del 6 gennaio 2010
di Nicola Saracino
(Magistrato)
Se la legalità è un bene fondamentale in ogni collettività organizzata, al pari di ogni valore o risorsa essa non è illimitata.
Anche nella società più evoluta una percentuale di illeciti sfugge all’accertamento ed alla repressione.
Se, però, tale percentuale risultasse esorbitante, la legalità sarebbe messa seriamente in discussione.
Il deficit di effettività, infatti, attenua nei cittadini il senso del dovere favorendo l’emulazione delle condotte non virtuose.
E’ compito di un Legislatore saggio quello di individuare il punto di equilibrio tra penalizzazione delle condotte e relativa repressione; deve cioè selezionare i fatti realmente offensivi dei valori comuni all’accertamento dei quali far conseguire ineluttabilmente la sanzione.
Se si trascura l’aspetto pratico, in un certo senso “economico”, della legalità e quindi l’esigenza di amministrarla alla stessa stregua di ogni altra risorsa non illimitata, si rinuncia preventivamente alla possibilità di affermarla in concreto: essa mancherà del fondamentale carattere dell’effettività.
Proprio per questo motivo il Costituente ha imposto un limite generale alla stessa attività legislativa disponendo che ogni legge comportante una nuova spesa indichi le risorse con le quali farvi fronte.
L’obiettivo perseguito dall’art. 81 Cost., oltre a quello dell’ordinata allocazione delle risorse pubbliche, è proprio quello di assicurare l’effettività della legge dato che se non si stanziano le risorse per attuarla essa resterebbe solo sulla carta.
Questo fondamentale vincolo risulta sistematicamente disatteso, trascurato, quando s’introducono nuove leggi penali, sia di natura sostanziale (quelle che introducono nuovi reati) sia di carattere processuale (quelle che configurano le garanzie dei cittadini sottoposti a giudizio).
Si assiste, così, alla creazione di nuovi reati dall’incidenza statistica piuttosto rilevante (recentemente, ad esempio, quelli in materia di immigrazione) richiedenti un enorme impegno delle forze di polizia, dei tribunali e del sistema penitenziario, senza indicazione delle risorse economiche necessarie per garantirne l’effettività.
Una soluzione indiretta potrebbe essere quella di depenalizzare preesistenti reati dall’analoga incidenza statistica liberando energie spendibili per far fronte alle nuove esigenze.
L’errore logico e giuridico alla base di tale impostazione consiste nell’aver supposto che il sistema giudiziario ed amministrativo, ai quali è affidato il compito della concreta affermazione della legge, siano capaci di soddisfare qualsiasi nuova richiesta senza che ad essa corrisponda l’accrescimento della relativa spesa; è irrazionale la pretesa di gestire la legalità alla stregua di un bene senza limiti e quindi, per definizione, non economico.
Recenti polemiche suscitate dall’accostamento di concetti propri dell’economia alla giustizia sono solo l’ultimo segnale della crescente, ma irragionevole, domanda di “efficienza” che la politica rivolge, non senza colpe proprie, alla giustizia.
E’ dovere del Legislatore quello di adeguarsi, esso per primo, alle fondamentali regole dell’“aziendalismo”, concetto che non evoca nulla di sacrilego se inteso come abilità di ricavare il meglio da risorse limitate.
Come l’imprenditore è alle prese col dilemma della migliore scelta in relazione ai mezzi disponibili, così il Legislatore deve selezionare i fatti da perseguire e punire tenendo conto della capacità di risposta del sistema giudiziario e, se necessario, incrementarla.
Un maggiore rispetto dell’obbligo della copertura finanziaria delle leggi penali allontanerebbe la tentazione di risolvere il problema negandolo, magari con l’effimera illusione dell’abbandono del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, scelta incapace di restituire effettività alla legislazione penale.
Nessun commento:
Posta un commento