Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 1 dicembre 2009
di Vincenzo Vasile
(Giornalista)
Dedicato a quelli che, quando Berlusconi dice che strozzerebbe Saviano, pensano che è una delle solite gaffe, un boomerang, una barzelletta. A quelli che si illudono di racimolare consensi presentandosi con la faccia paciosa, evitando di nominare S. B, principale esponente dello schieramento avversario. A quelli che invitano ad abbassare i toni e scendono in piazza, se scendono, a titolo personale. A quelli che si sono scordati che due secoli di storia italiana sono ormai trascorsi con pezzi di politica e pezzi di mafia che si lanciavano segnali di fumo, alternando parole , ammiccamenti, trattative, minacce, delitti e stragi. A loro dedichiamo un nostro tentativo di “traduzione interlineare” delle parole dette e non dette, delle allusioni sussurrate, dei cenni sibilati. Un manualetto, redatto con la consulenza di Claudio Fava, (che è candidato nella lista di quelli da strozzare, se non altro come sceneggiatore di I cento passi e del Capo dei capi ed è orfano di Giuseppe, giornalista che fu ucciso, in mezzo a una fantasmagoria di analoghi segnali cifrati, di trattative e di proiettili, a Catania, Italia, 1984). Una guida. Come quelle che si usavano a scuola per le versioni. Da tenere sotto il banco pronta per consultazione. Perché le cronache ci dicono che è vigilia di un’emergenza. Come nel giorno precedente tanti episodi feroci, che furono precorsi spesso da parole vaghe e segni similmente oscuri.
E dunque oggi occorre decifrare i segnali di fumo che – calcisticamente - il “tridente” di Berlusconi, Dell’Utri e Renato “Betulla” Farina sta lanciando in questi giorni con uno straordinario gioco di squadra. Il primo nega l’esistenza della mafia, e minaccia lo strangolamento – uno scherzo, maddai! – degli autori delle nove Piovre e dei libri di mafia “che ci fanno fare una bella figura”. Per poi correggere che no, la mafia ci informano che forse esiste, e se esiste lui l’ha combattuta in maniera tosta. L’ex giornalista, amico di Feltri, se ne va nelle stesse ore nel carcere di Opera a Milano e dichiara che i mafiosi dietro le sbarre al 41bis stanno peggio che a Guantanamo. E il senatore di fiducia, promotore di Forza Italia agli albori, condannato per concorso in mafia, dice che bisogna togliere il concorso esterno - e “magari aboliamo anche quello interno?” - , abbandonare la strada dei pentiti, e torna a indicare lo stalliere Mangano (che non si pentì), come un eroe. È arrivato dall’altra parte nei mesi scorsi qualche segnale di grave delusione, non bastano più le solite promesse. La trattativa è ripresa, la trattativa continua. Un lavoro di traduzione, decrittazione , contestualizzazione di queste frasi è, dunque, necessario.
Lo dedichiamo a quelli che si sono scordati della lezione di coloro che simili segnali di “trattativa” sapevano ben interpretarli. E per saperli leggere e volerli combattere hanno perso la vita: il comunista La Torre, il democristiano Mattarella, i carabinieri Basile D’Aleo e Dalla Chiesa, i poliziotti Giuliano, Montana e Cassarà, i magistrati Costa Terranova Chinnici Falcone Borsellino, i giornalisti Fava Impastato e Rostagno. E tutti gli altri, vittime della mafia, strozzati nella camera della morte, immersi in un grande lago di sangue. Morti che furono gettati come una posta sanguinosa sul tavolo della trattativa, tra un pizzino e una dichiarazione ai giornali. Si tratta di una galleria di “eroi” veri, da onorare. Anche e soprattutto nei giorni che il dolore e l’indignazione si sono dileguati, come negli acidi della mafia. E così rischiamo di assuefarci al chiacchiericcio delle parole approssimate, delle spiritosaggini. Che celano, sospettiamo, una fitta corrispondenza di bigliettini, minacce, strattonamenti, cedimenti, lusinghe, intese.
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