Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 21 ottobre 2009
di Marco Travaglio
(Giornalista)
OOooooohhhhhh! Una ola di unanime ammirazione si leva dai politici e dai giornali “indipendenti” per l’ultima piroetta sul posto fisso di Giulio Tremonti e mezzo, il commercialista scambiato per un economista e poi addirittura per un ministro. Il battutista furbo scambiato per un intellettuale illuminato. Che originale, quel Giulio. Che genio. Che larghe vedute. Che mente elastica. E che virtù profetiche. Un amore. Fino all’altroieri chiunque osasse mettere in dubbio le magnifiche sorti e progressive della mobilità, della flessibilità, della precarietà, chiunque si permettesse una pallida critica alle leggi Treu e 40 (impropriamente detta legge Biagi, visto che la fece Maroni dopo la morte del professore per mano delle Br), passava per un inguaribile passatista che non sa apprezzare il balsamico profumo della modernità e, sotto sotto, strizza l’occhio ai terroristi. Poi Giulietto, sempre più simile all’imitazione di Corrado Guzzanti con i pantaloni alla zuava e il “povcaputtana povcatroia” incorporato, ha innestato la retromarcia. E naturalmente l’ha fatto come tutti i voltagabbana all’italiana: non ha chiesto scusa per tutti gli inni sciolti in questi anni alla precarietà, ma ha rivendicato di averlo “sempre detto”. Fa sempre così. Dice una cosa, fa e/o dice l’esatto contrario, poi si fa i complimenti da solo: “Visto? Avevo previsto tutto”. Che testa d’uovo. Il Cavaliere, nelle visite guidate al museo dei cactus di Villa Certosa, è solito indicare una rara pianta grassa a forma di carciofo e commentare: “Mi ricorda il cervello di Tremonti”. Il cervello che dieci anni fa tuonava sul Corriere contro i condoni fiscali (“in Argentina si fanno dopo il golpe, in Italia prima”) e poi, una volta al governo, ne varava 12 in una botta sola. “Sempre detto”. Il cervello che nel ’92 malediceva Tangentopoli nel libro “Lo Stato criminogeno”, poi si intruppò col padrino di Tangentopoli. Il cervello che un anno fa si paragonava a Robin Hood per tosare i banchieri, poi, arrivata la crisi, li ingrassò con i Tremonti Bond e con i soldi sporchi dello scudo fiscale (quello che solo un anno fa aveva giurato di non rifare mai più). Il cervello che, sempre un anno fa, vaticinava un’escalation infinita del prezzo del petrolio, dopodichè il barile crollò miseramente. Ma lui seguitò a lodarsi e a imbrodarsi: “Visto? Avevo previsto tutto”. Sempre detto, tutto previsto. Non ne azzecca mai una, ma è un genio. A prescindere. Chi non ricorda le boccucce a cul di gallina di politici e pensatori della sinistra dinanzi al suo ultimo libro, “La paura e la speranza”, in cui il Genio attaccava – tutto da solo, con le nude mani – la globalizzazione? D’Alema, fra un simposio Aspen e una magnata agl’Italianieuropei, era estasiato. Entusiasmo e applausi incontenibili come quelli che hanno accolto la sparata dell’altro giorno sul valore irrinunciabile del posto fisso (che comprensibilmente fa gola ai leader della sinistra, sempre così precari). Il fatto che nel frattempo, grazie alle politiche di Tremonti e dei suoi trafelati inseguitori del centrosinistra, 3 milioni di italiani siano senza posto fisso e stiano perdendo anche il posto precario, è un dettaglio trascurabile. Ancora l’altro giorno Franceschini chiedeva scusa agli industriali perché il Pd non è ancora confluito in Confindustria malgrado gli sforzi di D’Alema e Bersani. Ecco, Tremonti arriva sempre dopo, ma riesce a fingere di esser arrivato prima. Anche perché c’è sempre una sinistra che arriva più tardi di lui: lo sorpassa in retromarcia.
