del 13 novembre 2009
di Enrico Fierro
(Giornalista)
Nella terra dove comanda la camorra e i politici onorano i boss del business dei rifiuti, insomma, nella terra di Nicola Cosentino e di Mario Landolfi, c’è anche chi ha resistito e resiste. Antonio Cangiano è morto il 23 ottobre scorso. Era ingegnere e comunista quando vinse le elezioni nel suo paese, Casapesenna. Voleva fare le cose per bene, un piano regolatore, pensava di essere parte dello Stato italiano. E cominciò a rompere le scatole ai Casalesi poiché vincevano troppi appalti e sempre irregolari. Per dissuaderlo gli spararono nelle gambe il 4 ottobre del 1988. Era giovane e quei proiettili lo condannarono per sempre su una sedia a rotelle. Ma non si arrese.
Due anni dopo si ripresentò alle elezioni e stravinse. Sindaco, questa volta. Ma la camorra non mollò, le minacce continuarono fino a quando Tonino Cangiano non fu costretto a dimettersi. Alla sua morte lo ha ricordato Renato Natale, unico sindaco comunista di Casal di Principe. “Tonino è morto e siamo tutti colpevoli per i suoi ventuno anni di sofferenze. E’ colpevole questa terra che chiede ai suoi figli migliori sacrifici estremi”. Renato, ora medico volontario dell’associazione intitolata a Jerry Masslo, è stato sindaco nel 1993 e per soli dieci mesi. Ogni mattina riceveva un singolare omaggio dai camorristi: una camionata di letame di bufala davanti all’ingresso del comune. I pentiti hanno raccontato che i Casalesi avevano incaricato un immigrato albanese per risolvere la questione. Doveva investirlo mentre faceva la sua passeggiata in bicicletta. Di Renato Natale parla il pentito Dario De Simone nell’inchiesta che ha coinvolto Nicola Cosentino. “L’onorevole Cosentino ci disse che dovevamo stare attenti soprattutto in riferimento all’attività politica dell’onorevole Lorenzo Diana e di Renato Natale, in quanto persone vicine all’onorevole Violante, e che facevano pressioni affinché vi fosse un intervento costante da parte delle forze dell’ordine... E’ chiaro che l’on. Cosentino che avevaavuto il nostro aiuto alle elezioni era a nostra disposizione”.
Lorenzo Diana è stato parlamentare del Pci-Pds e membro della Commissione antimafia. Vive sotto scorta da quando diversi pentiti hanno rivelato l’intenzione del clan di eliminarlo. Diana è odiato sia dai Casalesi sia da Nicola Cosentino. Faceva troppe dichiarazioni pubbliche contro gli interessi della camorra nel business monnezza. L’architetto De Biasio, funzionario nel settore dei rifiuti e fedelissimo del sottosegretario all’Economia, racconta all’imprenditore camorrista Sergio Orsi, la reazione di Cosentino alla lettura di un articolo di Diana. “Onore’ avete visto che ha scritto Lorenzo Diana? Ha detto che la politica privatistica di certi gruppi impedisce di arrivare al sistema integrato dei rifiuti”. Cosentino, furioso, risponde: “Ah sì, e va buono, allora ha chiuso pure questo. Vuole fare il primo della classe bello e buono. Ma non ti preoccupare, ora ci penso io”. Ammirato, De Biasio, continua: “Si è messo il coso (l’articolo di Diana, ndr) nella tasca e se n’è andato”.
“Aveva ragione Cosentino ad arrabbiarsi – dice ora Lorenzo Diana – un gruppo di noi nel casertano si è sempre battuto contro gli affari della camorra nel sistema dei rifiuti. Abbiamo perso, nel Pd nessuno ci ha ascoltato. Gli interessi erano tanti e perfettamente bipartisan”. Diana ricorda con amarezza battaglie e sconfitte. “Mi dicevano che la vicenda dei Casalesi era questione locale, che eravamo dei fissati, che volevamo usare la camorra per battaglie politiche interne. La verità è che per anni in Campania ha prevalso l’idea della cogestione”. Da una parte Cosentino, dall’altra gli affari di Nicola Ferraro, consigliere regionale dell’Udeur e imprenditore nel settore rifiuti in concorrenza con il clan Schiavone e i fratelli Orsi. Lo stesso consorzio Impregeco (quello del clan Bidognetti) era una società mista perfettamente bipartisan. Al suo interno, oltre al C4, che raggruppava i comuni amministrati dal centrodestra, c’erano anche Napoli1 e Napoli3, con comuni targati centrosinistra. “Ecco perché – continua Diana – quando noi ponevamo il problema dello scioglimento dei comuni per mafia e lanciavamo l’allarme sui consorzi, venivamo zittiti. Abbiamo perso. Gente come me, Renato Natale e altri sono stati distrutti politicamente. Ma almeno siamo ancora vivi”.
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