del 11 novembre 2009
di Enrico Fierro
(Giornalista)
“Sì, capisco, ma non ti preoccupare” ha detto il premier a Cosentino, in una delle prime telefonata ricevute dal sottosegretario. Una chiacchierata secca, dove Berlusconi gli ha anche fatto capire che la situazione non è ancora pregiudicata, ma certo, sì, è più complicata. A partire dalle dichiarazioni di Gianfranco Fini: “Valga la presunzione d'innocenza ma la sua candidatura non è più nel novero delle cose possibili”. Differente la posizione di Ghedini: “Ha sempre svolto con passione ed onestà l’attività politica. Tutto ciò serve solo a screditarlo e impedire una fisiologica e ottima candidatura alla guida della regione Campania”. Angoli opposti del ring. È la storia di Cosentino, generare tali divergenze, come sa bene anche il Pd: ottobre 2008, le notizie sui rapporti tra i clan Casalesi e l’importante uomo politico sono già noti. Walter Veltroni, allora leader del Pd, rilascia una dichiarazione di fuoco. “Cosentino è bene che si dimetta”. Silenzio. Passano tre mesi e alla Camera viene presentata una mozione di sfiducia contro Cosentino. Primo firmatario Antonello Soru, capogruppo del Pd. Finisce male. Laura Garavini, alla sua prima esperienza da parlamentare impegnata sui temi della lotta alle mafie, pone una domanda all’Aula. “In un paese democratico, può un rappresentante del governo continuare a ricoprire un incarico così delicato nonostante gravino su di lui sospetti di collusione con clan criminali?”. Parole al vento, che i parlamentari non ascoltano neppure. E la mozione viene bocciata: 236 no, 138 sì, 33 astenuti. Sono passati solo tre mesi dall’appello di Veltroni. A votare a favore sono 105 deputati del Pd, 22 sono assenti (tra questi D'Alema, lo stesso Veltroni e Bersani), 7 sono in missione. La lotta ai rapporti tra camorra e politica non è proprio al primo posto dell’agenda. Ma è il computo degli astenuti e dei voti contrari a riservare più d’una sorpresa. Perché sono ben 26 i deputati del Pd che decidono di non schierarsi contro Nick Cosentino (tra questi Parisi, Cuperlo, Bachelet, Madia), due (Sposetti e Capano) votano contro, 47 decidono di non partecipare al voto. Quel voto specifico, visto che dopo su votazioni che impegnano l'Aula su altri tempi, faranno rientro e voteranno. Lanfranco Tenaglia, all’epoca ministro ombra della Giustizia del Pd, lascia l’Aula per “altri impegni”, Enzo Carra, invece, si astiene. “Dobbiamo essere garantisti, la richiesta di dimissioni dal governo è talmente grave che va sostenuta da un impianto solidissimo”, commenta più tardi. Per Giovanni Bachelet, invece, l’astensione è giustificata dal fatto che “la richiesta di dimissioni è velleitaria, sproporzionata”, manca “una inchiesta giudiziaria”. Insomma, il Pd sconfessa Veltroni , il suo capogruppo Soro e salva Cosentino. Che stringe mani e si congratula. Da quel momento Nick “o mericano”, potrà iniziare la sua corsa verso la poltrona più alta della Campania. Giù a Caserta, a Casal di Principe, militanti ed elettori del Pd, soffrono in silenzio. Da anni gente come Lorenzo Diana, ex senatore e nemico giurato dei Casalesi (vive sotto scorta), Renato Natale (unico sindaco comunista di Casale, secondo i piani dei “casalesi” doveva essere ucciso fingendo un incidente stradale), lottano contro la camorra e i suoi rapporti con la politica. Resteranno delusi. Ancora di più alle elezioni europee, quando, per lanciare un chiaro messaggio di lotta ai clan della camorra, il Pd sceglie un candidato simbolo: Rosaria Capacchione. La giornalista minacciata dalla camorra. Capolista per l’intero sud non verrà eletta.
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