martedì 22 settembre 2009

Separazione delle carriere 2

Dal sito L'Antefatto
del 22 settembre 2009

di Bruno Tinti
(Ex Procuratore della Repubblica Aggiunto di Torino)



Non avrei mai creduto che un problema così tecnico come la separazione delle carriere avrebbe sollevato tanto interesse. I commenti sono stati numerosissimi e, quasi sempre, molto pertinenti e stimolanti. Cerco di rispondere meglio che posso. C’è, in molti commenti, un equivoco di fondo: PM e giudice fanno due mestieri diversi e dunque è ragionevole che le carriere siano diverse. Questo proprio non è vero; credo che l’equivoco sia colpa mia: certamente non sono riuscito a spiegarmi bene. Vediamo se ci riesco adesso.

Cosa fa il PM? Riceve le denuncie (dei privati e della polizia), raccoglie gli elementi di prova che gli sono forniti dai denuncianti; delega alla polizia, quando lo ritiene necessario, di raccogliere altri elementi di prova, impartendo istruzioni (per esempio: andate a cercare il marito della signora che abita al piano terra dell’alloggio dove è avvenuto il furto, ricordate? E chiedetegli etc. etc.); raccoglie lui stesso altri elementi di prova se lo ritiene necessario (per esempio, interroga lui stesso il marito della signora etc. etc.). Quando ha finito, nel senso che gli sembra che ha fatto tutto il possibile per raccogliere gli elementi di prova necessari per accertare quello che è successo, compie una valutazione: questi elementi di prova mi convincono che l’imputato (che in realtà in questa fase si chiama indagato, sia mai che qualcuno mi contesti l’imprecisione) è innocente; oppure, mi convincono che è colpevole. Nel primo caso decide di chiedere al GIP di archiviare o pronunciare sentenza di non doversi procedere (processualmente ci sono differenze ma qui non ci interessano). Nel secondo caso decide di rinviare a giudizio l’indagato avanti al Tribunale (oppure, in certi casi, davanti al GIP che deciderà se rinviarlo a giudizio oppure no; trattasi di un ulteriore filtro a garanzia dell’imputato).

Cosa fa il giudice (ci sono delle differenze se si tratta di un GIP o di un giudice del dibattimento ma qui non le sto a spiegare perché è inutile ai fini del discorso che stiamo facendo) quando il PM ha deciso di mandare l’imputato davanti a lui perché gli si faccia il processo? Esamina tutti gli elementi di prova raccolti dal PM e gli altri che la difesa eventualmente produce (probabilmente alcuni sono stati già prodotti prima, altri lo saranno solo in questo momento). Se non gli bastano e pensa che sia necessario acquisire altri elementi, dispone che vengano acquisiti (è il 507 cpp su cui tanti hanno discusso; che si tratti di potere residuale o no, non ha nulla a che fare con il discorso che stiamo facendo che è un discorso di fatto, non giuridico). Dopodiché si trova esattamente nella stessa situazione in cui si è trovato il PM alla fine delle indagini: deve compiere una valutazione; queste prove mi convincono che l’imputato è innocente; oppure mi convincono che è colpevole; ed emette la sentenza del caso.

Differenze. Qual è dunque la differenza professionale tra PM e giudice? Io non riesco proprio a vederla. E’ naturale che il PM che si è convinto, alla fine delle indagini, che l’imputato è colpevole, sosterrà questa tesi al dibattimento (sempre che non arrivino nuove prove che lo convincano che invece è innocente, nel qual caso chiederà l’assoluzione). Così come è naturale che il giudice che si è convinto, alla fine del dibattimento, che l’imputato è colpevole, scriverà una sentenza di condanna in cui accuserà l’imputato (sempreché non si convinca che invece è innocente, nel qual caso scriverà una sentenza di assoluzione). Non si tratta proprio dello stesso lavoro?

I giudici come i medici. Per quelli che non hanno apprezzato l’analogia con i medici, cerco di chiarire: volevo spiegare che ogni medico lavora nello stesso modo (proprio come PM e giudici); poi, si capisce, uno prenderà le sue decisioni in ambito ginecologico e un altro in ambito ortopedico. Ed è proprio per questo che ho detto che le identità fra PM e giudice sono molto più forti di quelle tra diversi specialisti medici; perché PM e giudice operano sulla stessa realtà; per continuare l’analogia, sono entrambi ortopedici o ginecologi o quello che volete voi; mentre gli specialisti medici operano su realtà diverse, sia pure con gli stessi metodi professionali. Ed ecco anche perché non c’è nulla di strano che un PM vada a fare il giudice (penale) e un giudice (penale) vada a fare il PM: perché hanno sempre fatto lo stesso mestiere. Certo, un PM avrà una maggiore esperienza del rapporto con la polizia, con le strutture pubbliche che gli debbono garantire mezzi di indagine (questa è la vera croce del PM) e un giudice dovrà farsela; ma si tratta di banalità. E’ invece vero che il passaggio dal penale al civile non è molto consigliabile: è veramente difficile; e infatti avviene raramente perché si tratta proprio di specialità diverse, esattamente come un cardiologo difficilmente si metterà a fare il ginecologo.

