del 17 agosto 2009
di Andrea Palladino
(Giornalista)
C'è un filo invisibile che lega i trafficanti di rifiuti in Italia. È un canale di comunicazione privilegiato, d'oro, che mette in collegamento aziende che hanno bisogno di smaltire a basso costo i veleni con chi ha i contatti giusti per farli sparire. È un club riservato, estremamente silenzioso, ma che in Italia ha un peso sempre più invadente. Ed è parte del motore economico di quella bella fetta del prodotto interno lordo illegale che sfugge alle statistiche.
Un traffico del terribile amianto friabile, partito dall'ex fabbrica Nuova Sacelit di San Filippo del Mela, a 30 km da Messina, e sepolto a pochi chilometri da Roma, in una strada di campagna vicino Pomezia, riesce oggi a svelare una piccolissima parte del mondo sommerso dei monnezzari. Un tassello piccolo ma importante. Protagonisti della storia imprenditori, ingegneri dell'Enea, funzionari pubblici. E il ritorno inaspettato di Flavio Carboni, legato al mondo della P2 attraverso Calvi e protagonista di qualche dozzina di misteri italiani ancora insoluti. Un vero olio che ha fatto girare tanti ingranaggi nella storia d'Italia, dall'informazione, fino al mondo della finanza. E attorno a lui un sottobosco politico, con qualche nome eccellente sussurrato.
L'inchiesta che sta svelando il mondo sotterraneo del monnezza-business è condotta dalla Procura di Velletri, il secondo tribunale del Lazio. Venerdì i carabinieri dei Noe - comandati dal capitano Rajola Pescarini, lo stesso dell'inchiesta sugli inceneritori di Colleferro - hanno arrestato sei persone e imposto l'obbligo di domicilio ad altre tre. Le indagini durano da due anni, con l'uso di intercettazioni, di analisi di migliaia di file trovati nei computer degli indagati (che sarebbero poco più di cinquanta), di documenti contabili e di carte della camera di commercio. Un vero lavoro di intelligence, che sta cercando di ricostruire la fitta rete di rapporti tra almeno un centinaio di aziende che si occupano di rifiuti con i mediatori, gli stakeholder, i politici, i tecnici.
C'è una figura prevalente nell'indagine. Si tratta di un ingegnere dell'Enea, l'ente nazionale che oltre all'energia nucleare tratta materie ambientali delicatissime, quali la gestione dei rifiuti tossici e pericolosi. Si chiama Vittorio Rizzo e da almeno dieci anni si occupa di rifiuti. È l'unico del gruppo a non aver usufruito degli arresti domiciliari, proprio a causa del suo profilo e dei suoi contatti. Seguendo le sue tracce negli atti parlamentari, è citato nella gestione di discariche in Abruzzo, all'epoca del sindaco di L'Aquila Tempesta. È considerato un superesperto, e come tale sedeva nella commissione tecnica scientifica della struttura commissariale per la gestione dei rifiuti della Regione Lazio. Qui dava il suo parere "autorevole" rispetto alle autorizzazioni per l'apertura delle discariche. Per i magistrati della Procura di Velletri avrebbe così aiutato l'azienda che a Pomezia accoglieva l'amianto siciliano, che porta il nome paradossale di Ecologia srl, ad ottenere autorizzazioni non regolari. In cambio avrebbe ricevuto consulenze per migliaia di euro.
I magistrati per definire il calibro del personaggio hanno raccontato nei dettagli la sua rete di rapporti più o meno professionali. Nella sua abitazione i carabinieri hanno rinvenuto almeno 25 contratti con aziende di servizi ambientali: oltre alla Ecologia srl di Pomezia, l'elenco spazia dal gruppo Gaia di Colleferro (anche se oggi dal consorzio spiegano che non hanno più rapporti con lui), fino ai broker che facevano affluire l'amianto nella discarica vicino a Roma.
Sono i suoi contatti telefonici, però, a raccontare con maggiori dettagli il mondo degli intermediari d'affari legati ai rifiuti. Alla fine del 2007 i carabinieri scoprono che Rizzo aveva frequenti rapporti con Flavio Carboni. Chiedono ed ottengono di intercettare l'utenza telefonica del potente uomo d'affari sardo. Carboni si sta occupando da anni della gestione di un altro sito altamente inquinato, a Calancoi, in provincia di Sassari, la sua città natale. Emerge dalle conversazioni intercettate l'esistenza di quella che i magistrati definiscono una sorta di Enea parallela, una struttura cioè pronta ad appoggiare i progetti degli imprenditori amici. Nel febbraio del 2008, ad esempio, è lo stesso Flavio Carboni che detta il contenuto di una lettera che Rizzo avrebbe poi firmato su carta intestata dell'Enea. Ma si occupano anche di altri affari. Sono interessati - non si sa a che titolo - anche a "Sviluppo Italia" ed è Flavio Carboni che quando Rizzo gli chiedeva notizie rispondeva, «sono pronti... e non hai idea del potere che abbiamo». Nessuno lo mette in dubbio.
I contatti possono arrivare molto in alto se serve. Nel febbraio del 2008 Rizzo dice a Carboni di aver parlato con tale Altero, «il quale ritornerà al suo posto». Parlano poi di una persona che Carboni conosce e che andrà a fare il capo di gabinetto. Era epoca di elezioni ed in tanti facevano previsioni, scommettendo sui cavalli giusti.
L'indagine su questa parte più delicata è ovviamente tenuta nel massimo riserbo dai magistrati. Gli arresti di venerdì hanno per ora chiuso una delle tante partite, forse quella più pericolosa dal punto di vista ambientale. La fabbrica della ex Nuova Sacelit ha già provocato decine di morti tra gli operai che vi lavoravano, uccisi dalle fibre dell'amianto. La discarica di Pomezia, dove sono finite migliaia di tonnellate della fibra killer, è stata data alle fiamme pochi giorni prima degli arresti e un anno dopo il sequestro cautelativo. «Non hai idea della potenza che abbiamo», spiegava Carboni, per far capire il peso del suo nome.
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