Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 22 ottobre 2009
di Lucia Annunziata
(Giornalista)
Caro direttore, la bocciatura del Lodo Alfano non era scontata nè – fino all’ultimo, ammettiamolo - probabile. Il suo materializzarsi a dispetto di ogni previsione, è, di conseguenza, una sorta di canovaccio che racconta molto del detto, e ancor più del non detto, della politica attuale. Partirei proprio da qui: dalla sorpresa. Alla vigilia della decisione, era opinione comune di cronisti ed editorialisti, anche in ambienti di provata buona fede costituzionale, che una bocciatura avrebbe causato tale strappo dentro il sistema da essere impossibile, anzi sconsigliabile. Si immaginava così, alla meglio, un “compromesso”. Col senno del poi questa idea fa ridere: quale compromesso e’ possibile? La uguaglianza di fronte alla legge, c’è o non c’è. Proprio per questo oggi dobbiamo ricordarci la assuefazione al “meno peggio” di quelle ore: e’ la migliore indicazione di quanto in basso si sia assestata la nostra attesa nei confronti del rispetto dei principi costituzionali.
Questo è dunque il risultato numero uno della sentenza della Consulta: il rifiuto del Lodo Alfano raggiunto sulla base di un richiamo, netto e ripetuto, ai principi, ha rotto una pratica cui purtroppo cominciavamo tutti ad abituarci: la convinzione che persino sulla Costituzione si può mediare. Ci hanno abituato a questa idea anni di “aggiustatine”, il lavoro di una casta di mandarini, esperti in servizio permanente e effettivo della concordia istituzionale, funzionari delle ricuciture, nata e ingrassata all’ombra di “taglia e cuci” istituzionali, che ha operato ai bordi del significato letterale dei principi, in nome di salvarne lo spirito. Anni di leggi discutibili. Ricordate la Gasparri e tutte le sue “modifiche tecniche”? Non intendo riferirmi qui a persone specifiche, ma a un settore fra stato e politica, che in nome dell’equilibrio istituzionale, ha provato – e anche qui preferisco parlare di buona fede - a convincerci che nell’impossibilità di violarla, la Costituzione può però essere almeno circumnavigata. Su queste pagine pochi giorni fa Barbara Spinelli rifletteva giustamente sullo scarso senso dello Stato di questa nostra nazione. La decisione recente della Corte, come confermano le motivazioni depositate, ci dimostra però che lo Stato anche in Italia esiste - quando, e se, si vuole.
Il che ci porta alla conseguenza numero due. La Corte, respingendo in quanto incostituzionale una legge fatta dal Governo, mette il governo stesso in sospetto o in condizione - almeno su un punto - di incostituzionalità. Per un esecutivo è la posizione più grave in cui trovarsi. A fronte, ogni critica precedente, dal conflitto di interesse, ai sospetti di collusioni, agli scandali privati, impallidisce.
Anche questa è una novità. Dopo la bocciatura del Lodo Alfano il governo Berlusconi è entrato in una crisi strutturale, in cui lo Stato custode della Costituzione è da una parte e lo stato elettivo, quello del governo, dall’altra. In questo senso, la distanza attuale fra il Presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio non è certo la misura di un dissenso, nè di opinioni o sentimenti personali. Considerando che tutti i corpi che compongono lo Stato e la vita pubblica – dalle strutture di sicurezza agli ordini professionali – sono definiti dalla lealtà alla Costituzione, fra i due il più isolato è certo il presidente del Consiglio. Per la prima volta, così, il rapporto di forze non sembra più essere a favore dell’esecutivo. Nel momento in cui lo scontro si è istituzionalizzato, è uscito infatti anche dalla sfera tradizionale dei partiti. Togliendo al premier la possibilità di giocare la sua base elettorale come un maglio. Per questo l’area di governo tende a politicizzare il verdetto della Corte, e il ruolo del Presidente della Repubblica: sarebbe meno grave infatti per la attuale maggioranza dire di essere vittima di una congiura partitica piuttosto che ammettere di essere stata colta in flagrante violazione della Costituzione.
