del 21 gennaio 2010
di Wanda Marra
(Giornalista)
Cronaca di un’approvazione annunciata. Il processo breve passa in Senato senza nessun brivido alle 13:09 con 163 sì, 130 no, 2 astenuti. Una partecipazione massiccia da parte dei senatori del Pdl che la dice lunga sul fatto che l’ordine di scuderia da parte del presidente del Consiglio è stato forte e chiaro. Sul fronte dell’opposizione, che il tentativo di ostruzionismo fosse fallito e si fosse arenato anche nelle sabbie del voto segreto, si era già capito l’altroieri. E dunque l’aula di Palazzo Madama è arrivata al voto finale con delle dichiarazioni dai toni tutto sommato fin troppo bassi. Qualche contestazione per Giampiero D’Alia (Udc) che accusa la Lega: “Voterà un testo che è la pietra tombale per il federalismo fiscale”. Dal Carroccio parte il primo coro di “Buuu!” e di “Basta, smettila! Sono frottole!”. Ma D’Alia continua. Obiettivo del ddl non è solo “salvare il premier”, ma anche “gli amministratori che hanno processi in corso davanti alla Corte dei Conti”. Il riferimento è all’allora Guardasigilli Roberto Castelli che con la norma transitoria vedrebbe estinti alcuni procedimenti che lo riguardano . Risponde indirettamente nel suo intervento il capogruppo del Carroccio, Bricolo: “Il ddl è una norma di civiltà necessaria per attuare la Costituzione sul giusto processo”. Denuncia la Finocchiaro: “Voi state approvando il 19esimo provvedimento ad personam dell’era berlusconiana. Decretate la fine di migliaia di processi penali e quindi ci sarà una giustizia negata per migliaia di cittadini”. Dal canto suo, il capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri nega: “La legge che noi proponiamo non cancellerà i processi”. La protesta plateale tocca all’Idv – che già nella notte tra martedì e mercoledì aveva occupato l’aula – che al momento del voto finale cerca di arrivare al banco della Presidenza e innalza i cartelli: “Berlusconi fatti processare” e “Muoiono i processi Cirio-Parmalat”. Su tutte le furie Renato Schifani.
Ma l’unico momento davvero “non scritto” della giornata è la dichiarazione di voto del senatore Pdl, Enrico Musso che spiega la sua non partecipazione al voto, motivandola non tanto nel merito del provvedimento, ma perché il suo partito non ha voluto ammettere apertamente che sarebbe servito al premier. Realtà molto chiara ed evidente
nei corridoi. Tant’è vero che il relatore Valentino si era spinto negli scorsi giorni a dire a un senatore dell’opposizione: “Basta che non ci toccate le norme transitorie. Sul resto si può trattare”. E sono proprio le norme transitorie quelle che servono al presidente del Consiglio. Che con questo testo si salva dai processi Mills e Mediaset e raggiunge così l’obiettivo di scamparla dai procedimenti che gli pendono sulla testa.
Ora, la parola passa alla Camera. E la partita non è del tutto finita. I finiani hanno detto in questi giorni che potrebbero avanzare dubbi sulla costituzionalità del testo. Granata ribadisce: “Non ci stiamo ad approvare un provvedimento che uccide la giustizia”. Oggi intanto Fini e Berlusconi si incontrano di nuovo a pranzo e sicuramente affronteranno l’argomento. Il premier ieri è intervenuto con tutta la sicumera di chi a questo punto vuole stravincere. Ha espresso parere “negativo” sul testo, nonostante sia stato elaborato dalla sua stessa maggioranza: i tempi introdotti “sono ancora eccessivi” . Perché “10 o più anni” sono troppi. Insomma, il ddl non si merita l’appellativo di “processo breve”, ma semmai quello di “processo lungo”. Una posizione che sembra ventilare la possibilità di un altro intervento normativo: forse la norma sulla “inappellabilità” delle sentenze di assoluzione in primo grado. Quanto ai processi che lo vedono coinvolto, il Cavaliere li definisce senza mezzi termini “plotoni di esecuzione”. Contento o no, parla di una sorte di amnistia di fatto il Comitato Intermagistrature, che rappresenta magistrati ordinari, amministrativi, contabili e avvocati dello Stato.
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