del 19 ottobre 2009
ROMA - Eccole le motivazioni con cui la Consulta ha bocciato il lodo Alfano. Cinquantotto le pagine depositate oggi, di cui è relatore il giudice Franco Gallo. Eccole le basi del "no" che ha dato il via ad un durissimo scontro istituzionale e che ha visto il premier Silvio Berlusconi attaccare i giudici della Corte Costituzionale e il capo dello Stato. Anzitutto, scrivono i giudici, una modifica del genere (l'immunità per le più alte cariche dello Stato) andava fatta con una legge costituzionale perché prevedeva una deroga al principio di uguaglianza. 'La sospensione processuale crea un'evidente disparità di trattamento di fronte alla giurisdizione" si legge nella sentenza. Il lodo Alfano, così come l'aveva varato il governo, attribuiva "ai titolari di quattro alte cariche istituzionali un eccezionale ed innovativo status protettivo, che non è desumibile dalle norme costituzionali sulle prerogative e che, pertanto, è privo di copertura costituzionale". Inoltre, continua la Consulta, lo status del premier non è superiore a quello dei ministri (che il lodo teneva fuori), ricoprendo "una posizione tradizionalmente definita di primus inter pares".
Nessun cambio di rotta rispetto alla sentenza del '94 sul lodo Schifani: i giudici, infatti affermano di essersi mossi nella stessa direzione. Ricordando il principio "secondo cui il legislatore ordinario, in tema di prerogative, e cioè di immunità intese in senso ampio, può intervenire solo per attuare, sul piano procedimentale, il dettato costituzionale, essendogli preclusa ogni eventuale integrazione o estensione di tale dettato", se non per le immunità diplomati che previste da convenzioni internazionali, che però
"trovano copertura nell'articolo 10 della Costituzione".
Le carte sembrano confermare alcune indiscrezioni che erano state diffuse nei giorni scorsi. A partire da una delle chiavi del "no": quella sentenza che riguardava uno dei fedelissimi del Cavaliere, Cesare Previti. Si tratta della sentenza n. 451 del 2005 che è diventata un precedente utile per la decisione della Consulta.
In quella sentenza la Corte aveva infatti stabilito un modo per trovare un equilibrio tra le esigenze pubbliche da parte delle alte cariche dello Stato e quelle di un corretto svolgimento di un eventuale processo penale a loro carico. Secondo la Corte, nel caso un imputato sia anche componente di un ramo del Parlamento, il giudice ha "l'onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari".
In pratica la strada per conciliare le esigenze processuali ed extraprocessuali nel caso di alte cariche dello Stato potrebbe essere risolto senza violare il principio di uguaglianza. I processi al premier potrebbero così andare avanti. I giudici, dal canto loro, sarebbero obbligati a stabilire, d'intesa con il presidente del Consiglio, un calendario delle udienze che tenga conto degli impegni istituzionali del presidente del consiglio. Così da evitare conflitti e rispettare il diritto di difesa.
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