del 29 dicembre 2009
di Elisabetta Reguitti
(Giornalista)
Aula 067 ore 9: brusio, convenevoli e saluti. I soliti visi conosciuti che si riconoscono tra loro; persone che siedono sempre al solito posto. Gli avvocati delle parti civili da un lato e quelli della difesa dall’altro. Un uomo sistema sul cavalletto una piccola telecamera. La giornalista di Radio Radicale, unico media nazionale, siede in fondo all’aula e predispone il pc e l’apparecchiatura necessaria alla registrazione audio. Prendono posto (sempre il solito) anche i giornalisti locali - “quelli della giudiziaria” - con i soliti quaderni dove da un anno a questa parte vengono annotate scarne note di cronaca. L’ambiente è ancora freddo quando entra la corte. Il presidente Enrico Fischetti e la giuria popolare. Alla destra di Fischetti si accomodano due uomini e una donna, alla sua sinistra due donne e un uomo: tutti indossano la fascia tricolore. Siedono anche i due cancellieri così come i pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni.
Tutto è pronto per un nuovo appuntamento con la storia dimenticata e celebrata, da un anno a questa parte, nel palazzo di Giustizia di Brescia dove dal 23 novembre 2008 è in corso il processo di primo grado della quinta istruttoria sulla strage di piazza della Loggia avvenuta la mattina del 28 maggio 1974. Erano le 10.12 quando esplose l’ordigno collocato in un cestino porta rifiuti accanto ad una colonna del porticato che guarda alla facciata della centralissima piazza del Palazzo municipale (la Loggia). Era in corso una manifestazione antifascista. Morirono otto persone: Giulietta Banzi Bazoli 34 anni insegnante, Livia Bottardi Milani 32 anni insegnante, Clementina Calzari Trebeschi per tutti Clem 31 anni insegnante e suo marito Alberto Trebeschi 37 anni anche lui docente così come Luigi Pinto 25 anni, Euplo Natali 69 anni pensionato, Bartolomeo Talenti detto Bartolo 56 anni e Vittorio Zambarda 60 anni. Oltre 100 i feriti, ventuno dei quali menomati per sempre.
Alle spalle dei due pm siede Manlio Milani, presidente dell’Associazione familiari caduti strage di piazza della Loggia e fondatore della “Casa della Memoria”. Sulle sedie sistemate in fondo all’aula prende posto il pubblico tre, quattro cittadini che, di tanto in tanto, fanno capolino in questi appuntamenti con il passato. Udienze (saranno 86 il prossimo 12 gennaio) con cadenze bisettimanali per cercare di ricostruire una verità storica e, forse, anche una giudiziaria.
Erano sei gli imputati (per concorso in strage) oggi rimasti cinque dopo la morte avvenuta quest’estate di Giovanni Maifredi (genovese infiltrato negli ambienti della destra eversiva ritenuto il confidente di Delfino) gli altri sono: Carlo Maria Maggi (medico di Mestre che negli anni ’70 era al vertice di Ordine Nuovo nel Triveneto), Delfo Zorzi (altro esponente della destra eversiva che oggi vive in Giappone sotto le spoglie di Hagen Roi), Maurizio Tramonte (ex infiltrato Sid nome in codice “Tritone”), Francesco Delfino (all’epoca comandante del Nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Brescia) e Pino Rauti (già segretario nazionale dell’Msi).
Passano le ore nell’aula 067: i due carabinieri di servizio al palazzo di Giustizia entrano, si trattengono per qualche minuto ascoltando e poi escono. Dalle ampie vetrate in cima all’alto soffitto filtrano raggi di luce. Sembra di assistere a una celebrazione religiosa scandita dalla sua ritualità. L’ambiente, nonostante il riscaldamento, rimane freddo mentre Angelino Papa, ex imputato nel primo processo e condannato in primo grado a dieci anni e mezzo e poi assolto, racconta dei lunghi interrogatori avvenuti in carcere. Del fiato sul collo del capitano Francesco Delfino che pare, al tempo, gli offrì 10 milioni di lire per collaborare. Angelino Papa, allora, arrivò ad accusarsi di aver messo la bomba nel cestino.
Manlio Milani ascolta e prende appunti. I giudici popolari, braccia conserte , ascoltano pure loro con attenzione; prima la lettura degli atti fatta dai pm e a seguire le dichiarazioni di Papa. Chi verbalizza è assorto nel suo compito.
“Tutte balle” ripete allo sfinimento Papa nel corso dell’udienza contraddicendo le sue precedenti dichiarazioni fatte negli interrogatori di allora. Ad un certo punto un colpo di scena: “Ma cosa la spinse ad accusarsi di aver messo la bomba nel cestino di piazza della Loggia?” chiede il presidente della corte Enrico Fischetti. “Non capivo più niente – risponde Papa -. Non sapevo più cosa dire. Per essere arrivato a dire queste cose vuol dire che ero proprio fuori di testa. Sono tutte cose inventate, non è vero niente. Io la mattina della strage di piazza della Loggia sono andato dal barbiere a San Bartolomeo (un quartiere della città) e non sono stato in piazza”.
È l’ora dell’abituale pausa di mezza mattina. A stabilirlo è il presidente Fischetti che scuote il suo orologio da polso. Lo ha fatto per l’intera matti-nata. Cercando forse di far ripartire l’ingranaggio che segna il tempo. Già quel tempo che trascorre inesorabile è che sulla strage di piazza della Loggia si è accanito con inevitabile ferocia. Sono passati 12.658 giorni da quello scoppio: un dramma del nostro Paese giocato sul tempo. E questa sarà l’ultima occasione per ricostruire i fatti, non solo di Brescia, ma dell’intero quinquennio ‘69-‘74 da piazza Fontana all’Italicus. Tre stragi, fino ad oggi, senza colpevoli.
Nel corridoio del palazzo di Giustizia Manlio Vicini rivendica la necessità di una trasparenza democratica anche se ammette che “un processo che avviene a 35 anni dai fatti è la dimostrazione di un fallimento. Qui siamo di fronte a qualcosa che è quasi una ricerca storica. Anche se in questo primo anno di processo sono emersi alcuni punti fermi che descrivono la situazione ai tempi della strage”. Come l’esplosivo e le armi che circolavano a fiumi, i campi paramilitari per l’addestramento, il ruolo della destra e i rapporti tra la destra e alcuni servizi deviati dello Stato. “È in questo ambiente che è maturata l’organizzazione della strage di piazza della Loggia”. Milani sottolinea inoltre il livello di reticenza che si è toccato con mano. “Molte persone di destra hanno preferito custodire i loro segreti”.
Nell’aula 067 intanto riprende l’udienza che terminerà intorno alle 18 in un’altalena di ritrattazioni, accuse e smentite.
La sentenza finale del processo è attesa per la fine del 2010: dopo un anno e 86 udienze ci sono ancora 220 testimoni da sentire.
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