del 21 ottobre 2009
di Marco Travaglio
(Giornalista)
OOooooohhhhhh! Una ola di unanime ammirazione si leva dai politici e dai giornali “indipendenti” per l’ultima piroetta sul posto fisso di Giulio Tremonti e mezzo, il commercialista scambiato per un economista e poi addirittura per un ministro. Il battutista furbo scambiato per un intellettuale illuminato. Che originale, quel Giulio. Che genio. Che larghe vedute. Che mente elastica. E che virtù profetiche. Un amore. Fino all’altroieri chiunque osasse mettere in dubbio le magnifiche sorti e progressive della mobilità, della flessibilità, della precarietà, chiunque si permettesse una pallida critica alle leggi Treu e 40 (impropriamente detta legge Biagi, visto che la fece Maroni dopo la morte del professore per mano delle Br), passava per un inguaribile passatista che non sa apprezzare il balsamico profumo della modernità e, sotto sotto, strizza l’occhio ai terroristi. Poi Giulietto, sempre più simile all’imitazione di Corrado Guzzanti con i pantaloni alla zuava e il “povcaputtana povcatroia” incorporato, ha innestato la retromarcia. E naturalmente l’ha fatto come tutti i voltagabbana all’italiana: non ha chiesto scusa per tutti gli inni sciolti in questi anni alla precarietà, ma ha rivendicato di averlo “sempre detto”. Fa sempre così. Dice una cosa, fa e/o dice l’esatto contrario, poi si fa i complimenti da solo: “Visto? Avevo previsto tutto”. Che testa d’uovo. Il Cavaliere, nelle visite guidate al museo dei cactus di Villa Certosa, è solito indicare una rara pianta grassa a forma di carciofo e commentare: “Mi ricorda il cervello di Tremonti”. Il cervello che dieci anni fa tuonava sul Corriere contro i condoni fiscali (“in Argentina si fanno dopo il golpe, in Italia prima”) e poi, una volta al governo, ne varava 12 in una botta sola. “Sempre detto”. Il cervello che nel ’92 malediceva Tangentopoli nel libro “Lo Stato criminogeno”, poi si intruppò col padrino di Tangentopoli. Il cervello che un anno fa si paragonava a Robin Hood per tosare i banchieri, poi, arrivata la crisi, li ingrassò con i Tremonti Bond e con i soldi sporchi dello scudo fiscale (quello che solo un anno fa aveva giurato di non rifare mai più). Il cervello che, sempre un anno fa, vaticinava un’escalation infinita del prezzo del petrolio, dopodichè il barile crollò miseramente. Ma lui seguitò a lodarsi e a imbrodarsi: “Visto? Avevo previsto tutto”. Sempre detto, tutto previsto. Non ne azzecca mai una, ma è un genio. A prescindere. Chi non ricorda le boccucce a cul di gallina di politici e pensatori della sinistra dinanzi al suo ultimo libro, “La paura e la speranza”, in cui il Genio attaccava – tutto da solo, con le nude mani – la globalizzazione? D’Alema, fra un simposio Aspen e una magnata agl’Italianieuropei, era estasiato. Entusiasmo e applausi incontenibili come quelli che hanno accolto la sparata dell’altro giorno sul valore irrinunciabile del posto fisso (che comprensibilmente fa gola ai leader della sinistra, sempre così precari). Il fatto che nel frattempo, grazie alle politiche di Tremonti e dei suoi trafelati inseguitori del centrosinistra, 3 milioni di italiani siano senza posto fisso e stiano perdendo anche il posto precario, è un dettaglio trascurabile. Ancora l’altro giorno Franceschini chiedeva scusa agli industriali perché il Pd non è ancora confluito in Confindustria malgrado gli sforzi di D’Alema e Bersani. Ecco, Tremonti arriva sempre dopo, ma riesce a fingere di esser arrivato prima. Anche perché c’è sempre una sinistra che arriva più tardi di lui: lo sorpassa in retromarcia.
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