del 25 novembre 2009
di Monica Centofante
(Giornalista)
Schede telefoniche “coperte” per sfuggire alle intercettazioni e confondere il lavoro delle procure. Sim ufficialmente non attive distribuite all’interno di uno strettissimo circuito riservato, del quale farebbero parte anche uomini delle istituzioni.
E’ l’ipotesi investigativa alla quale lavora da settimane il pm Pierpaolo Bruni, della procura di Crotone, che qualche giorno fa ha disposto un’ispezione negli uffici della Wind. E in particolare a carico di Salvatore Cirafici, di Catania, procuratore della Wind Telecomunicazioni e responsabile della gestione delle richieste di intercettazioni telefoniche avanzate dall’autorità giudiziaria al gestore. Nonché primo responsabile, secondo l’accusa, di quel giro di schede riservate che avrebbero frenato decine di inchieste.
La genesi
La storia era iniziata lo scorso 16 settembre, quando l’Ufficio anagrafiche della Wind Telecomunicazioni di Roma aveva risposto in modo anomalo ad una richiesta ricevuta dal Comandante Tenente Antonio Patruno, Compagnia di Crotone: “Lo stato dell’utenza per cui si chiede l’intestatario – si legge nella mail indirizzata a Patruno – risulta ‘disattivo’ dal 21/07/2008”.
Un dato che aveva fatto scattare sull’attenti gli investigatori, dal momento che quel numero era ascoltato nell’ambito dell’indagine su un presunto giro di tangenti dietro la realizzazione della centrale Turbogas di Scandale e altri tre impianti, e non poteva, quindi, che essere in uso.
A breve giro di posta, una serie di accertamenti – accompagnati da un atteggiamento sospetto dei funzionari Wind - avevano poi condotto a Salvatore Cirafici, effettivo intestatario di quell’utenza, mentre l’Autorità Giudiziaria raccoglieva le dichiarazioni del maggiore dell’Arma Enrico Maria Grazioli. Uomo di fiducia dello stesso Cirafici e a sua volta indagato dal dott. Bruni per rivelazione del segreto istruttorio e favoreggiamento.
“A cagione del suo ruolo presso la Wind”, spiegava Grazioli il 7 novembre, il Procuratore della compagnia telefonica aveva “la disponibilità di schede telefoniche Wind ‘non intestate’ e non riconducibili ad alcuno: erano quindi delle schede ‘coperte’, pertanto di pressoché impossibile riconducibilità ad un soggetto qualora fosse stata inoltrata specifica richiesta di intestatario da parte dell’Autorità Giudiziaria”. Cosa che più volte potrebbe essere accaduta, con notevole danno ad indagini in corso, come nel caso dell’ormai famosa inchiesta Why Not.
Un trucchetto (quasi) infallibile, quindi, che avrebbe funzionato per l’ennesima volta se i Carabinieri di Crotone non avessero fortuitamente incrociato quel numero nel corso delle intercettazioni. Ma cosa sarebbe accaduto se il numero in questione fosse stato estrapolato da un’agenda, da una rubrica o da un vecchio tabulato?
Tutti gli incubi di Cirafici
Quando iniziarono le indagini, ricorda ancora Grazioli, la paura di Cirafici era che quelle schede venissero scoperte, ma soprattutto che si capisse “che erano state da lui consegnate e date per l’uso anche a soggetti ricoprenti ruoli Istituzionali di primo piano”. Per questo temeva che il consulente tecnico del Dott. Bruni potesse essere Gioacchino Genchi, professionista verso il quale nutriva una profonda acredine e che attraverso le sue consulenze aveva già scoperto i contatti “tra lui Cirafici, Omissis e altri soggetti – anche Istituzionali – dei quali ora non ricordo i nomi”.
Grazioli riprende il racconto dall’inizio. “Conoscevo il Cirafici sin dal corso nei Carabinieri, ci siamo persi di vista per più di dieci anni, per poi ricontrarci in occasione della perquisizione disposta dalla Procura Generale nei confronti di Gioacchino Genchi (dove Grazioli andò in qualità di Pg delegata ndr.). Fu lui a contattarmi” e “rimasi sorpreso di questo suo rifarsi vivo”. Poi, i rapporti riprendono e Cirafici si rivolge a Grazioli, talvolta nel suo stesso ufficio, “per avere informazioni sulle attività susseguenti alle perquisizioni fatte a Genchi: insomma, voleva conoscere le nostre eventuali risultanze delle investigazioni su Genchi ed in particolare era preoccupato e voleva sapere se erano stati acquisiti ulteriori e diversi contatti telefonici tra lui, Cirafici, e terzi, contatti evidentemente non conosciuti dalla stampa. So che è andato anche in Procura a chiedere informazioni, ma non mi ha chiesto di accompagnarlo perché sapeva già a chi rivolgersi”.
