del 9 dicembre 2009
di Eugenio Scalfari
(Giornalista)
TRA domenica e lunedì scorso nel circuito mediatico è accaduto un fatto strano: i principali giornali stranieri, televisivi e stampati, hanno dato notevole rilievo alla deposizione del pentito mafioso Spatuzza che chiamava in correità Berlusconi e Dell'Utri; i principali giornali e "talk show" televisivi italiani titolavano la cronaca di quell'argomento ma avevano come obiettivo politico Pier Luigi Bersani, accusato di irresolutezza e d'incapacità a risolvere i tanti guai che affliggono il nostro paese. Sembrava si fossero dati un vero e proprio appuntamento Giuliano Ferrara sul "Foglio", Ernesto Galli della Loggia sul "Corriere della Sera", Luca Ricolfi sulla "Stampa", per non parlare che dei maggiori.
Stonava soltanto l'"Avvenire", il giornale dei vescovi italiani, che titolava insolitamente a tutte colonne sulla tardiva e insufficiente retromarcia di Vittorio Feltri sul caso Boffo: dopo averlo linciato fino a provocarne le dimissioni, Feltri ammetteva che i documenti da lui portati come prova di omosessualità del direttore del giornale cattolico erano falsi. Se ne dispiaceva. Del resto il risultato ormai era stato ottenuto e Boffo era stato sbalzato di sella.
Segnalo questa difformità dell'"Avvenire", contemporanea alla campagna virulenta della "Padania" contro l'arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, reo agli occhi dei leghisti d'aver rimarcato che a Milano c'è poca carità cristiana e d'avere ancora una volta raccomandato umanità nei confronti degli immigrati.
Ma torniamo al tema più propriamente politico che ha avuto le sue premesse nella deposizione di Spatuzza e nel corteo dei giovani "viola" di sabato scorso. Di qui il "pressing" sul segretario del Pd: si decidesse a dialogare con la maggioranza sulle riforme, a cominciare dalla giustizia, e i problemi italiani sparirebbero d'incanto. Ma lui non si decide. Forse vorrebbe ma non può. Perché non può?
È evidente: non può perché una minoranza di arrabbiati glielo impedisce. Gli arrabbiati sono vecchi comunisti impenitenti, abituati a dir sempre no, a vedere tutto il male solo da una parte, a ritenersi moralmente superiori; ma non solo comunisti, anche vecchi azionisti, anticlericali incalliti, antiamericani, antifascisti a 24 carati. Gente che conta niente, complottardi, moralisti. Perennemente indignati.
Naturalmente c'è chi mantiene alto il livello di indignazione per professione: giornali faziosi che utilizzano la faziosità per guadagnare copie, giornali che hanno in testa soltanto Berlusconi, giornalisti per i quali Berlusconi è una droga eccitante, un elemento allucinogeno che essi assumono e diffondono a getto continuo tra i loro lettori. Dal caso di Noemi Letizia in poi, passando per Patrizia D'Addario e approdando infine a Spatuzza e alla marcia dei "viola". Antitaliani. Giustizialisti. Raccontano ogni giorno un paese che non c'è. Bloccano l'opinione pubblica - nazionale e internazionale - sul "gossip" d'un leader che ha il solo difetto d'essere esuberante e innumerevoli pregi al servizio del paese. Purtroppo non lo fanno lavorare. Dunque sono loro i veri, gli unici colpevoli. Bisogna isolarli.
Il ragionamento, come si vede, ha un suo sviluppo: giornali faziosi eccitano una minoranza di arrabbiati; questa minoranza è in grado di frenare il leader del Pd; questi vorrebbe dialogare ma ne è impedito; in mancanza di quel dialogo il premier non può governare perché un gruppo di magistrati faziosi glielo impedisce; per conseguenza il governo è bloccato. In sostanza un granello di sabbia ha immobilizzato la macchina della politica.
Questo racconto della situazione italiana è affascinante. Sembra una favola, ce ne sono tutti gli elementi: un principe operoso, il filtro d'un folletto o d'una strega che lo trasforma in un rospo, un lupo cattivo che vuole mangiare la nonna. La parte assegnata a Bersani è quella d'una bella fanciulla che dovrebbe baciare il rospo per dissipare il sortilegio.
Caro Pier Luigi, mi spiace per te ma la tua parte nella favola è proprio quella, la bella fanciulla che bacia il rospo. Certo ci vuole stomaco per baciare un rospo schifoso, ma tu lo stomaco ce l'hai e dunque fallo, per il bene di questo paese che il principe operoso e capace di governarlo l'ha trovato. Tu solo puoi interrompere il sortilegio e assicurare il lieto fine.
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Ho la vaga sensazione che a noi di "Repubblica" sia assegnata la parte del lupo cattivo. Giuliano Ferrara mi tira in ballo personalmente e mi domanda come sia stato possibile che, dopo aver organizzato cinquant'anni fa i convegni degli "Amici del Mondo" insieme a Mario Pannunzio e a Ernesto Rossi, sia finito nella compagnia del bordello.
Di solito Ferrara con me è gentile, questa volta è stato ruvido, segno che il richiamo all'ordine è stato perentorio. Rispondo così: il bordello non è a "Repubblica" ma a Palazzo Grazioli. "Repubblica" non si è occupata del bordello ma delle bugie del premier. La denuncia del bordello è stata fatta dalla Fondazione "Farefuturo" (patrocinata da Gianfranco Fini) e dalla signora Veronica Lario, comproprietaria del giornale diretto da Ferrara.
