del 5 novembre 2009
di Stefano Feltri
(Giornalista)
Dopo la revisione al rialzo delle stime della Commissione europea (il Pil italiano nel 2007 scenderà solo del 4,7 per cento), ieri sono arrivati i dati sulla cassa integrazione: una riduzione di quasi il 10 per cento tra settembre e ottobre. Segnale che le cose hanno smesso di peggiorare. Ma un rapporto della Banca d’Italia dimostra che il problema più grosso è che quando la ripresa arriverà, il sistema produttivo italiano potrebbe trovarsi così sfiatato da non riuscire ad approfittarne.
Tre imprese su dieci tra le 3874 sondate da Bankitalia stimano di chiudere il 2009 con piani di investimento ridimensionati rispetto a gennaio scorso e, soprattutto, quelle che prevedono di ridurre gli investimenti anche nel 2010 sono il 6 per cento in più di quelle che sperano di aumentarli. Tradotto: anche nel primo anno positivo dopo la grande recessione, quando l’economia italiana crescerà secondo la Commissione europea dello 0,7 per cento, le aziende che cercheranno di aggredire la ripresa saranno meno di quelle che continueranno a risentire della crisi. “Con la recessione è fisiologico che si verifichi una scrematura delle imprese, ma il rischio è che sia indiscriminata, punendo le nostre imprese più dinamiche che hanno tentato l’espansione internazionale e ora si trovano più esposte”, spiega lo storicodell’Economia Giuseppe Berta che ha appena pubblicato la nuova edizione del suo “L’Italia delle fabbriche” (Il Mulino). La tesi
è sostenuta dallo studio di due economisti,
Antoine Berthou e Charlotte Emlinger, pubblicato sul sito Voxeu.org : la domanda dei prodotti da esportazione di alta qualità - come quelli che produce l’Italia - soffre di più il calo del Pil. Nonostante la diffusa convinzione che per il lusso non ci sia mai crisi.
Il sondaggio della Banca d’Italia dimostra che le imprese italiane che lavorano con l’estero sono in uno stato confusionale: un terzo pensa che nei prossimi sei mesi le cose andranno meglio, un terzo che resteranno stabili e un terzo che peggioreranno . Considerando il proprio mercato di riferimento (per alcune l’Italia, per altre quello globale), il 40 per cento delle imprese che nei sei mesi scorsi ha sofferto la recessione si aspetta un periodo altrettanto lungo di sofferenza. “La durata della crisi per l’Italia è una variabile decisiva - dice il professor Berta - perché mette alla prova le risorse interne delle nostre imprese, a partire dalla capitalizzazione”. E aziende piccole e medie di capitale ne hanno poco e continuano ad avere problemi nell’ottenere credito dalle banche visto che, come dimostra il sondaggio, quelle che dichiarano di trovare difficoltà quando vanno a chiedere finanziamenti sono un terzo. E ben il 28,2 per cento dichiara di aver visto respinta la richiesta di credito. La combinazione di una bassa domanda interna, di difficoltà a livello internazionale e stretta nei finanziamenti bancari rende pessimiste le imprese: una su tre stima di chiudere in perdita il 2009, il 36 per cento di ridurre l’occupazione nell’anno. Un anno fa, nello stesso sondaggio, quelle che prevedevano bilanci in rosso erano solo il 17 per cento.
Per chi vuole essere ottimista, c’è sempre la Fiat. In Europa continua a guadagnare quote di mercato (e dovrebbe ottenere il rinnovo degli incentivi), ora che è saltata la vendita di Opel ai russi di Magna potrebbe tornare all’assalto della casa di produzione tedesca per completare la sua espansione internazionale. Ieri pomeriggio l’amministratore delegato del gruppo, Sergio Marchionne, ha iniziato a presentare i piani di rilancio per la Chrysler (inglobata dalla Fiat a gennaio con una joint venture): punterà sulla 500 prodotta in Messico - da offirire prima in versione Abarth - ma soprattutto su Jeep e Cherokee, perché le auto ad alto consumo, addolcite dalle tecnologie verdi di Fiat, ora sono tornate popolari con il petrolio a 80 dollari al barile. “La Fiat è stata per anni una sequoia in una foresta di alberi nani, ma ora il suo ruolo nell’economia italiana è cambiato. Se il tentativo di Marchionne riuscirà, il Lingotto diventerà una vera impresa globale”, spiega Berta, che da anni studia la storia della casa di Torino. Come dire: anche il nuovo dinamismo della Fiat non basta più per trainare il sistema produttivo italiano.
Secondo Berta “l’Italia industriale del 1970 era una clessidra irregolare: una base di piccole e piccolissime imprese, un vertice di aziende pubbliche e private di dimensioni rilevanti e in mezzo le medie imprese. Poi si è espansa la metà bassa del corpo della clessidra ed è venuto meno il vertice”. Il problema è che con la crisi inizia a ingolfarsi anche il motore di imprese medie che aveva sostituito il vertice. E la ripresa,
che in Italia sarà comunque al massimo una crescita di poco superiore allo zero, potrebbe arrivare troppo tardi.
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