del 18 dicembre 2009
di Bruno Tinti
(Ex Procuratore della Repubblica Aggiunto di Torino)
Un articolo del nostro direttore (12 dicembre, “Quest’uomo è ancora in sé?”) mi ha fatto pensare: che senso ha parlare di quello che B. dice e fa, dimostrare che è sbagliato e pericoloso; non si riuscirà mai a convincerlo. Parliamo alle persone a lui vicine: che lo assistano e gli impediscano di farsi del male; quantomeno di farlo agli altri. E, per prima cosa, la smettano di dirgli che ha proprio ragione, che il suo pensiero è giusto, lungimirante e addirittura in linea con quello dei Padri della Repubblica. Come Alfano nel salotto di Bruno Vespa: “Anche Togliatti era contrario all’introduzione nella Costituzione italiana della Corte costituzionale”. Che starebbe a significare: va bene, B. non vi pare degno di fiducia; ma lo ha detto anche Togliatti! Insomma, il “principio di autorità”, ipse dixit (lo ha detto la Bibbia): così la Chiesa tacitò Galileo Galilei che esortava a guardare nel cannocchiale prima di continuare a credere che il sole girava intorno alla terra come detto dai testi sacri. Certo è strano che il pensiero (?) di B. sia accostato a quello di Togliatti. Ma come: B. ce l’ha con i giudici di sinistra, con la Corte costituzionale di sinistra, con i presidenti della Repubblica di sinistra; e, per dimostrare che ha ragione, si dice che come lui la pensava Togliatti? Ma lo sa Alfano chi era Togliatti? E’ però vero che il leader del Pci disse: “…si teme che domani vi possa essere una maggioranza (composta da) quelle classi lavoratrici le quali vogliono… rinnovare… la struttura politica, economica, sociale del paese; e per questa eventualità si vogliono prendere garanzie… di qui quella bizzarria della Corte costituzionale… illustri cittadini verrebbero ad essere collocati al di sopra… del Parlamento e della democrazia per esserne i giudici. Ma chi sono costoro? Da che parte trarrebbero essi il loro potere se il popolo non è chiamato a sceglierli? …non (si) debbono porre ostacoli all’affermazione e al trionfo della volontà popolare…”. Stupefacente, vero? Come gli estremi si toccano. Verrebbe da dire come le dittature, quella del tiranno e quella del proletariato si assomigliano. E come siamo stati fortunati che i Padri costituenti abbiano scelto come modello le democrazie occidentali invece che i paradisi socialisti. E tuttavia una grande differenza tra B. e Togliatti c’è: Togliatti pensava alle classi lavoratrici, temeva che la redenzione del proletariato fosse ostacolata dalla vecchia classe dirigente, quella che aveva perso la guerra e che, finalmente, era in una posizione di momentanea debolezza. Il popolo aveva la sua occasione, avrebbe potuto esprimere un Parlamento e dunque un potere legislativo libero da ogni condizionamento. Sarebbe stata una dittatura ma, almeno, rivolta al bene delle classi meno favorite. Ma per B. tutto è diverso: la Corte costituzionale non gli dà noia perché gli impedisce riforme di grande respiro volte al benessere dei cittadini. Il suo problema è che la Corte gli ha bocciato il lodo Schifani e il lodo Alfano, le leggi che gli permettevano di commettere impunemente reati e di non dover rispondere di quelli già commessi; e che rischia di vedersi bocciate quelle sul “processo breve” e sul “legittimo impedimento” che, di nuovo, riguardano lui e la ristretta cerchia dei politici dediti al malaffare; e che, ancora una volta, nulla hanno a che fare, per dirla con Togliatti, con il profondo rinnovamento della struttura politica, economica e sociale del paese. In fondo la differenza tra uno statista e un imprenditore che si dà alla politica per non finire in prigione (lo ha detto il socio di B, Confalonieri) è tutta qui: non negli errori commessi, non c’è uomo che ne sia immune, ma nelle sue motivazioni.
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