del 29 gennaio 2010
di Lorenza Carlassare
(Professore di Diritto Costituzionale)
La libertà garantita dall’art.17 “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”
ha un’importanza fondamentale per la democrazia. Un’importanza che si rivela crescente, dato lo stretto legame con la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21), pur in un tempo in cui sono così abbondanti i mezzi di comunicazione. Perché si riuniscono i cittadini? I fini possono essere i più vari, culturali, politici, sindacali, religiosi, sportivi, di svago, ma è sempre per parlare fra loro, scambiare pensieri, idee, discutere, assumere decisioni, prendere posizione. Può trattarsi di poche persone riunite in luogo privato; oppure di molte o moltissime in piazza o in corteo che si uniscono per manifestare insieme le proprie convinzioni, esprimere assenso o dissenso, segnalare richieste, difficoltà e disagi. La forza del numero dà peso ad un’opinione, a una richiesta, alla denuncia di un fatto che, espressa isolatamente, si perderebbe nel frastuono di voci.
Dei diversi “mezzi” di manifestazione del pensiero che “tutti” possono liberamente usare (art. 21), la parola è l’unico ad essere veramente a disposizione di tutti. Per gli altri mezzi – la stampa, la radio, la televisione – occorrono risorse e strutture di cui pochi dispongono. E’ vero che oggi c’è la Rete, ma questo tipo di comunicazione spesso rischia di essere frammentato e soprattutto, per non rimanere un fatto episodico e farsi efficacemente “sentire”, ha bisogno di essere seguita da qualcos’altro: un incontro collettivo , una manifestazione di piazza che dia visibilità pubblica al contenuto del messaggio. In qualche modo la Rete e la riunione (per discutere, decidere o manifestare) si integrano: la prima è il modo efficace per realizzare la seconda, per metterla in moto. Le notizie partono, i messaggi sono raccolti e l’incontro fisico segue.
Il potere ha sempre avuto paura dei cittadini riuniti. Il limite dell’ordine pubblico, sempre invocato per restringere questa libertà, è un concetto giuridico indeterminato che può caricarsi di significati molteplici lasciando una discrezionalità amplissima all’autorità di pubblica sicurezza: per il fascismo era contrario all’ordine pubblico tutto ciò che era contrario al regime. L’Assemblea costituente elimina dal Testo costituzionale ogni riferimento all’ordine pubblico, usando espressioni diverse che ne delimitano il concetto. Le riunioni in “luogo pubblico”, le uniche per le quali deve essere dato “preavviso” alle autorità, possono essere vietate “soltanto per comprovati motivi di sicurezza e incolumità pubblica” (comma 3). Nessun altro motivo è consentito. Quanto alle “le riunioni private” , così come “le riunioni in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso” (comma 2) ; sono dunque completamente libere purché si svolgano “pacificamente e senz’armi”: è l’unica condizione costituzionalmente imposta. Perciò è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale (sent. n. 27/1958) la norma introdotta dal fascismo che considerava pubblica anche una riunione in forma privata “per il luogo in cui sarà tenuta o per il numero delle persone che dovranno inter-venirvi, o per lo scopo o l’oggetto”. Del resto abusi continui si verificano; manca, anche in soggetti interessati, la piena coscienza della portata di questa libertà. Ad esempio, nel marzo del 2009 su iniziativa del prefetto di Roma, le organizzazioni sindacali e i partiti politici hanno firmato un protocollo con il comune (della durata “sperimentale” di sei mesi), impegnandosi a utilizzare soltanto alcuni luoghi per cortei e riunioni (tranne che per manifestazioni di importanza nazionale): ma la libertà di riunione è “irrinunciabile” e “indisponibile”. L’accordo quindi non poteva vincolare nessuno: eppure (fa notare Alessandro Pace, un costituzionalista sempre attento alla tutela dei diritti di libertà), col pretesto che non sarebbe stato seguito uno dei percorsi previsti dal protocollo, dalle forza di polizia è stato impedito a un corteo dell’“Onda studentesca” di uscire dalla Città universitaria dove si era spontaneamente formato.
Questo caso chiarisce bene la stretta connessione fra diritti di libertà, in particolare fra libertà di riunione e di circolazione. Se l’art. 16 “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in ogni parte del territorio nazionale“rientra nella tutela della sfera libera della persona – nei luoghi in cui dimora (art. 14), nelle relazioni con gli altri (art. 15), nei movimenti (art. 16) – consentendole di fissare la sua dimora dove crede e di spostarla nel territorio (anche per ragioni di lavoro), evidente è anche la sua connessione con l’art. 17. Se fossero posti limiti alla libera circolazione, come potrebbero le persone spostarsi per unirsi agli altri in una pubblica manifestazione? Ad evitare abusi, l’art. 16 – che garantisce al cittadino anche la libertà di espatrio (comma 2) – dispone (come per tutti i diritti) l’esclusiva competenza della “legge”, precisando inoltre che questa libertà può essere limitata soltanto “per motivi di sanità o di sicurezza” stabiliti “in via generale” (non per singole persone o categorie); e che “Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”. Una precisazione importante dato lo speciale rilievo politico di questo diritto di libertà.
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