martedì 12 gennaio 2010

Lo strano fenomeno dei mafiosi laureati

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 12 gennaio 2010

di Giuseppe Giustolisi
(Giornalista)


A sentir parlare i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, con quella voce incerta dal marcato accento siciliano e dalla sintassi non proprio fluida, non è facile immaginare che i due siano prossimi laureandi rispettivamente in Matematica ed Economia. Eppure è così. E per di più con voti altissimi. Mai una bocciatura. E non sono i soli. Sì perché, fra mafiosi 41-bis e quelli della cosiddetta fascia ad alta sicurezza (meno rigida), sono tanti i mammasantissima di mafia, Camorra e ‘Ndrangheta che da un po’di tempo a questa parte macinano esami all’università. I più scelgono (per ovvi motivi) Giurisprudenza. Ma non mancano altre opzioni. Alcuni esempi? Pietro Aglieri, già condannato in via definitiva per la strage di via D’Amelio, s’è iscritto a Lettere e Filosofia, con indirizzo teologico, e ha cominciato la sua carriera universitaria con un bel trenta e lode in Storia del cristianesimo. Il boss Antonio Libri, della famigerata cosca calabrese dei Libri-De Stefano, invece ha scelto Sociologia. Salvatore Benigno, condannato per le stragi del ‘93, ha preferito Medicina.

Naturalmente ci sono anche quelli che riescono ad arrivare fino al tanto sospirato alloro. Come il boss di Barcellona Pozzo di Gotto Giuseppe Gullotti, già condannato a trent’anni quale mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano, laureatosi qualche anno fa in Giurisprudenza . O il boss della Camorra Ferdinando Cesarano, fresco di laurea in Sociologia e che si sta ora cimentando in un’altra facoltà.

Un fenomeno anomalo segnalato quattro anni fa alle autorità dall’attuale direttore generale del Dap Sebastiano Ardita, con una lettera inviata alla Procura nazionale antimafia: “Alcuni elementi potrebbero far ritenere utile una maggiore analisi sotto il profilo della riconducibilità a strategia di talune condotte. Senza giungere ad affrettate conclusioni, va tuttavia ricordato che un educatore penitenziario ha segnalato il pericolo che, anche la conduzione di studi universitari, possa essere un mezzo per il mantenimento di una posizione di supremazia”. Dunque i capimafia che capitalizzano anche i profitti universitari. Una novità.

Prima che Ardita se ne occupasse direttamente, il fenomeno aveva un risvolto inquietante: “Fino a pochi mesi fa”, scrive sempre Ardita, “molti detenuti 41-bis avevano in corso iscrizioni universitarie presso sedi molto distanti dal luogo di detenzione e spesso coincidenti con le proprie origini criminali e territoriali. Ciò ha comportato, in passato, il passaggio di detenuti presso carceri del sud Italia per sostenere gli esami, così di fatto vanificando parte degli effetti di prevenzione”.

Adesso i 41-bis possono sostenere esami solo in videoconferenza. Mentre quelli della fascia ad alta sicurezza possono iscriversi solo in una sede vicina a quella in cui sono detenuti. E il professore può anche venire ad esaminarli in carcere. Certo non è la stessa cosa che trovarsi di fronte a timide matricole diciottenni. Ma se qualcuno insinuasse il dubbio di una possibile soggezione psicologica del prof. davanti al boss, verrebbe smentito dall’entusiasmo con cui taluni docenti incoraggiano il fenomeno. Come Emilio Santoro, che insegna Filosofia e Sociologia del diritto all’Università diFirenze: “Le tre università di Siena, Firenze e Prato hanno sottoscritto una convenzione col Dap per creare delle speciali sezioni universitarie nel carcere di Prato, dove tenere lezioni e sostenere esami”. Santoro parla giustamente della necessità di dare un senso alla detenzione ma non esclude però che nella scelta dei boss ci possa anche essere uno scopo strumentale: “Bè sì, è chiaro che la sezione universitaria è più vivibile, mentre le altre lo sono di meno, a causa del sovraffollamento”.

E se anche uno scrittore come Vincenzo Consolo, siciliano dall’antica militanza antimafia, vede nei boss chini sui libri di testo gli effetti positivi della detenzione, “purché sia tutto regolare”, precisa al Fatto Quotidiano, di diverso parere è Angela Napoli, parlamentare calabrese del Pdl e da anni nemica giurata della ’Ndrangheta, che rivela: “Nel mio paese, a Taurianova, ce n’è uno, Marcello Viola, che ha conseguito addirittura due lauree”. Viola è un caso da primato: s’è laureato negli anni Novanta prima in Biologia e poi in Medicina e chirurgia e adesso s’è pure iscritto a Economia aziendale. Ma più di un operatore del carcere, dove Viola è detenuto, storce il naso per la sproporzione tra le sue capacità espressive e gli allori con-seguiti . E se ci fosse dietro una strategia? Dice Angela Napoli: “La strategia è quella di dotarsi del titolo accademico per avere quella caratterizzazione di invisibilità ed entrare nel mondo delle istituzioni”. Come dire che la laurea è un viatico per l’ingresso della mafia militare nel mondo dei colletti bianchi.

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