del 23 dicembre 2009
di Giuseppe D'Avanzo
(Giornalista)
ROMA - "Spiavo per il Sismi e per Telecom, e l'allora presidente Marco Tronchetti Provera sapeva tutto delle mie attività". Lo dice Emanuele Cipriani, l'uomo dei dossier Telecom, in una intervista aRepubblica. Cipriani: "Spiavo per Telecom e Sismi
Tronchetti Provera sapeva tutto". Emanuele Cipriani, 49 anni, è "l'uomo dei dossier Telecom" o, come più gli piace definirsi, "un imprenditore della sicurezza privata".
Oggi è il solo imputato "eccellente" di quella oscura storia (lo scandalo dello spionaggio Telecom nell'èra Tronchetti Provera) ad avere ancora interesse a non far cadere il velo su una scena dove, nonostante le omissioni del lavoro istruttorio, affiorano dossier illegali; figure che decidono della cosa pubblica senza alcuna responsabilità istituzionale; comportamenti obliqui di governanti; ricatti; corruzione piccola e grande; debolezze della magistratura, dell'informazione, delle amministrazioni dello Stato e, al centro, una sorda lotta per il potere che non si fa mai trasparente.
Il processo Telecom è diventato, come ampiamente previsto daRepubblica (non ci voleva un mago), un niente che non fa onore alla magistratura milanese. Anche senza l'incombente "processo breve" che lo soffocherebbe, l'udienza preliminare in corso da sei mesi vede il fuggi fuggi degli imputati. Il cinquanta per cento ha patteggiato. Quelli che restano si affidano al colpo di spugna della prescrizione.
Emanuele Cipriani, al contrario, ha un diavolo per capello. Non per la minaccia di una condanna penale, che forse non ci sarà, ma per il blocco dei suoi beni, per di più minacciati dalla rivalsa di Telecom e Pirelli, costituite parte civile contro di lui. Ai suoi occhi, la beffa dopo il danno. Dice Cipriani: "Non voglio essere e non sarò il capro espiatorio di questa storia. Quei soldi sono il frutto del mio lavoro".
Un frutto avvelenato, ottenuto con procedure illegali.
"Questo è vero soltanto in parte. Ammetto - l'ho fatto con la procura di Milano - che alcuni dossier si sono avvantaggiati di manovre non corrette, ma l'illegalità non è stata la regola, tutt'altro, l'attività verteva spesso in consulenze e servizi ad alto valore aggiunto, sempre strettamente legate al business aziendale. Nell'estate di due anni fa, in oltre duecento ore di interrogatorio, ho raccontato ai pubblici ministeri, pratica per pratica...".
Cioè, dossier per dossier...
"Preferisco chiamarle pratiche. Ho raccontato, dicevo, chi me le ha commissionate e l'obiettivo legale o illegale dell'operazione e, infine, la fattura di riferimento e da chi mi è stata pagata".
Che cosa vuole dire questo?
"Vuol dire che, sempre, in ogni circostanza, per ogni pratica, il mio lavoro è stato svolto nella consapevolezza del committente Pirelli-Telecom e nell'interesse delle società e, in alcuni casi, del presidente Marco Tronchetti Provera, nonché di suoi conoscenti e addirittura di alcuni suoi legali che erano miei clienti".
Ma, signor Cipriani, è proprio questa "dipendenza" diretta che l'inchiesta ha escluso. L'acquerello dipinto dai pubblici ministeri è un altro. Tre amici d'infanzia (Tavaroli, Mancini, Cipriani) fanno carriera partendo dal fondo della scala. Conquistano la potente e ricca security della Telecom (Giuliano Tavaroli), il controspionaggio militare (Marco Mancini), un'importante posizione nell'intelligence privata (Emanuele Cipriani). Incrociano le informazioni in loro possesso. Formano dossier spionistici in libertà con le risorse della tlc e dello Stato. Lucrano profitti e potere personali. Fine dell'affaire.
"E' un quadro falso. Non è vero che Tronchetti non sapesse chi fossi io. Ne era consapevole. Egli ha chiesto e ottenuto informazioni sul suo personale di servizio, dai domestici alla guardarobiera della signora Afef. Molte di queste pratiche non erano illegali, non erano aggressive e sono state pagate da Telecom e da Pirelli. Mi sono occupato personalmente della tutela della signora Afef; delle vacanze in barca del dottore in giro per il mondo; della sicurezza della sua barca a Saint Tropez; del matrimonio della figlia Giada a Portofino dove c'era tutta l'Italia che conta. E sono sorpreso che Tronchetti oggi dica di non saperne nulla. Ai magistrati ho raccontato di svariate pratiche aperte a suo esclusivo beneficio. E questo, naturalmente, è soltanto l'aspetto diciamo privato, svolto nell'interesse del Dottore. Per la maggior parte, il mio lavoro si è sviluppato nell'interesse delle società a verifica delle condizioni dei business a rischio".
Se capisco bene, lei è infuriato per il blocco dei suoi beni, incattivito dalla possibilità che Telecom si dichiari parte lesa minacciando di mettere le mani nel suo "tesoretto", arrabbiato perché la procura di Milano si è fermata, intimidita, sulla soglia della camera oscura dell'affaire. Il suo rancore e interesse le consigliano di far saltare il banco. E' così, è questo che sta dicendo?
