del 15 dicembre 2009
di Dario Del Porto
(Giornalista)
Il procuratore aggiunto di Palermo, oggi a Napoli, condanna il "no" all'arresto del sottosegretario.
«Il contrasto all´ala militare delle organizzazioni di stampo mafioso è importantissimo. Ma fino a quando quest´azione non si coniugherà con una risposta forte e univoca sul fronte dei rapporti con la politica, non credo che potrà cambiare l´ordine dei fattori globali. Si vinceranno molte battaglie, ma come sempre nella storia del Paese si perderà la guerra». In questo senso, ragionaRoberto Scarpinato, procuratore aggiunto a Palermo, il magistrato che ha istruito i grandi processi su mafia e politica, il voto contrario della Camera alla richiesta di arresto del sottosegretario Nicola Cosentino indagato per presunti rapporti con il clan dei Casalesi «non è un segnale incoraggiante».
Scarpinato sarà oggi alle 15.30 al Suor Orsola Benincasa per discutere della «improcessabilità del potere», prendendo spunto dal libro scritto dal magistrato a quattro mani con il giornalista Saverio Lodato e intitolato "Il ritorno del principe". L'appuntamento cade a poche ore dall´aggressione subita a Milano dal premier Silvio Berlusconi e dalle polemiche che, dopo questo gesto, hanno lambito anche la magistratura palermitana, accusata dal consigliere "laico" del Csm Gianfranco Anedda di «non essere esclusa» dal clima di tensione di questi giorni.
Che pensa di queste affermazioni di Anedda, procuratore aggiunto Scarpinato?
«Preferisco non intervenire su questo anche perché il discorso che farò al Suor Orsola affronterà temi di più ampio respiro. La mia sarà una riflessione sul rapporto distorto che in Italia esiste da secoli fra il potere e gli intellettuali».
Perché parla di rapporto «distorto»?
«Pier Paolo Pasolini diceva che gli intellettuali italiani abitano nel palazzo. Leonardo Sciascia, a proposito degli intellettuali organici, diceva che sono come il concime per la pianta del potere e che lui preferiva essere la pianta piuttosto che il concime. Se si esamina la storia degli intellettuali italiani ci si accorge che sono da sempre condannati a un´eterna damnatio: da una parte quelli la cui massima ispirazione è ritrovarsi sul libro paga del principe di turno e diventarne "consigliori", dall´altra quelli che cantano fuori dal coro e si ritrovano condannati al rogo, alla galera o al silenzio».
E questo quali effetti ha determinato sulla società civile italiana?
«Dal 1500 ad oggi larghe componenti della nostra classe dirigente non hanno assimilato i valori dello Stato di diritto. Con la conseguenza che, a differenza di quanto accade negli altri Stati europei, tutta la nostra storia è intrecciata con la questione criminale che si manifesta in tre forme: stragismo e omicidio politico, corruzione sistemica e mafia».
La camorra ha assunto dimensione di emergenza nazionale anche grazie al successo mondiale di "Gomorra". Oggi inizia in Cassazione il processo "Spartacus" al clan dei Casalesi, paragonato al maxiprocesso contro Cosa nostra istruito da Falcone e Borsellino. È d´accordo anche lei sul fatto che lo snodo potrà rivelarsi decisivo nella lotta a questa temibile organizzazione malavitosa?
«È certamente un fronte molto significativo. Ma non bisogna dimenticare che la mafia popolare è un sottoprodotto di un certo modo di fare politica che ha distrutto le risorse collettive alimentando il sottosviluppo. Quartieri come Scampia e Secondigliano non sono frutto del destino cinico e baro, ma risultato di questo modo di fare politica. E finché esisteranno realtà del genere non potremo uscire facilmente da questa spirale».
Intanto la Camera ha respinto compatta la richiesta d´arresto del sottosegretario Cosentino e anche le mozioni di sfiducia presentate nei suoi confronti.
«I francesi dicono che i figli non si educano con le parole ma con gli esempi. Credo che questa massima valga anche per il rapporto fra governanti e governati. Non si può pretendere dai governati educazione alla legalità se, dall´alto, non arrivano segnali inequivocabili»
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