del 12 dicembre 2009
di Massimo Fini
(Giornalista)
La democrazia esisteva quando non sapeva di esserlo. Nella società europea preilluminista e preindustriale l’assemblea della comunità del villaggio, composta dai capifamiglia, in genere uomini ma anche donne se il marito era morto o assente, decideva assolutamente tutto ciò che riguardava il villaggio. Scrive Albert Soboul, storico della scuola degli Annales: “Le attribuzioni delle assemblee riguardavano tutti i punti che interessavano la comunità. Essa votava le spese e procedeva alle nomine; decideva della vendita, cambio e locazione dei boschi comuni, della riparazione della chiesa, del presbiterio, delle strade e dei ponti. Riscuoteva ‘au pied de la taille’ (cioè proporzionalmente) i canoni che alimentavano il bilancio comunale; poteva contrarre debiti e iniziare processi; nominava, oltre ai sindaci, il maestro di scuola, il pastore comunale, i guardiani di messi, gli assessori e i riscossori di taglia. L’assemblea interveniva nei minimi dettagli della vita pubblica, in tutti i minuti problemi dell’esistenza campagnola”. Last but not least era l’assemblea a decidere come dovevano essere ripartite all’interno della comunità le tasse reali, peraltro assai modeste (tasse reali e “decima” ecclesiastica nonostante il nome di quest’ultima raramente superavano, sommate insieme, l’8%, più spesso si attestavano intorno al 5%). L’intervento dello Stato era minimo, praticamente solo formale. In teoria l’approvazione dei bilanci o l’autorizzazione di spese urgenti dovevano venire dall’intendente del re. Ma fra domanda e risposta passavano mesi e più spesso anni, cosicché l’assemblea del villaggio procedeva dando per scontata una risposta positiva, cosa che puntualmente avveniva. Scrive lo storico Pierre Goubert: “Lo Stato lasciava alle comunità una libertà d’azione (e non di rado di parola) molto maggiore che non le autorità prefettizie del XIX e soprattutto del XX secolo. Non è troppo paradossale sostenere che l’epoca della libertà per le modeste amministrazioni rurali fu proprio l’ancien régime; le frequentazioni degli archivi più umili provoca questo giudizio sorprendente che non è, si badi bene, un giudizio di valore”. Perché non possa e non debba essere un giudizio di valore lo lasciamo all’animuccia illuminista di Goubert. Questo sistema si incrinerà proprio agli albori della Rivoluzione quando, sotto la spinta degli interessi e dell’ossessione codificatoria dell’avanzante borghesia, un decreto reale del 1787, col pretesto di regolare e uniformare un’attività che aveva sempre funzionato benissimo (in Francia come altrove), introdurrà il principio che doveva diventare l’ambiguo cardine delle società moderne: l’assemblea non decide più direttamente ma elegge dai sei ai nove membri... Era nata la democrazia rappresentativa. Un modo, come io dico brutalmente, per metterlo nel culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso. Meditate, suorine democratiche del Fatto, meditate. www.ilribelle.com
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