venerdì 14 agosto 2009

Lugano, la fortezza sotto assedio "Ora la fuga di capitali fa paura "

Dal Quotidiano La Repubblica
del 14 agosto 2009

di Ettore Livini
(Giornalista)


LUGANO - I pedalò fanno la spola dalla spiaggia sul lungolago. I bar di Piazza Riforma, sotto i balconi coperti da una cascata rossa di gerani-edera, sono pieni di turisti. Ma il barometro a Lugano - malgrado il cielo azzurro e un sole che spacca le pietre - è fisso da qualche settimana sulla tempesta: il tesoro dei tesori, i 3 mila miliardi di risparmi stranieri (di cui 270 made in Italy) parcheggiati nei conti cifrati elvetici è in pericolo. Minacciato dall'attacco concentrico al più prezioso dei segreti svizzeri: quello bancario.

"Preoccupati? Per forza - dice Franco Citterio, presidente dell'Associazione bancaria ticinese - . È uno stillicidio! Prima gli ultimatum dell'Ocse. Poi lo scudo italiano. E ora le concessioni a Washington sul caso Ubs. Siamo sottto assedio". Il timore? Che il fiume di denaro che negli ultimi 60 anni ha tenuto in piedi l'economia del paese e del Canton Ticino - solo qui sarebbero parcheggiati 200 miliardi tricolori - inizi a scorrere in senso opposto. Tornando a casa. E svuotando un miliardo alla volta i forzieri di quel riservatissimo (finora) settore bancario che da solo garantisce il 15% del pil del paese.

I primi segni di questa fuga di capitali al contrario, malgrado la calma apparente di Piazza Riforma, ci sono già. "Non posso negare che in questo periodo ci sia più gente che chiede informazioni nelle nostre filiali", ammette in tono asettico Gabriela Cotti Musio, nella filiale del Credito Svizzero che guarda il lungolago. Tradotto in soldoni - linguaggio che da queste parti vale come l'esperanto - significa che le decine di imprenditori, liberi professionisti, vedove e commercianti italiani che hanno nascosto eredità e guadagni in nero sulla riva del Ceresio stanno tempestando di chiamate i loro consulenti a Lugano. Lo scopo? Esser certi che i loro nomi e i loro conti ("migliaia, per cifre che in media oscillano tra i 250mila e i 2 milioni di euro", spiega un banchiere locale) non finiscano sotto il naso del fisco a Roma.

Il mito della riservatezza rossocrociata - nel paese dove l'evasione fiscale è reato amministrativo e la violazione del segreto bancario è un reato penale - inizia insomma a scricchiolare. E Giuliano - così dice di chiamarsi lui - seduto sotto gli ombrelloni del Bar Vanini con una brochure della Hsbc Private Bank accanto al bicchiere di caffè shakerato è la prova vivente del fenomeno: "Che faccio qui? Ho i miei soldi in banca. Regolarmente scudati nel 2001 - mette la mani avanti - . Ma con i tempi che corrono, se mai avessi denaro in nero in Svizzera me lo riporterei indietro. Se vanno a caccia dei tesori nascosti degli Agnelli vuole che non se la prendano con i poveri diavoli come noi?".

Sul povero diavolo, visto che lascia Piazza Riforma a bordo di una Mercedes C 240 nera con autista e vetri fumé, ci sarebbe da discutere. Ma se tutti la pensano davvero come lui, lo scudo-tris varato da Giulio Tremonti rischia di fare il tutto esaurito.

"Noi che possiamo fare? Semplice: spieghiamo a tutti i nostri clienti che sul segreto bancario non cambierà nulla", dice Citterio. Certo le "dolorose concessioni" fatte da Berna sul caso Ubs (copyright del Corriere del Ticino) hanno un po' incrinato le certezze dei correntisti nascosti sotto l'ombrello della riservatezza elvetica. "Ma collaboreremo per i reati di evasione fiscale solo in casi mirati e circostanziati - minimizza il presidente dei banchieri ticinesi - . Dove la gravità dei fatti è evidente. Se dall'estero arriveranno richieste generiche, invece, tutto resterà come prima".

La battaglia però è appena all'inizio. Le banche italiane - fiutata l'opportunità - hanno tenuto in allerta i loro gestori di patrimoni privati anche per questo agosto. Obiettivo: mettere a punto le strategie per riconquistare almeno un pezzo del tesoretto tricolore espatriato negli ultimi cinquant'anni. "Ma si illudono - conclude Citterio - . Secondo me buona parte dei soldi italiani sono arrivati qui grazie a false fatturazioni estere. E questo tipo di reato non è coperto dallo scudo". "Almeno nella sua versione attuale...", sorride sibillino il responsabile dei grandi patrimoni di una banca italiana.

Alla dogana di Ponte Tresa, con Chiasso il valico più battuto dai capitali in fuga dal Belpaese, la fanno meno tragica. "Io sono qui da trent'anni - dice gattopardescamente il meno giovane dei tre finanzieri di servizio al confine - e le dico che anche questa volta non cambierà niente. È la solita storia. Si dà per spacciata la Svizzera a intervalli regolari. Poi tutto riprende come prima. Noi proviamo a far filtro, malgrado qui passino diverse decine di migliaia di auto al giorno. Abbiamo beccato qualche furbetto anche questa settimana. Ma vedrà che tra cinque anni sarà qui di nuovo a chiedermi se il segreto bancario sta per sparire...".

Gli spalloni, insomma, non dovrebbero restare senza lavoro. Anzi: solo pochi giorni fa - alla faccia di scudo fiscale, Ubs e Ocse - la Procura di Como ha chiuso dopo 5 anni con 59 persone indagate l'operazione Mozart: nel mirino un'organizzazione che fino a poco tempo fa faceva la spola tra Italia e Svizzera, rastrellando capitali nel Belpaese, nascondendoli nei doppifondi blindati e protetti da combinazione di auto modificate ad hoc e trasferendoli oltrefrontiera al prezzo di 400 euro ogni 250 km. Il barometro del contrabbando, al contrario di quello di Lugano, ha una certezza: il segreto bancario svizzero venderà cara la pelle.

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