Accade di rado, ma a volte Davide riesce davvero a vincere contro Golia. E stanotte (secondo l’orologio italiano) è successo in Perù, dove il governo ha deciso di revocare i diritti di sfruttamento dell’area amazzonica concessi circa un paio di mesi fa. Un risultato che la comunità indigena ha festeggiato, dopo essersi battuta strenuamente contro i decreti emanati dal Congresso.Un’opposizione segnata da scontri durissimi con l’esercito: il più sanguinoso è stato quello dello scorso 5 giugno, in cui circa 20 indigeni sono stati uccisi dalle forze governative, che hanno sparato sulla folla dagli elicotteri. Un massacro che qualcuno ha già definito la Tienammen peruviana, e che per molti versi resta oscura ancora oscura.
L’area di questa vera e propria battaglia civile è stata interdetta ai giornalisti, e la versione ufficiale dei fatti fornita dal governo appare poco credibile sotto vari punti di vista.
«Il governo – ha scritto l’editorialista Nelson Manrique sul quotidiano peruviano La Republica – sostiene che degli indigeni armati di lance e frecce hanno ucciso 25 poliziotti armati di kalashnikov, camionette blindate ed elicotteri, spogliandoli di tutte le loro armi, e uscendo dallo scontro con solo tre morti nelle loro file. Se fosse vero, dovrebbe dimettersi mezzo governo, a cominciare dal ministro dell’interno, perché significherebbe che il Perù ha le forze di sicurezza più incapaci del mondo».
Gli oltre 5mila indigeni, appartenenti a 60 diverse tribù, erano scesi in piazza per tutelare il loro diritto garantito a esprimere il proprio parere sull’utilizzo della foresta Amazzonica, l’area in cui vivono da sempre.
Il presidente peruviano Alan Garcia ha comunicato la decisione del Congresso con un discorso a reti unificate, invitando i cittadini a cercare la «riconciliazione» e attaccando chi «agita» le folle.
Un’accusa che si richiama al dito puntato contro il «politico straniero che vuole imporre la propria ideologia» ai peruviani. E cioè il presidente boliviano Evo Morales. Ma celebrando il voto del Parlamento di Lima, il capo di Stato boliviano aveva detto di non essere nemico e tanto meno «l’incubo di nessun presidente, di nessun governo, in America latina o nel mondo».
L’area di questa vera e propria battaglia civile è stata interdetta ai giornalisti, e la versione ufficiale dei fatti fornita dal governo appare poco credibile sotto vari punti di vista.
«Il governo – ha scritto l’editorialista Nelson Manrique sul quotidiano peruviano La Republica – sostiene che degli indigeni armati di lance e frecce hanno ucciso 25 poliziotti armati di kalashnikov, camionette blindate ed elicotteri, spogliandoli di tutte le loro armi, e uscendo dallo scontro con solo tre morti nelle loro file. Se fosse vero, dovrebbe dimettersi mezzo governo, a cominciare dal ministro dell’interno, perché significherebbe che il Perù ha le forze di sicurezza più incapaci del mondo».
Gli oltre 5mila indigeni, appartenenti a 60 diverse tribù, erano scesi in piazza per tutelare il loro diritto garantito a esprimere il proprio parere sull’utilizzo della foresta Amazzonica, l’area in cui vivono da sempre.
Il presidente peruviano Alan Garcia ha comunicato la decisione del Congresso con un discorso a reti unificate, invitando i cittadini a cercare la «riconciliazione» e attaccando chi «agita» le folle.
Un’accusa che si richiama al dito puntato contro il «politico straniero che vuole imporre la propria ideologia» ai peruviani. E cioè il presidente boliviano Evo Morales. Ma celebrando il voto del Parlamento di Lima, il capo di Stato boliviano aveva detto di non essere nemico e tanto meno «l’incubo di nessun presidente, di nessun governo, in America latina o nel mondo».
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