politico-istituzionale accentrata nella sua figura di premier cancellando il quadro politico dove competono le forze sociali e politiche, rivendicando le sue decisioni direttamente in televisione in nome della legittimità conquistata con il voto. Oggi, Berlusconi non reclama più nemmeno la legittimità di quel potere. Preferisce mostrarne, senza alcuna finzione ideologica, con immediata concretezza, soltanto la violenza pura. Gli interessa soltanto alimentare l'efficienza di una macchina di potere che non vive di idee, progetti, discussioni, riforme, alterità, ma di brutalità, imperio, conformismo e terrore. Quel che si intravede è un uomo solo, circondato da cattivi consiglieri, prigioniero di una sindrome narcisistica, incapace di fare i conti con una realtà che non controlla più, che non riesce più annullare. Illiberale fino alle midolla, avverte il declino e vede ovunque oscuri pericoli. Nella stampa estera, nelle cancellerie europee, nell'Ue, tra i suoi alleati di governo e di partito, nelle gerarchie ecclesiastiche, nella magistratura, nell'informazione pubblica. Ogni dissenso - anche il più motivato e amichevole - gli appare un atto persecutorio cui replicare "colpo su colpo". Questa deriva rende oggi Silvio Berlusconi un uomo violento e pericoloso. Nella sua crisi trascinerà lo Stato che rappresenta. Lo abbiamo già detto e ogni giorno diventa più vero. La scena in cui siamo precipitati è la decadenza di un leader che non accetta e non accetterà il suo fallimento. Trascinerà il Paese nella sua sconfitta, dividendolo con l'odio.
del 15 settembre 2009
di Giuseppe D'Avanzo
(Giornalista)
Ora che si annuncia il character assassination di Gianfranco Fini, come per la brutale liquidazione del direttore dell'Avvenire, non tiene conto discutere di chi preme il grilletto.
Quel che conta è mettersi dinanzi la figura del mandante, le ragioni della sua mossa intimidatoria per fermare l'immagine della scena distruttiva in cui siamo precipitati. Quel che accade, non c'è altro modo per dirlo: Silvio Berlusconi, con il suo giornale, avverte il partner che, en passant, è anche la terza carica della Repubblica. Lo minaccia con formule che fanno venire il freddo alla nuca: "Ultima chiamata per Fini... Fini ha l'esigenza immediata di trovare una ricollocazione: o di qua o di là. Non gli è permesso... Deve risolversi subito... E ricordi che, bocciato un Lodo Alfano, se ne approva un altro". E infine, lo scintillio del coltello: "Ricordi che delegare i magistrati a far giustizia politica è un rischio. Perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. E' sufficiente - per dire - ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme".
Nella "strategia della tensione" (le Monde), inaugurata per l'autunno dal capo del governo, il giornalismo diventa strumento di intimidazione e minaccia. Ce ne possiamo meravigliare? L'avevamo già visto all'opera contro Dino Boffo, quel giornalismo assassino. Quel che conta è scorgere dietro quell'alterazione dell'informazione, la manovra politica, seguire i passi del manovratore. Anche quel dispositivo si era avvistato per tempo. Dopo il rimescolamento nell'informazione controllata direttamente o indirettamente dall'Egoarca, era già chiaro in luglio che sarebbe cominciato il tempo dell'aggressività. Non era difficile prevedere che una stagione di prepotenza avrebbe demolito deliberatamente i non-conformi, degradato i perplessi, umiliato gli antagonisti. Dentro la maggioranza o nell'opposizione. Dentro la politica o fuori della politica. Nel mondo dell'impresa, della società, della cultura, dell'informazione. Nessuno oggi - si deve aggiungere - può dirsi al sicuro dalle ritorsioni dell'Egoarca. Non lo è stata la moglie del premier, la madre dei suoi figli, che per prima ha subito un mortificante rito di degradazione. Non lo è stata la Chiesa dei vescovi italiani, umiliata con le accuse taroccate al direttore dell'Avvenire. Ora tocca al presidente della Camera al quale viene interdetto, con la minaccia di "uno scandalo", di manifestare il proprio pensiero, che poi dovrebbe essere un suo diritto costituzionale. Vale la pena di parlare di Costituzione. Nel lavoro assegnato dal capo del governo al suo giornale, c'è innanzitutto la distruzione dei principi della Carta. L'Egoarca sa che la Corte costituzionale potrebbe cancellare la legge che lo rende immune e fa sapere che se ne impiperà. Farà approvare una nuova legge. Disporrà che sia "immediatamente in vigore". I giudici sono avvisati. Del Parlamento l'Egoarca non se ne cura, è un trascurabile accidente. Se il presidente della Camera ritiene di doversi mettere di traverso, magari rispettando i regolamenti, sappia che finirà nel tritacarne di uno scandalo che non c'è, ma che i media controllati faranno credere vero e infamante. Fini è anche co-fondatore del partito del presidente del Consiglio, è un uomo libero che liberamente - anche se in contrasto con il partner politico - esprime le sue convinzioni su temi (immigrazione, fine-vita) sensibili e controversi. Il presidente del Consiglio gli fa sapere che deve tacere, adeguarsi, rendere le sue idee conformi. In caso contrario, la "macchina della calunnia", che ha organizzato in Sardegna e ad Arcore quest'estate, lo stritolerà.
Il paradigma che informa, in questa stagione, l'Egoarca è soltanto un fragoroso, orientale abuso del potere. Berlusconi ha rinunciato anche all'obiettivo dichiarato di ridurre i poteri plurali e diffusi a vantaggio di una forma politico-istituzionale accentrata nella sua figura di premier cancellando il quadro politico dove competono le forze sociali e politiche, rivendicando le sue decisioni direttamente in televisione in nome della legittimità conquistata con il voto. Oggi, Berlusconi non reclama più nemmeno la legittimità di quel potere. Preferisce mostrarne, senza alcuna finzione ideologica, con immediata concretezza, soltanto la violenza pura. Gli interessa soltanto alimentare l'efficienza di una macchina di potere che non vive di idee, progetti, discussioni, riforme, alterità, ma di brutalità, imperio, conformismo e terrore. Quel che si intravede è un uomo solo, circondato da cattivi consiglieri, prigioniero di una sindrome narcisistica, incapace di fare i conti con una realtà che non controlla più, che non riesce più annullare. Illiberale fino alle midolla, avverte il declino e vede ovunque oscuri pericoli. Nella stampa estera, nelle cancellerie europee, nell'Ue, tra i suoi alleati di governo e di partito, nelle gerarchie ecclesiastiche, nella magistratura, nell'informazione pubblica. Ogni dissenso - anche il più motivato e amichevole - gli appare un atto persecutorio cui replicare "colpo su colpo". Questa deriva rende oggi Silvio Berlusconi un uomo violento e pericoloso. Nella sua crisi trascinerà lo Stato che rappresenta. Lo abbiamo già detto e ogni giorno diventa più vero. La scena in cui siamo precipitati è la decadenza di un leader che non accetta e non accetterà il suo fallimento. Trascinerà il Paese nella sua sconfitta, dividendolo con l'odio.
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