Amicizia. Alcuni hanno rilevato che è il rapporto di amicizia che lega due persone che appartengono alla stessa carriera che non va bene; perché il giudice sarà portato a privilegiare le tesi del PM suo collega più di quelle dell’avvocato.

Devo dire che trovo questo argomento un po’ irritante: in realtà chi lo propone è qualcuno che, evidentemente, pensa che sia normale agire in questo modo, tradendo il proprio dovere; forse lui, in questa situazione, farebbe proprio così. Ma in realtà nelle aule giudiziarie non va affatto in questo modo; anzi spesso succede il contrario. Un po’ perché il giudice sa che questo sospetto aleggia su di lui, e quindi è particolarmente attento e severo nei confronti del PM; un po’ perché, tra colleghi, c’è sempre una forte rivalità professionale: “sarai mica tu che mi vieni a spiegare quello che devo fare?” In tanti anni io ho dovuto spessissimo combattere le mie più aspre battaglie giudiziarie con i giudici più che con le difese. Ma poi, se questo argomento fosse fondato, quante carriere dovremmo separare? I giudici di appello, quelli che decidono se confermare o cassare le sentenze emesse dai giudici di tribunale, sono stati, magari fino al giorno prima, giudici di tribunale anche loro. Magari hanno lavorato nella stessa sezione del tribunale che ha emesso la sentenza che debbono riformare o confermare; magari sono proprio amici dei giudici che l’hanno scritta, ci hanno lavorato fianco a fianco per anni. Che si fa, carriere separate per giudici di tribunale e giudici di appello? E poi, e i giudici di cassazione? Anche loro provengono dai tribunali e dalle corti di appello di tutta Italia; magari conoscono benissimo il collega che ha scritto la sentenza che dovranno riformare, rilevando (che è una cosa seccante per un giudice) errori di diritto. Che si fa? Carriere separate anche per i giudici della cassazione? Che nessuno abbia mai pensato a soluzioni del genere dimostra che, evidentemente, la molto pubblicizzata separazione delle carriere tra PM e giudici ha finalità inconfessabili, ben diverse da quelle sbandierate,

Molti si sono chiesti: ma come funzionerebbe il sistema se le carriere fossero separate?Prima di tutto voglio dirvi che non intendo farmi pubblicità ma di queste cose ho scritto su La questione immorale (ed. Chiarelettere) e lì ho trattato il problema meglio che ho potuto; sicché vi trovereste molte risposte. Ma cerco di spiegarlo anche qui. Una carriera separata, visto che non si giustifica sul piano professionale, può avere una sola ragione: il PM non deve più lavorare come ho descritto finora, come un giudice (se no, che le separiamo a fare le carriere?) ma in un altro modo. Quale può essere questo modo? C’è una sola opzione, che del resto emerge da tutti gli interventi che sono favorevoli alla separazione: il PM deve sostenere l’accusa. L’accusa, solo questo. Non deve indagare più a 360 gradi, non si deve più chiedere se l’indagato (quello che polizia o privati hanno denunciato) è colpevole o innocente (se lo facesse torneremmo al modello attuale e allora la separazione sarebbe priva di senso). Deve solo raccogliere le prove che gli servono per sostenere al processo che l’imputato è colpevole; le altre prove, quelle che servono per dimostrare che l’imputato è innocente, sono un fatto della difesa; ci penserà l’avvocato, la cosa non lo riguarda.

Ecco, questo vuol dire un PM che sostiene l’accusa: un processo in cui il PM è un altro avvocato. Quello difensore sostiene la difesa e se per caso si imbatte in una prova che accusa il suo cliente fa finta di non vederla e (magari gli riesce ma spesso sarebbe un reato e gli avvocati onesti non lo fanno) la nasconde; comunque evita di evidenziarla. Quello accusatore sostiene l’accusa: e, se per caso si imbatte in prove che contrastano la sua tesi, le nasconde etc. etc.

Poi, davanti al giudice, che a questo punto fa davvero un altro mestiere, ognuno dei due tirerà l’acqua al suo mulino; ognuno dei due sosterrà la sua tesi, senza chiedersi se è giusta o no, semplicemente cercando di farla prevalere. E il giudice cercherà di decidere per il meglio.

Vi piace questo sistema? Io lo trovo folle.