Può mentire spudoratamente un presidente del Consiglio che si rivolge al paese dalla televisione pubblica? Può reiterare le menzogne? Può indicare alla gogna i giornali che gli pongono domande più che legittime? Può insultare e incitare a non leggere quei giornali e a boicottarli pubblicitariamente? Può denunciarli al magistrato per aver fatto quelle domande?
Quanto ai "pedigree", per quanto mi riguarda io sono appunto partito dal "Mondo" e arrivato a "Repubblica" passando dall'"Espresso"; come percorso non mi sembra male. Ferrara è partito da Giorgio Amendola ed è arrivato a Berlusconi passando per Craxi. Non giudico, non ne ho alcun titolo. Dico soltanto "Unicuique suum", che vale per lui quanto per me.
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Il ragionamento di Galli della Loggia è diverso ma in sintonia. C'è sempre di mezzo il lupo cattivo, che certo dev'essere un diavolaccio di lupo se riesce da solo a combinare tanti guai. Ma il problema da risolvere è Bersani. "Il rinnegato Bersani". Rinnegato dal milione di giovani vestiti di viola che si domandavano: perché Bersani non è qui? A loro quell'assenza dispiaceva. A della Loggia invece ha fatto molto piacere. Perché? Risposta: perché lo slogan del corteo era: "Berlusconi dimettiti". Bersani non è andato per non marciare sotto quello striscione. Bravo Bersani. Berlusconi infatti deve governare.
Bene. Penso anch'io che debba governare. Il guaio è che non governa. Non governa da quando si è insediato a Palazzo Chigi nel maggio 2008. Ma non aveva governato neppure nei cinque anni 2001-2006. Infatti i problemi stanno ancora tutti lì, anzi sono peggiorati. Dobbiamo rifarne l'elenco? Rifacciamolo: il debito pubblico non solo non è diminuito ma è aumentato; la pressione fiscale idem; l'entità della spesa corrente idem; il deficit idem; le infrastrutture sono sempre al palo, parliamo ancora di quelle del famoso contratto con gli italiani stipulato a "Porta a Porta" nella campagna elettorale del 2001. Sono ancora tutti lì, inaugurazioni e tagli di nastri a bizzeffe, opere compiute neanche mezza.
Poi c'è il bordello della Sanità, il bordello della Scuola, il bordello dei Beni culturali. Quanti bordelli, caro Ferrara, e tutti dalle vostre parti. E questa sarebbe la politica del fare? Infine le riforme istituzionali e quella della giustizia.
Io sono amico di Bersani. Ha molte qualità. Tra le quali ci metto anche quella di non essere gladiatorio. E non ha la lingua biforcuta, che adesso va invece molto di moda. Ci sono fior di politici che cambiano versione a seconda del giornale che li intervista, anche a distanza di ventiquattr'ore. Ma lui no.
Sulla giustizia ha detto questo: pronto a discutere tutti i miglioramenti necessari affinché il servizio pubblico migliori, a cominciare dalla lunghezza intollerabile dei processi. Ma niente leggi "ad personam", niente "processo breve", niente Lodo Alfano, insomma niente salvacondotti.
Tra i pregi e i difetti del rinnegato Bersani c'è anche la testardaggine. Per me è un pregio. Salvacondotti non ne darà. Quanto al dialogo, ha più volte chiarito che si fa in Parlamento. E dove dovrebbe farsi? Il guaio è che Berlusconi non ci sta. A tutti gli emendamenti dell'opposizione il governo ha sempre detto no. Quanto alle riforme istituzionali, ha detto "nì" alla famosa bozza Violante (diminuzione dei parlamentari, creazione del Senato federale). Ha detto "nì" ma con un'aggiunta: vuole passare dalla Repubblica parlamentare a quella autoritaria.
Il testardo Bersani non ci sta, ma il fatto è che quel cambiamento non è previsto nella Costituzione. Proprio così: non è previsto, cioè non si può fare. Della Loggia dovrebbe saperlo. Per cui baciare il rospo non servirebbe a niente, resterebbe rospo.
Ricolfi sulla "Stampa" sostiene invece una bizzarra tesi. Secondo lui l'errore lo fece Veltroni quando disse che bisognava trattare sulle regole istituzionali e combattere invece sulla politica del giorno per giorno. Secondo Ricolfi bisognava invece fare l'opposto.
Bizzarro. Le regole vanno condivise, infatti proprio per questo sono previste maggioranze qualificate per approvarle. La politica invece non va necessariamente condivisa e l'opposizione esiste proprio per questo. Così la pensa anche il presidente Napolitano. Sbaglia anche lui?
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Due righe di chiusura. All'epoca del governo Prodi i giornali sapienti che giocano alle buone fatine e non al lupo cattivo, se la prendevano col governo e lo invitavano a venire incontro all'opposizione (cioè a Berlusconi) che nel frattempo trafficava per comprarsi quei pochi voti che sostenevano il governo. Adesso le buone fatine se la prendono con l'opposizione di centrosinistra. Terzisti? Non sembra proprio, stanno sempre dalla stessa parte.
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