del 30 ottobre 2009
di Luciano Scalettari
(Giornalista)
Quel documento, sparito pochi minuti dopo la strage di via D'Amelio del 19 luglio, è fondamentale per capire. Chi ce l'ha in mano è in grado di ricattare mezzo mondo politico italiano.
È sceso a Palermo ancora una volta, il 19 luglio scorso. Per chiedere di nuovo verità e giustizia, per quella che è stata – come ha ripetuto da anni – una strage di Stato. Salvatore Borsellino, ingegnere elettronico, da quel tragico 19 luglio 1992 non ha mai smesso di battersi per conoscere i mandanti dell’omicidio del fratello Paolo, il magistrato simbolo dell’antimafia di Palermo. Quest’anno lo ha fatto con un’iniziativa particolare: la "Marcia delle agende rosse" partita da via D’Amelio (dove una bomba ha fatto a pezzi il magistrato e gli agenti che lo proteggevano) è giunta fino al Castello Utveggio sul Monte Pellegrino di Palermo, dove allora c’era una sede dei servizi segreti, sulle cui implicazioni nell’attentato stanno emergendo elementi inquietanti.
L’"agenda rossa" è quella che Paolo Borsellino aveva sempre con sé e in cui scriveva le sue conoscenze più segrete. Ed è scomparsa nei minuti successivi alla strage. Non si è mai riusciti a sapere chi l’abbia sottratta nonostante una telecamera abbia ripreso un capitano dei Carabinieri allontanarsi dal luogo della strage con in mano la borsa di pelle del magistrato palermitano.
Nelle scorse settimane sono emerse novità tali da spingere i magistrati di Palermo e di Caltanissetta a riaprire le inchieste sui mandanti esterni dell’assassinio di via D’Amelio e sulla trattativa che venne avviata tra pezzi delle nostre istituzioni e Cosa nostra. Trattativa che dai nuovi indizi sembra sempre più collegata alla decisione di eliminare il magistrato.
Ingegnere, quali sono le novità?
«La novità principale è una. Ci sono finalmente dei giudici che stanno andando avanti con le indagini. Finora sono state sempre bloccate. Dal momento in cui alla Procura di Caltanissetta è arrivato un magistrato come Sergio Lari, che ha tutta l’intenzione di arrivare ai veri mandanti della strage, le inchieste sono riprese con vigore, come pure a Palermo con i Pm Ingroia e Di Matteo. Le cose stanno cambiando. Oggi si inizia a parlare di strage di Stato, e soprattutto di trattativa. Quella che già nel 2007 dicevo essere il motivo vero dell’assassinio di mio fratello».
Poi ci sono le rivelazioni di Massimo Ciancimino, il figlio dello scomparso Vito, ex sindaco di Palermo colluso con la mafia...
«Infatti. E quelle di alcuni collaboratori di giustizia. Finché si parlava di Riina e della cosca dei corleonesi le indagini procedevano, quando si andava a vedere quali erano le collusioni e le connivenze all’interno dello Stato tutto si fermava. C’è da temere che ora i poteri occulti che hanno impedito si arrivasse alla verità prendano le contromisure».
In sintesi, cosa emerge dalle novità di queste settimane?
«Si sta, ad esempio, riprendendo in mano uno dei fatti cruciali, ossia l’incontro del 1° luglio di mio fratello con l’allora ministro degli Interni Nicola Mancino».
Ricordiamolo: Borsellino sta interrogando il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo. Arriva una telefonata. Il magistrato dice a Mutolo che è stato chiamato dal ministro e che si deve allontanare per qualche ora. Al ritorno, Mutolo riferisce che Paolo Borsellino è molto turbato e che al ministero ha incontrato Parisi e Contrada. È così?
