lunedì 16 novembre 2009

Poveretti, come s’offrono

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 15 novembre 2009

di Marco Travaglio
(Giornalista)


Quanto manca all’arrivo di uno sherpa del Pd o del duo Casini & Rutelli che, con la benedizione apostolica del Quirinale, si rechi in avanscoperta da Berlusconi per proporgli un bel “tavolo del dialogo”, o almeno un tavolino pieghevole da pic-nic? Non molto. Quando il Pompiere della Sera titolerà “Volano le colombe” e troverà qualche pidino frustrato che, in cambio della sua foto sul giornale, pronunci le paroline magiche “Il problema esiste”, ecco: quello sarà il segnale convenuto. Un tempo le piccole vedette inciuciarde erano Maccanico, Del Turco, Velardi e Boato, che han fatto più danni di Attila. Ora su piazza restano i Latorre, i Polito e i Violante. Sempre a disposizione, Violante brucia tutti sul tempo e rilancia sulla Stampa l’oscena proposta di levare dal Csm un terzo di togati e rimpiazzarli con altrettanti politici nominati dal Quirinale. Come se non bastasse il terzo nominato dal Parlamento. Così l’“autogoverno dei giudici” sarà dominato da due terzi di partitocrati. Non contento, il noto participio presente del verbo violare vuole addirittura levare al Csm i giudizi disciplinari per darli “a un’Alta corte composta come il Csm”: un altro plotone d’esecuzione dei partiti. Anche Casini si propone, anzi si ripropone come la peperonata: finge di fare la faccia feroce sul processo breve anzi morto (“una porcheria”), si offre volontario per una riedizione riveduta e corrotta del lodo Al Fano che, essendo incostituzionale, va infilato in Costituzione. Poveretto, come s’offre. Sul Pompiere della Sera, l’ambasciatore Romano traccia il solco citando il modello francese senza conoscerlo: “In Francia i conti vengono regolati a fine mandato”. Sublime fesseria: la regola, come in Italia, vale per il presidente della Repubblica, non per il premier. Impermeabile ai fatti, l’ambasciatore non si allarma perché la legge cancella migliaia di reati gravissimi, ma perché guasta “il rapporto di Berlusconi col Quirinale e l’opposizione”. Intanto il povero Mavalà Ghedini è barricato da giorni nel laboratorio sotterraneo dell’impunità, come Doc, lo scienziato pazzo di “Ritorno al futuro”, intento a fabbricare marchingegni infernali che regolarmente non funzionano: toglie e aggiunge reati, aggiusta di qua, ripara di là, leva l’immigrazione clandestina per far contento Gasparri, sfila il furto e lo scippo se no si sfila la Lega, infila la bancarotta e l’omicidio colposo se non gli scappano pure la corruzione giudiziaria e la frode fiscale, che sono le specialità della casa, e allora che la fa a fare ‘sta maledetta legge. Insomma, un inferno. Ma presto, a levargli le castagne dal fuoco, arriverà nel laboratorio lo sherpa “de sinistra”. Basta solo aspettare che l’allarme per le centinaia di migliaia di processi morti ammazzati monti ancora un po’ nel paese su su fino al Colle più alto. Angelino Jolie annuncia: “Valuterò l’impatto della legge”, come se fosse un meteorite che gli casca sulla capa e non l’ennesima porcheria commissionata dal capo. Ma sì, verrà il giorno in cui, “per salvare gli altri processi”, qualcuno andrà dal Cavaliere a proporgli l’estremo sacrificio: piccino, non fare così; tu rinunci alla porcata massima e ci lasci processare tutti gli altri; noi in cambio ti diamo una porcatina che blocchi solo i tuoi. Vietato processare gli ominidi brianzoli sotto il metro e 60 con la capa bitumata che abbiano definito “eroe” Vittorio Mangano. Al che lui, con aria dolente, farà il beau geste per il bene della Nazione: e sia, processate pure gli altri, pazienza, vorrà dire che resterò impunito solo io. Gli sherpa canteranno vittoria: evviva, ha ceduto, ci lascia processare tutti gli altri! E’ già accaduto tutto nell’estate 2008, quando il lodo Al Fano fu spacciato da Veltroni e dal Colle per un mirabile rimedio contro la blocca-processi che ne inceneriva 100 mila. Lui, nella migliore tradizione degli amici degli amici, fa sempre così: minaccia la guerra nucleare, finché si fa avanti qualcuno a pagargli il pizzo. Al sud, si chiama racket. A Roma, “dialogo”.

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