Esiamo al punto tre. Il disallienamento fra il governo e i valori (almeno uno di essi ) della Costituzione è crisi di tale gravità da bruciare tutte le soluzioni fin qui usate dal premier Berlusconi per ricucire molti strappi. Le soluzioni per il dopo-Lodo che ci vengono presentate sono infatti pannicelli caldi o rodomontate . Personaggi di buon senso della coalizione di governo, come Pisanu, o Fini, e in fondo lo stesso Bossi – chiedono di rilanciare le Riforme. In questo schema, si ragiona, in cambio di una riforma della giustizia che possa rassicurare il premier, si potrebbero fare riforme di interesse piu generale, come il federalismo e il presidenzialismo. Ma interventi di questo tipo, che modificano la Costituzione, anche ammesso che si arrivi a un accordo, richiedono anni. Il premier invece sembra tentato da “riformine” sulla giustizia, magari con lo spregiudicato uso (già se ne parla) di emendamenti dentro progetti di legge in discussione. O con un intervento ad hoc su un tema carissimo alla prima repubblica, il ritorno della immunità parlamentare. Ma sono anche queste forzature delle regole, che invece che risolvere aggraverebbero la lontananza del governo dai suoi critici istituzionali. Che dire poi della dichiarazione di mobilitare il popolo per fare le riforme? Mobilitare chi, su cosa, dove, solo per contare e contarsi? Per un governo già sospetto di voler forzare la Costituzione, sarebbe una decisione molto pericolosa da prendere.
Rimane la carta del tutto per tutto, la più semplice: azzerare tutto andando a elezioni anticipate. Ma la riluttanza della coalizione di governo a prendere questa strada è da sola una condanna di questa ipotesi. Insomma. Silvio Berlusconi non è forse mai stato vulnerabile come in questo momento. E mai come in questo momento ha poche strade ordinarie da percorrere. Cosa farà dunque? Il luogo più inquietante della nostra vita pubblicaè oggi proprio dentro questo interrogativo.
del 22 ottobre 2009
di Lucia Annunziata
(Giornalista)
Caro direttore, la bocciatura del Lodo Alfano non era scontata nè – fino all’ultimo, ammettiamolo - probabile. Il suo materializzarsi a dispetto di ogni previsione, è, di conseguenza, una sorta di canovaccio che racconta molto del detto, e ancor più del non detto, della politica attuale. Partirei proprio da qui: dalla sorpresa. Alla vigilia della decisione, era opinione comune di cronisti ed editorialisti, anche in ambienti di provata buona fede costituzionale, che una bocciatura avrebbe causato tale strappo dentro il sistema da essere impossibile, anzi sconsigliabile. Si immaginava così, alla meglio, un “compromesso”. Col senno del poi questa idea fa ridere: quale compromesso e’ possibile? La uguaglianza di fronte alla legge, c’è o non c’è. Proprio per questo oggi dobbiamo ricordarci la assuefazione al “meno peggio” di quelle ore: e’ la migliore indicazione di quanto in basso si sia assestata la nostra attesa nei confronti del rispetto dei principi costituzionali.
Questo è dunque il risultato numero uno della sentenza della Consulta: il rifiuto del Lodo Alfano raggiunto sulla base di un richiamo, netto e ripetuto, ai principi, ha rotto una pratica cui purtroppo cominciavamo tutti ad abituarci: la convinzione che persino sulla Costituzione si può mediare. Ci hanno abituato a questa idea anni di “aggiustatine”, il lavoro di una casta di mandarini, esperti in servizio permanente e effettivo della concordia istituzionale, funzionari delle ricuciture, nata e ingrassata all’ombra di “taglia e cuci” istituzionali, che ha operato ai bordi del significato letterale dei principi, in nome di salvarne lo spirito. Anni di leggi discutibili. Ricordate la Gasparri e tutte le sue “modifiche tecniche”? Non intendo riferirmi qui a persone specifiche, ma a un settore fra stato e politica, che in nome dell’equilibrio istituzionale, ha provato – e anche qui preferisco parlare di buona fede - a convincerci che nell’impossibilità di violarla, la Costituzione può però essere almeno circumnavigata. Su queste pagine pochi giorni fa Barbara Spinelli rifletteva giustamente sullo scarso senso dello Stato di questa nostra nazione. La decisione recente della Corte, come confermano le motivazioni depositate, ci dimostra però che lo Stato anche in Italia esiste - quando, e se, si vuole.
