del 26 novembre 2009
di Gianmaria Roberti
(Giornalista)
C’è un deputato dell’Idv che rischia il processo con un’accusa che ribalta i luoghi comuni sui dipietristi paladini della legalità e sui mastelliani lassisti. Stavolta a tentare un’estorsione con la complicità dei Casalesi è il deputato di Di Pietro. Mentre la vittima, secondo i pm, sarebbe un manager amico del coordinatore dell’Udeur. Al centro di questa storia c’è Americo Porfidia, eletto alla Camera con l’Idv. I primi rumors su di lui erano usciti un anno fa quando era stato arrestato l’imprenditore Alfredo Romeo. Ma Romeo non c’entra nulla. Al centro di questa storia c’è la clinica Villa del Sole di Caserta, colosso da 14 milioni di fatturato. Una gallina dalle uova d’oro contesa tra le due famiglie più potenti della zona: da un lato i Porfidia e dall’altro i Maccauro. Entrambe con interessi nella clinica, entrambe con un medico e un politico in famiglia. Il pacchetto di maggioranza del centro medico appartiene all’imprenditore Pietro Riello e alla famiglia mastelliana dei Maccauro (uno dei fratelli, Pino, è presidente provinciale dell’Udeur). I Porfidia stavano per essere messi in minoranza ma volevano restare nella stanza dei bottoni. Secondo i pm della Dda di Napoli, Catello Maresca e Alessandro Cimmino, in questa battaglia Porfidia avrebbe approfittato dell’appoggio dei boss. Che ben conoscevano l’importanza della partita in corso, anche perché alcuni familiari di esponenti della criminalità in passato hanno lavorato nella clinica. Il pressing fu attuato nel giugno 2004, secondo i pm, dal boss Gaetano Piccolo di Marcianise, alleato del clan Belforte federato ai Casalesi, e dal boss di Recale, Antimo Perreca. A Recale, un paese di 7 mila abitanti tra Napoli e Caserta, circondato da terreni agricoli e discariche abusive, Porfidia è anche sindaco. Nel centro storico spicca villa Porfidia, residenza del ‘700. Il lavoro scarseggia e il sogno di tutti è essere assunti a Villa del Sole. I pm considerano Porfidia mandante delle minacce assieme al boss Perreca che avrebbe fatto avvicinare il direttore sanitario dai suoi uomini prima nel suo ufficio nella clinica e poi nel garage della casa di cura. Infine sarebbe stata minacciata anche la moglie del direttore, “spendendo ripetutamente l’appartenenza al clan dei Casalesi”. Visto che il direttore non mollava, gli uomini del boss lo accompagnarono presso l’abitazione del camorrista Gaetano Piccolo per minacciarlo. Il movente secondo i pm sarebbe stato il tentativo di Porfidia di non essere messo in minoranza “con conseguente perdita della capacità di gestione della stessa e delle conseguenti e connesse attività economiche”. La spallata societaria comunque fallì e Porfidia si dimise dal cda. La procura per lui chiede ora il processo assieme ai boss Piccolo, Perreca e altri due camorristi, Antonio Papa e Vincenzo Tardi (collaboratore di giustizia), affiliati al clan Massaro alleato dei Perreca, e per Gaetano Tartaglione, capogruppo socialista a Marcianise, che avrebbe agevolato i contatti tra Porfidia e Piccolo. Dopo i primi rumors sull’indagine, a dicembre, il parlamentare si è autosospeso dal partito. Porfidia davanti ai pm ha negato tutte le accuse. Intanto a livello locale rilascia ancora dichiarazioni in nome dell’Idv. E in occasione delle ultime europee 2009, ha fatto campagna elettorale per Italia dei valori.
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