del 5 gennaio 2010
di Marco Travaglio
(Giornalista)
Dopo la brillante intervista di un’intera pagina a Checco Zalone, anziché concentrarsi sul filone demenziale che fa proprio il caso suo, Pigi Battista è tornato ad avventurarsi sul terreno impervio della politica e della giustizia: per informare i lettori del Pompiere della Sera che Craxi “è stato un grande del socialismo europeo”, “bandiera del riformismo”, campione della “sinistra liberale e libertaria” nonché della “nuova modernità soffocata dal dirigismo statalista” (dev’essere per questo che gestiva le Partecipazioni statali come il cortile di casa e si oppose a tutte le privatizzazioni, dalla Sme in giù). Ma la notizia più sensazionale è che – scrive Battista – Craxi “fu l’unico leader politico condannato perché non poteva non sapere”. Naturalmente non è vero niente. Anche perché fu lo stesso Craxi a dire alla Camera, il 3 luglio 1992, che sapeva: “Buona parte del finanziamento pubblico è irregolare o illegale” (ma non spiegò perché non l’aveva mai denunciato e si guardò bene dal mettersi a disposizione della magistratura). Chissà dov’era quel giorno Battista. Craxi poi fece di più: al processo Cusani ammise la sua complicità nella maxitangente Enimont, come del resto gli altri segretari di partito coinvolti. Tranne Forlani, che però non fu creduto dai giudici e venne condannato per finanziamento illecito come i colleghi rei confessi Craxi, La Malfa e Bossi. Era il 17 dicembre 1993 quando Bettino rispose alle domande di Di Pietro: “Sia il gruppo Ferruzzi, sia la Montedison hanno versato contributi all’amministrazione del partito: da quando non saprei, ma certamente da molti anni e fino alle elezioni del 1992. Ero al corrente della natura non regolare dei finanziamenti ai partiti e al mio partito. L’ho cominciato a capire da quando portavo i pantaloni alla zuava!”. Chissà dov’era, quel giorno, Battista.
Il 7 febbraio 1993 l’architetto Silvano Larini si consegna al pool di Milano dopo mesi di latitanza, finisce a San Vittore e riempie verbali su verbali sul suo ruolo di pony express delle tangenti sugli appalti della Metropolitana milanese: “Ho raccolto 7-8 miliardi di tangenti sulla Metropolitana e in buona parte sono finiti personalmente a Craxi. Portavo i soldi al quarto piano di piazza Duomo 19. Ero io a confezionare il pacchetto, utilizzando buste marroncine. A volte le posavo sul tavolo della segretaria, a volte le lasciavo sul tavolo della camera di riposo di Bettino… Fu lo stesso Craxi a confermarmi l’incarico di provvedere a raccogliere il denaro proveniente dalla Mm… Tutto ciò che prendevo lo portavo sempre nell’ufficio dell’onorevole Craxi e non trattenevo nulla per me. Era un servizio che io rendevo a Craxi per amicizia e per comune militanza politica”. Di qui la condanna a 4 anni e mezzo più 5 miliardi di lire di risarcimento. Altro che “non poteva non sapere”: Craxi non solo sapeva, ma intascava personalmente quei miliardi che Larini depositava sul suo letto e che poi finivano sui conti svizzeri di Bettino. Il 31 dicembre l’ha ricordato anche il Corriere, in un articolo di Luigi Ferrarella. Chissà dov’era, quel giorno, Battista. Forse non legge nemmeno il giornale su cui scrive. Anche perché, se lo leggesse, non potrebbe scrivere certe corbellerie. E’ la sua personale versione del principio “i fatti separati dalle opinioni”: non legge i fatti per non disturbare le sue opinioni. Ps. In una memorabile lettera alla Stampa, Stefania Craxi, donna nota per il suo equilibrio, schiuma di rabbia per un eccellente articolo di Michele Brambilla sulla Milano da bere e lo attribuisce a un complotto della Fiat che “non gradisce la forte eredità craxiana che c’è nel Popolo della libertà”. Che ingrata: dimentica che l’allora presidente della Fiat Cesare Romiti fu condannato per una tangente di 5 miliardi a Craxi. Ma papà non le diceva proprio niente? Davvero la Craxina, alla sua veneranda età, pensa ancora che le mazzette le portasse la cicogna?
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