del 29 ottobre 2009
di Luigi De Magistris
(Europarlamentare IDV)
Non c'è possibilità di dialogo, non c'è mediazione possibile. La decisione presa ieri dalla maggioranza in Commissione Affari sociali, ovvero di riprendere il dibattito alla Camera ripartendo dal ddl Calabrò approvato al Senato, è il segnale che sul tema del testamento biologico il Pdl e la Lega, con la sola eccezione dei finiani e di qualche voce libera, hanno intenzione di procedere per strappi e lacerazioni.
Si era invocato il buon senso e la tolleranza, si era professata la volontà di arrivare ad una legge equilibrata che consentisse ciò che deve consentire uno Stato democratico e laico: la possibilità che ciascuno scelga liberamente sulla sua vita, in particolare la propria salute e il proprio corpo, in osservanza dell'articolo 32 della Costituzione e di quel "habeas corpus" che fonda la cultura moderna.
Ma per arrivare a questo obiettivo la sola strada percorribile era il confronto, lo stesso che ieri si è deciso di affossare scegliendo di riproporre un testo, il ddl Calabrò, su cui al Senato tutto è stato registrato tranne che la convergenza politica. Si azzera il dibattito parlamentare e con esso la possibilità di una norma giusta, mentre si perde completamente l'eredità preziosa che ci è stata consegnata dalla vicenda di Eluana Englaro.
Prevalgono, insomma, il fanatismo e l'interesse partitico: uno strano concetto di cristianità, fondato sull'intolleranza, si mescola allo scopo di confezionare una legge da gettare sul tavolo da gioco del rapporto col Vaticano, nella speranza che questo possa bastare, insieme all'affossamento della norma anti-omofobia, a riconquistare il terreno perso Oltretevere dal premier a causa della sua condotta privata.
Dunque si svende la libertà dell'individuo e il suo diritto a scegliere in modo ultimo su quali trattamenti sanitari ricevere; si cede all'idea che sia cristiano obbligare alla sopravvivenza, attraverso tubi e macchinari, un essere umano che non può esprimere la sua volontà magari contraria; si impone per tutti un modello etico e morale, cancellando quel principio irrinunciabile che reputa il convincimento religioso qualcosa di così importante perché intimo e libero. E' lo Stato etico senza più etica, dove conta la sola voce della maggioranza morale e dove non ha spazio il pluralismo.
Il ddl Calabrò è un testo ingiusto e crudele: le volontà di fine vita non sono considerate vincolanti per i sanitari, dunque si tratta solo formalmente di testamento biologico; mentre non c'è possibilità di esprimersi su alimentazione e idratazione artificiali - nodo frequente di scelta da parte di pazienti e famiglie - negando la loro natura di trattamenti terapeutici.
Questi sono solo i due aspetti principali su cui si può concentrare la critica, parallelamente all'obiezione rispetto alla blindatura del testo che sta cercando di introdurre la maggioranza. Su tutto, poi, la triste percezione di un Paese sempre fermo allo scontro tra guelfi e ghibellini, incapace di affrontare sul piano ideale e filosofico il tema del rapporto fra progresso scientifico e pensiero etico-morale: la frontiera della medicina, infatti, sposta i suoi confini interrogandoci sul piano dei valori, chiedendoci cosa sia nascere e morire e soprattutto vivere. Noi di fronte a questa sfida e a queste domande rispondiamo non rispondendo, percorrendo la strada comoda di un pensiero fisso, cristallizzato, dogmatico, insomma morto.
Quello che serve è il coraggio della sfida contemporanea, invece di rifluire, come fa la maggioranza, nella certezza incerta del proprio fanatismo, sempre utile anche a fine di consenso politico. Ora la battaglia si sposta alla Camera e dovrà essere combattuta emendamento per emendamento, nella speranza di depotenziare un altro ennesimo mostro giuridico, che purtroppo ci riguarderà tutti.
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