del 14 gennaio 2010
di Marco Lillo
(Giornalista)
De rustica progenie, semper villana fuit. È questa la reazione di Massimo Ciancimino alle parole di Marcello Dell’Utri su di lui. Dopo la pubblicazione dei verbali sui rapporti del senatore bibliofilo con il boss Bernardo Provenzano, Dell’Utri ha replicato: “non vorrei incazzarmi ma ci sarebbe da prendere un badile e rovesciarlo addosso a questi cretini”. Ciancimino junior sorride: “mio padre non lo stimava e lo considerava una persona troppo impulsiva. Ora scopre i mei verbali e che fa? Mi risponde con il badile. Come dicevano i latini: chi discese da stirpe rustica, rimane rozzo”.
A parte le battute, Dell’Utri pone un problema: Ciancimino mi accusa per riavere il suo patrimonio sequestrato.
Faccio una scommessa con il senatore. Nell’ipotesi assurda che mi restituiscano questo favoloso tesoro, mi impegno a cedergli tutto in cambio di una barca nuova.
Non è vero che le hanno sequestrato 60 milioni?
C’è solo uno yacht Itama 55 in leasing e vale meno delle rate da pagare. Più una serie di società in perdita. I milioni di cui si parla non sono miei. Con una battuta potrei dire che non cito in giudizio Dell’Utri solo perché se vincessi rischierei un secondo processo per riciclaggio.
Ciancimino lei scherza ma la domanda di Dell’Utri resta. Perché parla?
Io non mi sono mai tirato indietro quando mi hanno chiamato a collaborare. È successo tre volte. E il primo è stato Falcone.
Che c’entra Falcone?
Mio padre era stato arrestato e gli garantii che avrebbe parlato aprendo uno squarcio sul cosiddetto terzo livello.
In cambio di cosa?
Mio padre non fu processato nel maxiprocesso, che era una vera e propria mattanza giudiziariama in un procedimento separato. Falcone non fece nulla che non fosse nei diritti di un imputato ma mio padre lo apprezzò, anche se poi si tirò indietro.
E la seconda collaborazione?
Nel 1992 il capitano del Ros Giuseppe De Donno mi chiede una mano per convincere mio padre a collaborare. Io rispondo di sì e parliamo di un periodo nel quale la mafia faceva saltare in aria le autostrade. Nonostante tutto però sono l’unico di 5 figli a essere stato condannato.
Sì ma quando i magistrati la interrogano dopo l’arresto
per il riciclaggio del tesoro di don Vito lei non risponde.
Non consideravo credibile quell’inchiesta e quegli interlocutori. Nessuno mi chiedeva nulla sulla carta sequestrata a casa mia con le richieste della mafia al Cavaliere. Prima di attaccarmi Dell’Utri dovrebbe studiare come sono andate le cose. È tutta colpa di Belpietro”.
Che c’entra il direttore di Libero?
Era il 2007, quando esco dal carcere dopo la condanna è la prima persona che cerco per raccontargli la trattativa Stato-mafia. Allora stava al Giornale ma io lo considero una persona seria. Lui mi ascolta a lungo e mi passa all’inviato Gianluigi Nuzzi, un altro giornalista di destra che stimo. Poi entrambi passano a Panorama ed è il settimanale di Berlusconi a fare lo scoop. Non mi sembra il comportamento di uno che vuole accusare Dell’Utri per avere salvo il patrimonio . A me Berlusconi sta pure simpatico”.
Sì. E poi va a Palermo e racconta ai pm che Dell’Utri incontrava Provenzano e che Riina scriveva lettere al Cavaliere di un ‘luttuoso evento’. Bell’amico di Berlusconi.
Andatelo a leggere quel verbale. Avevo già fatto molti interrogatori, era giugno del 2009. Il pm Ingroia, a sorpresa, mi mette in mano la lettera trovata a casa mia. A me manca il respiro.
Per uno che ha fatto il postino di papà Vito e Provenzano, era una bazzeccola.
Il fatto era che avevo parlato con mia moglie Carlotta dei limiti della mia collaborazione. Le avevo garantito che non avrei mai varcato il punto di non ritorno e che un giorno saremo riusciti a girare ancora in moto per Palermo sulla Ducati che mi ha regalato suo padre. Io sapevo che in quel preciso istante lo stavo varcando. All’inizio ho detto che il pizzino lo avevo scritto io. Sembravo Fantozzi. Me lo sarei voluto ingoiare davanti a Ingroia. Poi ho detto che era di mio padre, ma non stava in piedi. Poi ho pianto e ho chiesto una pausa. Solo alla fine ho detto la verità.
Cioé che suo padre le disse che la lettera veniva da Riina e Provenzano?
Non posso parlare di queste cose, comunque io giro con la scorta e la Ducati non è più uscita dal garage.
Lei sta parlando degli investimenti milanesi dei costruttori mafiosi di Palermo, Bonura e Buscemi. Si dice che parli anche dell’interessamento di suo padre per i primi cantieri del giovane Berlusconi. Non le sembra di esagerare?
Tutto deve essere visto con gli occhi di allora. Quei costruttori allora erano insospettabili. A Palermo avevano edificato molto, forse quanto Berlusconi a Milano. Io l’ho già detto non penso che Berlusconi sia mafioso. Altra cosa è poi il ruolo che possono avere avuto alcune persone come Dell’Utri che lo hanno aiutato nei rapporti con questi ambienti.
Ciancimino lei, anche al ristorante, si guarda intorno come una preda braccata.
Ha paura?
Sarei uno stupido se non avessi paura. Ci sono molte indagini partite dalle mie dichiarazioni. I mafiosi possono sopportare se gli tocchi l’amico politico ma non se metti in discussione i piccioli. Non penso che Provenzano sia contento di quello che ho raccontato sull’arresto di Riina. Né lo sarà Riina.
Nonostante tutto non ha ancora risposto. Perché parla?
Per ridare dignità al nome di mio figlio, Vito Andrea Ciancimino. Lei lo sa cosa vuol dire essere fidanzato di una ragazza a Roma per due anni con un cognome falso? Io lo so. Lei sa cosa vuol dire per un Ciancimino sentirsi fare i complimenti dal fratello di Borsellino, Salvatore? Io lo so. E poi non ne potevo più dell’ipocrisia dei palermitani. Quelli come Cuffaro che hanno fatto finta di non conoscermi. Ce l’ho con quelli che prima facevano la fila per venire a Panarea sul mio elicottero e dopo l’arresto, fingevano di non conoscermi. L’avevo già provato nel 1984 quando era stato arrestato mio padre ma quando l’ho visto sulla pelle di mio figlio, che non veniva più invitato alle feste, e di mia moglie non ce l’ho fatta.
Si è voluto prendere una rivincita sulla Palermo bene?
Sì, forse un po’ è così.
Lei sta parlando anche di suo padre. Cosa direbbe Don Vito, se fosse vivo?
Che sono un traditore. Ma anche in vita non siamo mai andati d’accordo. Ed è andata bene così.
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