Il che ci porta alla conseguenza numero due. La Corte, respingendo in quanto incostituzionale una legge fatta dal Governo, mette il governo stesso in sospetto o in condizione - almeno su un punto - di incostituzionalità. Per un esecutivo è la posizione più grave in cui trovarsi. A fronte, ogni critica precedente, dal conflitto di interesse, ai sospetti di collusioni, agli scandali privati, impallidisce.
Anche questa è una novità. Dopo la bocciatura del Lodo Alfano il governo Berlusconi è entrato in una crisi strutturale, in cui lo Stato custode della Costituzione è da una parte e lo stato elettivo, quello del governo, dall’altra. In questo senso, la distanza attuale fra il Presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio non è certo la misura di un dissenso, nè di opinioni o sentimenti personali. Considerando che tutti i corpi che compongono lo Stato e la vita pubblica – dalle strutture di sicurezza agli ordini professionali – sono definiti dalla lealtà alla Costituzione, fra i due il più isolato è certo il presidente del Consiglio. Per la prima volta, così, il rapporto di forze non sembra più essere a favore dell’esecutivo. Nel momento in cui lo scontro si è istituzionalizzato, è uscito infatti anche dalla sfera tradizionale dei partiti. Togliendo al premier la possibilità di giocare la sua base elettorale come un maglio. Per questo l’area di governo tende a politicizzare il verdetto della Corte, e il ruolo del Presidente della Repubblica: sarebbe meno grave infatti per la attuale maggioranza dire di essere vittima di una congiura partitica piuttosto che ammettere di essere stata colta in flagrante violazione della Costituzione.
Esiamo al punto tre. Il disallienamento fra il governo e i valori (almeno uno di essi ) della Costituzione è crisi di tale gravità da bruciare tutte le soluzioni fin qui usate dal premier Berlusconi per ricucire molti strappi. Le soluzioni per il dopo-Lodo che ci vengono presentate sono infatti pannicelli caldi o rodomontate . Personaggi di buon senso della coalizione di governo, come Pisanu, o Fini, e in fondo lo stesso Bossi – chiedono di rilanciare le Riforme. In questo schema, si ragiona, in cambio di una riforma della giustizia che possa rassicurare il premier, si potrebbero fare riforme di interesse piu generale, come il federalismo e il presidenzialismo. Ma interventi di questo tipo, che modificano la Costituzione, anche ammesso che si arrivi a un accordo, richiedono anni. Il premier invece sembra tentato da “riformine” sulla giustizia, magari con lo spregiudicato uso (già se ne parla) di emendamenti dentro progetti di legge in discussione. O con un intervento ad hoc su un tema carissimo alla prima repubblica, il ritorno della immunità parlamentare. Ma sono anche queste forzature delle regole, che invece che risolvere aggraverebbero la lontananza del governo dai suoi critici istituzionali. Che dire poi della dichiarazione di mobilitare il popolo per fare le riforme? Mobilitare chi, su cosa, dove, solo per contare e contarsi? Per un governo già sospetto di voler forzare la Costituzione, sarebbe una decisione molto pericolosa da prendere.
Rimane la carta del tutto per tutto, la più semplice: azzerare tutto andando a elezioni anticipate. Ma la riluttanza della coalizione di governo a prendere questa strada è da sola una condanna di questa ipotesi. Insomma. Silvio Berlusconi non è forse mai stato vulnerabile come in questo momento. E mai come in questo momento ha poche strade ordinarie da percorrere. Cosa farà dunque? Il luogo più inquietante della nostra vita pubblicaè oggi proprio dentro questo interrogativo.
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