"Mi ascolti bene. In oltre 200 ore di interrogatorio, io ho fatto ai pubblici ministeri nomi, cognomi, circostanze, indicato i dossier legali e quelli illegali, le notizie di reato che vi erano contenute. Ho invocato inutilmente per mesi che cercassero riscontri e testimonianze alle mie dichiarazioni. Non è accaduto nulla. Ho detto con chiarezza che Tronchetti Provera era a conoscenza dei contenuti di quei dossier o direttamente o indirettamente. Si è preferito credere alla favola che il Dottore quasi non avesse rapporti con Giuliano Tavaroli che era il mio referente diretto...".
Non è così?
"Per niente. Oggi si dice che, negli anni, Tronchetti ha ricevuto Tavaroli soltanto in qualche occasione e per non più di qualche minuto. Non è vero. Giuliano aveva accesso diretto e costante a Tronchetti, in qualsiasi momento. Io posso testimoniarlo. E' capitato che raggiungessi Tavaroli con un dossier che mi aveva commissionato. Lo ragguagliavo su quel che avevo scoperto. Non avevo ancora finito che Giuliano afferrava il telefono, chiedeva alla segreteria di Tronchetti di poter raggiungere il presidente e subito dopo, con il dossier sotto il braccio, lo raggiungeva. E questo è soltanto un aspetto del lavoro svolto per Pirelli/Telecom".
Perché ci sono altri aspetti?
"Certo, quelli istituzionali".
Che intende dire?
"Intendo dire che sono a conoscenza di questioni molto delicate che hanno visto sovrapporsi l'attività svolta per Telecom con il lavoro trattato per soggetti istituzionali e nell'interesse nazionale".
Senza tanti giri di parole, signor Cipriani, lei ha lavorato per Telecom e Pirelli e anche per il governo e i servizi segreti?
"E' bene precisare che le attività per le aziende erano regolate dalle aziende, come è stato riscontrato. Per le collaborazioni con il Sismi, non posso risponderle perché sono vincolato al segreto di Stato. Posso dirle che è acclarato che io ho avuto rapporti con il Sismi, in taluni casi insieme ad altre istituzioni dello Stato. Con l'assenso del pubblico ministero, al tempo, ho riferito di due operazioni, di cui una internazionale, molto importanti per la sicurezza del Paese. Non sono state le uniche. Non sono sicuro di poterle dire di più senza violare il segreto di Stato. Finora ho taciuto per più alti interessi nazionali, ma non ci sto a farmi fare terra bruciata intorno, a passare per un avido truffatore, lo spione che ha tradito la fiducia che gli era stata ingenuamente concessa da Tronchetti Provera e dal Sismi. Non ci sto a distruggere il mio lavoro, la mia onorabilità per proteggere qualche furbastro che oggi finge di non sapere o di non aver mai saputo. Per di più, dopo essere stato messo nella condizione di non potermi difendere perché quei dossier cui ho lavorato saranno distrutti e, con loro, le tracce e le ragioni dei committenti che me li hanno richiesti".
Nell'udienza del 13 novembre, la sua difesa (gli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Vinicio Nardo) ha chiesto a Marco Mancini, già capo del controspionaggio del Sismi, "se avesse mai incontrato Marco Tronchetti Provera". Mancini ha opposto il segreto di Stato. Tronchetti ha subito fatto sapere "di non aver mai avuto rapporti con il signor Mancini". E' in questo criptico batti e ribatti che si nasconde la chiave della sua difesa cui non intende rinunciare?
"Senta, anch'io mi sento vincolato al segreto di Stato e vedremo il Governo cosa dirà, ma intanto credo di poterle dire che Tronchetti è fin troppo ingenuo a dire di non avere avuto mai rapporti con il generale Pollari e Mancini. E' certo che Mancini e Pollari, suo direttore dell'epoca, hanno incontrato l'allora presidente di Telecom in varie occasioni tra il 2002 e il 2004".
E questo che vuol dire?
"Glielo dirò in modo brutale. Di fronte alla mia tentata distruzione morale, ho soltanto due strade da percorrere: o parlo o non parlo. Glielo ripeto: non farò capro espiatorio, non sarò il solo a pagare il prezzo di una storia scritta da altri".
Signor Cipriani, questo è un ricatto. Chi sta minacciando?
"Io non ho mai ricattato nessuno e sfido chiunque a dire se è mai stato ricattato da me: le pratiche non erano per il sottoscritto, ma per chi me le commissionava. Giri la domanda a costoro. Credo che - la mia - sia una difesa legittima dopo avere servito fedelmente, in molti anni di attività, un portafoglio clienti di tutto rispetto; le società Pirelli e Telecom; un uomo d'impresa (Tronchetti Provera) e, quando mi è stato richiesto, lo Stato".
Le parole di Emanuele Cipriani dimostrano che l'affaire Telecom, miniaturizzato fino alla caricatura dall'inchiesta della procura di Milano, distilla ancora liquido velenoso "dietro le quinte dell'ufficialità economica e politica e di un lavorio sordo fatto di favori, di ricatti, di relazioni più o meno sporche e più o meno segrete" (Galli della Loggia, 27 settembre 2006). La sottile speranza (allo stato dell'arte, ingiustificata) è che l'udienza preliminare in corso a Milano sappia fare luce su quel groviglio che i pubblici ministeri non hanno voluto o potuto illuminare. Le dichiarazioni di Emanuele Cipriani lo rendono doveroso. Soprattutto ora che ritornano in auge protagonisti di quel recente, buio passato come Niccolò Pollari, candidato a diventare presto Consigliere per la Sicurezza del capo del governo.
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