del 1 dicembre 2009
di Alberto Custodero
(Giornalista)
ROMA - Un'azienda su tre sequestrata alla mafia fallisce. Su 8933 immobili confiscati alla criminalità organizzata in gran parte in Sicilia, Campania e Puglia, poco più del 50 per cento (5407, per un valore di 725 milioni di euro) è stato assegnato dal 1996 a oggi ai comuni o allo Stato, trasformati in un bene utile per la società. Della restante parte (3526 immobili), il 75% resta per anni bloccata al Demanio con un costo enorme per la collettività (anziché un vantaggio), incagliata da "criticità", ipoteche, occupazioni abusive, pignoramenti e cause giudiziarie intentate dai proprietari mafiosi e dai loro prestanome.
Mentre la maggioranza propone in Finanziaria un emendamento per alienare i beni sottratti alla criminalità organizzata, il commissario straordinario dei beni confiscati alle mafie, il magistrato Antonio Maruccia, presenta al consiglio dei Ministri la sua relazione annuale, dalla quale emerge con tutta evidenza la criticità del problema. Il caso più emblematico è quello di un immobile confiscato a Torchiarolo, in provincia di Brindisi, nel 1995, ma occupato per quasi 15 anni dal proprietario in odor di mafia. Solo a fatica il bene è stato liberato e assegnato a una cooperativa di giovani. Il caso più paradossale, però, è quello dei terreni sequestrati a Dante Apicella, boss dei Casalesi, a Castelvolturno (provincia di Caserta), e affittati dal Demanio - contro il parere dei sindaci - ad Acli Terra Campania. Ebbene, la locazione è stata revocata "in quanto - scrive Maruccia - il presidente della Acli, poi arrestato, aveva avuto contatti proprio con la Camorra". Analogo problema per un altro immobile confiscato nel Casertano, a Casapesenna, che non ha rispettato le finalità sociali previste dalla legge sui sequestri dei beni alla mafia: anziché essere destinato alla Casa degli anziani, è stato affittato alla Banca di Bari.
Come fare dunque a risolvere l'impasse dei 3526 immobili, case, palazzi, ville e poderi confiscati grazie alla legge "Rognoni -La Torre", ma congelati anche da 25 anni nella gestione del Demanio a causa di mille cavilli giudiziari? E come risolvere pure il problema delle aziende mafiose, "visto che una su tre - scrive Maruccia - risulta già in liquidazione o fallita prima della confisca definitiva"? Maggioranza e opposizione propongono soluzioni diametralmente opposte.
Il governo, si diceva, vorrebbe alienare parte dei beni confiscati, col rischio che tornino ai proprietari iniziali, cioè ai mafiosi. Il capogruppo pd all'Antimafia, Laura Garavini - riprendendo la proposta del dottor Maruccia - replica lanciando "l'istituzione dell'Agenzia Nazionale per i beni sequestrati per assicurare la proficua gestione e la restituzione delle ricchezze sottratte alla mafia attraverso il loro effettivo, e soprattutto rapido, riutilizzo sociale e istituzionale. Risultati, questi, che il Demanio nei fatti non è stato in grado di garantire". "L'attuale commissario straordinario, del resto - osserva ancora l'onorevole Garavini - pur avendo ottenuto notevoli risultati, lavora a legislazione invariata e senza poteri speciali".
Il magistrato Maruccia, conclude la sua relazione presentando al governo il conto: il costo dei progetti per restituire alla società i beni confiscati ai mafiosi. Ecco alcuni esempi: trasformare le palazzine sequestrate ai boss della 'ndrangheta Piromalli, a Gioia Tauro, in un comando Compagnia dei carabinieri, costerà un milione e 800 mila euro. È di 55 mila euro il prezzo della "Bottega dei sapori" che sorgerà a Corleone, nella masserizia che fu di Bernardo Provenzano, nella quale assaggiare prodotti coltivati sulle terre tolte alla mafia. A Lentini, infine, in provincia Siracusa, 3 milioni di euro sono stati stanziati per creare sui terreni di Cosa nostra la "fattoria della legalità Casa nostra", che produrrà "grano duro, arance rosse bio, olive e latte". Il tutto, a sostegno "delle attività didattiche per lo sviluppo di un turismo rurale".
Nessun commento:
Posta un commento