di EDMONDO BERSELLI
(Giornalista)
In un paese tutto televisivo, da almeno due decenni la politica è stata sostituita dalle immagini dei telegiornali, unica autorappresentazione del potere. Si capisce facilmente allora come negli ultimi giorni, nonostante le inchieste di giornali come la Repubblica, sia stato possibile azzerare lo scandalo della prostituzione di regime, oscurare i fatti e annullare il giudizio dell'opinione pubblica. È stato lo stesso Silvio Berlusconi a delineare la strategia: se tutti tacciono, lo scandalo scivola via, e del premier rimane soltanto l'immagine, colorata dalle tv compiacenti, di un uomo di Stato. Anche questo in realtà è uno scandalo nello scandalo. La prova di una torsione così violenta da ridurre il paese al grado zero della politica. Perché ciò che colpisce, o piuttosto ciò che dovrebbe colpire oggi la coscienza generale, non è solo l'indifferenza anonima e spesso compiacente delle platee televisive, narcotizzate dalla "normalità" degli show privati organizzati dal circuito padronale berlusconiano. È piuttosto la sensazione "tragica" del degrado che ha contagiato uno dei vertici istituzionali. Ed è per questo che sorprende, e quanto, la sottovalutazione in cui prende forma il giudizio delle classi dirigenti, secondo il calcolo cinico per cui il potere può permettersi qualsiasi scarto rispetto alla regola collettiva. Il risultato è semplice e spettacolare insieme. Nel racconto delle protagoniste, presunte soubrette o modelle, una sede di fatto istituzionale come Palazzo Grazioli, residenza del capo del governo, è stata ridotta a un privé di escort, ragazze disponibili, teatro di incontri intimi, corteggiamenti sotto l'occhio delle guardie del corpo. Villa Certosa in Sardegna si è trasfigurata in una location di spettacoli grotteschi, talvolta a quanto pare con le aspiranti meteorine in costume da Babbo Natale, in una specie di Hollywood Party strapaesano, o di seriale addio al celibato.
Tutto questo senza che ci sia stata una presa di distanza, o semplicemente un giudizio esplicito, da parte delle élite nazionali: anzi, nell'understatement generale, cioè nella condiscendenza di chi detiene responsabilità pubbliche e private, è come se le ragazze che si fotografano a vicenda nelle toilette di Palazzo Grazioli appartenessero anche stilisticamente a un mondo plausibile: il mondo di Noemi, il mondo di Casoria e delle feste notturne a strascico, il mondo notturno e terminale di Berlusconi e del berlusconismo. Come se quelle fotografie, quegli abiti, quei maquillage designassero lo standard stilistico dell'Italia contemporanea, una misura morale fisiologica, perfetta per i tempi, irriducibile a codici e status che non siano quelli negoziabili del denaro e del corpo. Prudenze e cautele prelatizie hanno segnato le parole delle comunità di riferimento. Al di là dei giudizi, chiari ma volutamente interlocutori sul piano politico, di Avvenire, ossia il giornale della Conferenza episcopale, non si sentono in giro voci che stigmatizzino la trasformazione di Palazzo Grazioli e di Villa Certosa in una casa di bambole. Pochi sembrano essersi posti il problema della grave caduta che investe l'immagine del nostro paese sul piano internazionale, e ancora meno appaiono coloro che si pongono il dubbio di quale sarà il clima in cui si svolgerà il G8 dell'Aquila. Pochissimi, infine, hanno affrontato il tema, colossale, dello scadimento della qualità, e della intrinseca legittimità, del nostro sistema democratico. Insomma, dovremmo essere tutti sotto choc, con una classe dirigente traumatizzata dalle lacerazioni comportamentali di un uomo come Berlusconi, che ha trasferito nel nulla dell'intrattenimento edonistico i contorni del governo, e invece stiamo assistendo a una dissonanza cognitiva perfetta, secondo cui tutto questo è normalità, naturale modernità del gusto, etica ed estetica canoniche, insomma il criterio senza eccezioni a cui ci si confà perché è il vero "pensiero unico" che accomuna nell'autocompiacenza le classi di comando. Viene da chiedersi tuttavia se questa misura doppia, se il codice che attribuisce la dismisura del potere a chi lo detiene, sia compatibile con la semplice convivenza civile: e viene da rispondere che no, è troppa la distanza fra i saturnalia del sultano e la vita della gente comune. Gli arcana imperii sono tollerati quando risultano iscritti nel segreto, non quando diventano un'esibizione sfrontata e a suo modo feroce. Qui invece, con i ludi fotografici di Palazzo Grazioli, si evoca un vistoso vulnus democratico, dal momento che essi rappresentano la manifestazione sfacciata secondo cui al possessore del comando tutto è possibile, e tutto è dovuto, perfino l'indulgenza. Ecco, in questo clima di sospensione morale, di fronte a una specie di sorda dichiarazione di irresponsabilità, c'è la minaccia che l'amnesia etica diventi una condizione reale di deficit democratico e civile. Alla fine la doppia misura, una che si applica a Berlusconi e una al popolo, ha un prezzo. Sono già state poste le premesse di una sudditanza. E la credibilità di un intero sistema, nella sua dimensione istituzionale, si dilegua. Resta soltanto la protervia del potere sostanziale, e dello spettacolo che ha allestito nella certezza dell'impunità. Tanto, nell'ipnosi del buio televisivo, quel prezzo lo pagheremo caro, e lo pagheremo noi.
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