del 25 novembre 2009
di Stefano Feltri
(Giornalista)
Cresce il rumore di fondo che circonda la rete della Telecom, sia quella in rame sia quella futura in fibra ottica. Ieri le ultime due puntate: il sito Affariitaliani.it diffonde, a mercati aperti, una voce secondo cui Telefonica sarebbe pronta a comprare la rete fissa di Telecom, e questa è la vera ragione per cui osserva passivamente le mosse dei soci italiani di Telco, come i Benetton che hanno annunciato la propria uscita dalla holding che controlla Telecom. Un’ipotesi che però gli analisti giudicano poco probabile. Intanto il sottosegretario alle Comunicazioni Paolo Romani dice che gli 800 milioni per la banda larga si troveranno, ma forse in due tranche. E in Argentina Telecom si prepara a vendere la controllata locale per fare cassa, le offerte verranno discusse nel consiglio di amministrazione di oggi.
“Ormai è un enorme suk”: così l’economista Alessandro Penati riassume la situazione della compagnia telefonica guidata da Franco Bernabè. I contorni della vicenda cominciano a essere chiari, dopo che Romani ha confermato che “gli incontri al ministero ci sono con tutti gli attori del settore”, cominciando con la berlusconiana Mediaset. Una scelta che ha lasciato perplessa la dirigenza Telecom (informata dai giornali, non da Romani), anche perché secondo i rumors ci sarebbe proprio Silvio Berlusconi dietro l’attacco concentrico a Bernabè, che il presidente del Consiglio gradirebbe sostituire con un dirigente più affine, come Stefano Parisi o Flavio Cattaneo.
Il futuro prossimo industriale, invece, sembra ormai quasi certo: c’è il consenso politico per creare una società separata con dentro la rete e che gestisca gli investimenti per costruire quella di nuova generazione. Una versione aggiornata di quel piano elaborato dal sottosegretario Angelo Rovati che causò lo scontro tra governo e Marco Tronchetti Provera, allora azionista di controllo della Telecom. Oggi Rovati fa il banchiere d’affari, in questi giorni è in Africa e non vuole commentare lo scontro sulla rete. I piccoli azionisti raccolti nell’associazione Asati, invece, sono entusiasti dell’idea di separare la rete, a condizione che Telecom conservi il controllo: “Secondo noi la soluzione ideale sarebbe creare una società per la rete in cui la maggioranza del 60 per cento resti in mano a Telecom e il 40 per cento diviso tra i soggetti del settore, da Fastweb a Wind alla Cassa depositi e prestiti”, spiega Franco Lombardi, presidente dei piccoli azionisti (piacevole effetto collaterale: a Telecom finirebbero diversi miliardi per ridurre l’indebitamento). E la Cdp è pronta a impegnarsi, ha detto ieri il presidente Franco Bassanini, a condizione che prima ci sia “l’accordo tra tutti gli operatori”. L’idea di una “newco”, cioè una nuova società a cui partecipa Telecom insieme ai suoi concorrenti per costruire la rete in banda larga piace poco a Lombardi: “Telecom è l’unica che ha la capacità tecnica per costruire la rete e deve avere il controllo dell’operazione, per avere l’incentivo a impegnarsi”. Ma il punto è proprio questo: da tutto quello che sta succedendo in queste settimane, emerge che il governo intende avere un controllo più forte sulla infrastruttura della banda larga o di una “banda larghissima” di cui si discute ora. Secondo alcuni osservatori, tutto l’attivismo dell’esecutivo intorno alla rete si spiega soltanto guardando al posiziona-mento di Mediaset: il gruppo televisivo controllato dalla Fininvest sta conducendo sul digitale terrestre la sua guerra contro Sky. E per ora pare in vantaggio, con le nuove offerte Mediaset Premium e un business pensato per sfruttare le nuove abitudini di consumo (niente più televisione generalista ma offerta tarata sugli interessi dei singoli utenti). Ma sulla televisione via Internet, l’Iptv, è molto indietro: per ora si limita a difendere i propri contenuti dall’uso abusivo di Youtube e tenta qualche esperimento in partnership con la Microsoft. E quindi avrebbe gli incentivi a evitare che la nuova banda larga finisca in mani sbagliate, cioè di concorrenti più pronti a sfruttarla. Ma per il professor Penati in Italia “non c’è domanda” per la banda larga. E nelle grandi città, l’unico contesto in cui si possono fornire contenuti in banda larga rispettando criteri di efficienza aziendale (cioè guadagnandoci), l’infrastruttura esiste già: quella di Fastweb. Soltanto le Regioni, o comunque il bilancio pubblico, possono sostenere l’estensione della banda larga a piccoli centri, sostiene il professor Penati. Ma questo, dice l’economista, è “un servizio pubblico locale”. Non quella miniera d’oro che giustificherebbe la guerra in atto intorno a Telecom.
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