Negli Stati Uniti funziona così; e lì è ancora peggio perché c’è la giuria, cioè cittadini che di leggi e diritto non sanno nulla e che decidono in base alle impressioni suscitate in loro nel corso del processo. Un avvocato celebre, elegante, suadente, intelligente li convincerà più facilmente di un avvocato sciatto, rozzo, approssimativo, antipatico. Ma come si presentano, come sono i due avvocati, quello dell’accusa e quello della difesa, non ha nulla a che fare con la tesi che sostengono, non ha nulla a che fare con l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato. E infatti negli Stati Uniti le carceri sono piene di innocenti (anche per via di altri strumenti processuali che qui non sto ad analizzare); e soprattutto per via del fatto che i poveri certo non possono permettersi difese in grado di contrastare il PM (che lì si chiama Procuratore Distrettuale). Il PM ha mezzi tecnici, economici e di personale (la Polizia della sua città, l’FBI, la DEA, i consulenti tecnici del suo ufficio) che la difesa si deve pagare. E che si fa se l’imputato non ha soldi? Niente si fa, si difende come può e non l’aiuta nessuno.

Ma questo sistema presenta anche altri problemi. Un avvocato che rappresenta l’accusa e solo quella non può essere indipendente; sarebbe irragionevole. L’indipendenza è un requisito del giudice che deve essere libero di decidere quello che gli sembra giusto. Ma, se si è già deciso che il PM deve sostenere l’accusa e solo quella, qualsiasi sia la sua opinione personale sulla colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, allora, come gli avvocati, avrà un cliente, quello che gli impone la tesi da sostenere. In questo caso lo Stato.

Ho detto lo Stato? Ho sbagliato. Lo Stato è il cliente che servono i giudici e quindi, oggi, anche il PM-giudice. Ma il PM avvocato che sostiene l’accusa ha come cliente il Governo. Proprio come l’Avvocatura dello Stato che sostiene le tesi che il suo cliente, il Governo, gli chiede di sostenere. Proprio come ha fatto (scusate la parentesi) l’Avvocatura dello Stato avanti alla Corte Costituzionale, quando ha spiegato che il Lodo Alfano va conservato perché se no Berlusconi dovrebbe dimettersi; “e pensate che danno per il Paese!” Argomentazione di una raffinatezza giuridica che, dopo 41 anni di magistratura, ho difficoltà a percepire.

Il problema allora è che, se il cliente del PM è il Governo, i processi finiscono con il diventare politici. Il PM avvocato (il PM che sostiene l’accusa) viene incaricato di fare questo e quell’altro processo; e soprattutto, di non fare questo o quell’altro.

Vi piace questo sistema? A me pare folle

In Francia funziona proprio così. I miei colleghi francesi spesso mi hanno detto che si sono trovati a dover seguire direttive che stridono con equità e buon senso; e, talvolta, ispirate da chiare ragioni politiche. Qualcuno ha dato le dimissioni perché gli era stato imposto di accusare imputati che erano innocenti e che però il Governo voleva perseguire.

Vi piace questo sistema? A me pare folle.

Il che mi suggerisce di rispondere ad alcuni commenti che hanno rilevato come la separazione delle carriere è cosa buona e giusta anche se, al momento attuale, è sconsigliata dall’esistenza di un Governo nelle mani di Berlusconi.

Questo discorso è veramente sbagliato. Il potere è potere, da chiunque venga esercitato. Berlusconi rende sicuro l’abuso di un sistema che gli affidasse il controllo delle Procure. Ma questo abuso potrebbe essere esercitato da chiunque si trovasse un giorno nella sua posizione. Quando Montesquieu ha disegnato il suo celebre assetto costituzionale fondato sulla separazione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) non ha certo pensato che esso avrebbe potuto essere derogato qualora lo Stato fosse finito nelle mani di un tiranno buono e giusto; e, se venisse rovesciato da un tiranno cattivo che si servirebbe, per rovesciarlo, proprio di quell’assetto costituzionale disegnato per il tiranno buono? Poi, ci sono momenti storici in cui i detentori del potere sono peggiori della media; e purtroppo noi stiamo vivendo un momento di quelli. Ma non si costruisce una Costituzione in funzione degli uomini che di volta in volta, governano: sono questi che debbono rispettare la Costituzione.

Per finire, due parole per i non estimatori del sistema giudiziario italiano. Quando difendo questo sistema (che tutti i magistrati europei riconoscono essere il migliore, ricordatevelo quando avrete finito di leggere queste righe) difendo un’idea, un’astrazione, un sistema scientifico. Tutto questo discorso non ha nulla a che fare con lo sfascio della giustizia italiana. Ma, questo è il punto, la giustizia italiana non è allo sfascio perché non c’è la separazione delle carriere; così come negli altri Paesi la giustizia non funziona meglio perché le carriere sono separate. Lo sfascio italiano è dovuto ad un complesso normativo costruito all’esplicito scopo di non far funzionare il processo penale. Ma questo un altro discorso (che, di nuovo, trovate meglio affrontato in La Questione Immorale)

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