«Sì. Ed è ben comprensibile che fosse sconvolto: due ore prima Mutolo gli aveva riferito che Contrada era nelle mani della mafia e un traditore dello Stato. All’epoca Contrada era il numero tre del Sisde, ed è stato poi condannato per mafia, con pena definitiva. L’ex ministro Mancino in questi anni ha sempre sostenuto di non poter ricordare quell’incontro. E adduce una giustificazione insostenibile: dice che non conosceva Paolo e che quel giorno non aveva appuntamenti. Si dà il caso, però, che mio fratello, oltre all’agenda rossa, la sera compilava un’altra agenda, dove segnava le spese sostenute e scriveva ora per ora tutti gli impegni: nella pagina del 1° luglio, alle 18.30 c’è scritto Parisi e alle 19.30 Mancino. Quindi ha incontrato il ministro».
Perché è tanto importante quell’appuntamento?
«Diversi collaboratori di giustizia dicono che le cosche furono avvisate che Paolo andava eliminato in fretta perché mio fratello si sarebbe duramente opposto alla trattativa, fino al punto da denunciare pubblicamente che Stato e mafia stavano "dialogando". La seconda ragione viene proprio dalle nuove rivelazioni di Massimo Ciancimino, il quale sta dicendo che la trattativa fu avviata non dopo l’estate del 1992, come è stato finora sostenuto, ma nel giugno ’92, prima della strage di via D’Amelio. Poi c’è una terza ragione...».
Quale?
«Che Mancino di quella trattativa era sicuramente al corrente. Sia Brusca che Ciancimino hanno detto che Riina aveva preteso di avere come interlocutori non solo il Ros dei Carabinieri, ma voleva essere sicuro che dietro ci fosse il terminale delle istituzioni. Entrambi hanno indicato che il terminale fosse proprio Mancino».
Se tutto ciò risultasse vero, cosa comporterebbe?
«Consideri che dopo le condanne del gotha mafioso del maxiprocesso di Palermo del gennaio 1992, la mafia decide che la Democrazia cristiana non può più essere l’interlocutore politico, e infatti in breve tempo uccide l’onorevole Salvo Lima e uno dei fratelli Salvo. Elimina Falcone e poi Borsellino. Sta cercando di creare nuovi equilibri politici, al punto che inizialmente tenta di creare dei partiti al Sud che siano diretta espressione delle mafie, le cosiddette leghe meridionali. Nello stesso tempo avvia la stagione stragista delle bombe del 1992-1993, per alzare il prezzo della trattativa. Poi, improvvisamente, questo piano destabilizzante si arresta, l’accordo viene raggiunto. La mafia decide di convogliare i voti verso una nuova forza politica che sta per nascere. Infatti, alle elezioni del marzo 1994, Cosa nostra vota e fa votare in massa il nuovo partito Forza Italia».
Quindi, a quanto sostiene, il piano è andato a buon fine...
«Ritengo che mai come oggi ci sia stata nel nostro Paese un’epoca in cui l’anti-Stato è penetrato così profondamente nei meccanismi dello Stato e ai vertici delle istituzioni italiane. La seconda Repubblica è nata direttamente dalle stragi del 1992-1993».
E perché considera l’agenda rossa un elemento cruciale?
«Perché probabilmente chi l’ha in mano è in grado di ricattare mezzo mondo politico italiano».
Affermazioni pesanti, le sue...
«Le mie ricostruzioni provengono da elementi riscontrati nelle indagini di diverse Procure italiane, di cui non parla nessuno. E le ultime novità le confermano».
Che cosa rappresenta, oggi, Paolo Borsellino per gli italiani?
«La figura di Paolo è così grande e forte che non sono bastate le centinaia di chili di tritolo per eliminarlo. Da vivo potevano tentare di avversarlo e delegittimarlo come hanno fatto con altri. In giro per l’Italia incontro tanti giovani che vogliono lottare per la verità e la giustizia. Sarà grazie a loro che forse "riusciremo a vincere il puzzo del compromesso morale, della contiguità, dell’indifferenza e dunque della complicità", come disse mio fratello in uno dei suoi ultimi discorsi, e "sentire quel fresco profumo di libertà" che oggi purtroppo nella nostra Italia è sempre più difficile assaporare».
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