sabato 7 novembre 2009

L’influenza al governo

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 7 novembre 2009

di Rodolfo Brancoli
(Scrittore)


Molti anni fa, in un altro paese, venne inventata per Reagan la definizione di “Teflon presidency”. Perché succedeva di tutto, ma quel presidente sembrava sempre esente da colpe e responsabilità. Niente gli restava attaccato, come avviene con quelle padelle trattate appunto con il Teflon. Qualcosa di simile sembra accadere a Berlusconi e al suo governo. E non parlo qui delle note vicende personali, parlo di atti (o di assenza di atti) di governo. Prendiamo per esempio la disastrosa gestione pubblica dell’emergenza creata dall’influenza H1N1. Sarà anche vero che altri governi si sono fatti trovare impreparati. Ed è senz’altro vero che in Italia ci sono venti sanità. Ma il caos quotidiano, i vaccini che non si trovano, le morti che aumentano, la contraddittorietà delle informazioni e delle prescrizioni, il panico che si diffonde, la sensazione di un “fai da te” generalizzato che toglie attendibilità ad ogni indicazione, denunciano l’assenza di un controllo centrale efficace sulla risposta, di una presenza pubblica autorevole all’altezza dell’emergenza. Il governo ha finora parlato per bocca di un viceministro che sembra Topo Gigio, mentre Topo Gigio (quello vero) è assurto al rango di massima autorità sanitaria nazionale. Nelle ultime settimane il capo del governo si è fatto vivo, direttamente o attraverso Vespa, solo per dire che se condannato non si dimette, che non è ricattabile, naturalmente per attaccare i comunisti, i magistrati e l’informazione. Ma non ha trovato il tempo e la sensibilità di dire qualcosa su una vicenda grave che genera allarmi (quanto fondati? Quanto infondati o comunque eccessivi? Non si sa). Neppure ha trovato il tempo e la sensibilità di presiedere una qualche riunione tra gli addetti ai lavori, che sarebbe anche un modo di segnalare pubblicamente una qualche vicinanza a milioni di cittadini assai preoccupati e in preda alla sensazione di essere lasciati a se stessi. Sì, ci sono state riunioni, ma per altre ragioni: per dirimere lo scazzo con e su Tremonti, per mettere a punto nuove iniziative per sottrarre il presidente alla giustizia, per discutere di candidature alle regionali… Un altro governo che si fosse comportato così (diciamolo pure, un governo di centrosinistra) a quest’ora sarebbe stato linciato dalla stampa e aggredito verbalmente in tutte le trasmissioni tv, tacciato di criminale incompetenza, di colpevole indifferenza. Giustamente, ma non questo governo, per cui vale evidentemente l’effetto Teflon.

Oprendiamo per esempio il tema della sicurezza e della lotta alla criminalità, sfruttato con ineguagliabile cinismo dall’attuale maggioranza quand’era opposizione, e asse portante della vittoriosa campagna elettorale nel 2008. Il 28 ottobre scorso 40.000 poliziotti hanno sfilato in corteo per il centro di Roma chiamati da tutti i sindacati a protestare contro la politica del governo, una politica di tagli micidiali alle forze di polizia. Per mancanza di fondi ci sonocommissariati che chiudono, auto inservibili, personale insufficiente… Una situazione che è diventata non solo insopportabile ma oggettivamente pericolosa. Di nuovo, se 40.000 poliziotti fossero scesi in piazza per protestare contro le inadempienze di un governo di centrosinistra nel comparto della sicurezza, si sarebbe levato un poderoso coro di condanna, autorevoli editorialisti vi avrebbero visto la riprova della lontananza della sinistra dalle preoccupazioni della gente, nei tg interviste volanti avrebbero dato conto dell’indignazione popolare… Ma non in questo caso. L’effetto Teflon ha subìto una incrinatura solo per l’uscita di Maroni contro Tremonti e la bacchettata di Bossi al suo ministro. Qualcosa che non poteva essere ignorato, ma senza, per carità, fare un caso della clamorosa contraddizione tra allarmismi, politica degli annunci, misure demagogiche, e drastica riduzione degli stanziamenti per la sicurezza. A tenere in piedi l’effetto Teflon concorrono almeno due elementi. Il primo è il controllo esercitato su quasi tutti i telegiornali, da cui la gran parte dei cittadini traggono le informazioni e che condizionano più di quanto non pensino i non addetti ai lavori, la stessa carta stampata. È la grancassa televisiva che dà il la all’orchestra cartacea. Senza grancassa, abbiamo soltanto solisti già di per sé poco inclini a disturbare il governo. Il secondo elemento è l’incapacità dell’opposizione, a cominciare dal Pd, di cogliere opportunità pienamente giustificate, come nei due esempi fatti, per creare eventi pubblici di critica motivata che costringano i media a fare da cassa di risonanza. Per carità, è sempre possibile trovare qua e là una dichiarazione di questo o di quello, ma occorre altro per infrangere il muro. Ma di cosa si occupa il Pd in questi giorni? Del futuro di D’Alema, del futuro di Franceschini, delle future alleanze… Certo, i muri di Roma sono tappezzati in questi giorni di manifesti del Pd. Forse per richiamare l’attenzione di chi passa sulle latitanze e inadempienze del governo, come nei casi qui menzionati? No, per ringraziare gli elettori delle primarie. L’idea che quegli elettori si aspettino di essere ringraziati in altro modo non sembra sfiorare nessuno.

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