Ancora, Cirafici “mi chiedeva a che punto fosse la denuncia che lui aveva presentato al Pm dottor De Tommasi contro Genchi e mi rappresentava l’auspicio che la sua denuncia contro Genchi venisse trattata dalla Procura Generale congiuntamente alla più ampia indagine Why Not”.
Nel corso di un altro incontro, il 28 settembre negli uffici della compagnia telefonica, Cirafici metteva invece in guardia Grazioli, dicendogli che il suo telefono era sotto intercettazione “dalla Procura di Crotone, dal dottore Bruni” e che per qualsiasi comunicazione avrebbe dovuto utilizzare proprio una scheda coperta che il Procuratore della Wind gli aveva fatto avere qualche tempo prima. Nel corso della conversazione Cirafici chiedeva inoltre a Grazioli di informarsi sui contenuti dell’indagine a cui si stava dedicando il pm Bruni e della quale “misteriosamente” era venuto a conoscenza. “Anzi – sottolinea il maggiore – mi chiedeva se stava trattando ancora la ‘Why Not’: insomma non so come meglio farvelo comprendere, il problema di Salvatore Cirafici era esclusivamente conoscere di cosa si stesse occupando il qui presente dottor Pierpaolo Bruni”.
Pressioni ed intimidazioni
Enrico Maria Grazioli viene interrogato a Roma, per la prima volta, il 15 ottobre scorso. Il 16, riconvocato dai magistrati, racconterà una storia inquietante. “Nella serata di ieri, dopo la conclusione del verbale – spiega agli inquirenti – mi sono recato nella mia abitazione (…). Mi ero messo a letto e ad un certo punto mi chiama mia sorella (…)” la quale “mi riferiva che l’aveva contattata Salvatore Cirafici”. Qualche minuto più tardi la donna era già a casa di Grazioli, per prelevare il fratello ed accompagnarlo dal Procuratore della Wind. “Mi ha chiesto come stavo – continua il maggiore – di stare tranquillo” prima di leggere il verbale che qualche ora prima aveva reso dinanzi all’Ufficio di Procura. “Dopo che il Cirafici ebbe a leggere il verbale mi redarguì pesantemente dicendomi ‘tu sei pazzo!... ti metti contro Omissis!’ affermazione questa che era tesa ad intimidirmi, in effetti raggiunse l’obiettivo poiché il Cirafici mi chiedeva di ritrattare quanto verbalizzato. In particolare il Cirafici leggendo il verbale nella parte in cui riferivo all’Ufficio che era stato lui ad informarmi ad intercettazione (sic!) mi ammonì, suggerendomi, con tono sornione, di rivedere quanto affermato”, prima di ordinargli di disfarsi della scheda protetta che precedentemente gli aveva fornito.
In altra parte del discorso, invece, “lo stesso mi riferiva testualmente: ‘Bruni va fermato!’.” Mentre alla luce delle circostanze riferite, delle pressioni e dell’ammonimento di Cirafici, Grazioli conclude: “Temo fortemente per la mia incolumità fisica e per il mio futuro professionale”.
Uno scandalo tutto da scrivere
Quale sia l’esito dell’ispezione negli uffici della Wind per il momento non è dato sapere. Certo è che l’inchiesta, per quanto si apprende, è arrivata nel frattempo anche alla Procura nazionale antimafia e presto, vista la sua delicatezza, sarà valutata dal Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
“Non esistono guarentigie per le istituzioni, Neanche per i servizi segreti” – è il commento del senatore dell’Idv Giuseppe Caforio ad Antonio Massari – “e quindi: che senso hanno, se esistono, le schede sim emerse in questa indagine? Quali uomini delle istituzioni le hanno realizzate?” Gli fa eco Emanuele Fiano del Pd, nonché membro dello stesso Copasir: “L’ipotesi che in questa vicenda siano coinvolti membri delle istituzioni e quindi dello Stato, ci obbliga a comprendere cosa stia accadendo”. Poche certezze, quindi, e un’unica grande sicurezza: siamo di fronte ad un nuovo scandalo di portata sconosciuta, ma ancora tutto da scrivere.
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