del 28 novembre 2009
di Vincenzo Vasile
(Giornalista)
“Oggi sento il bisogno di parlare, di dire qualcosa in questo particolare momento…” La rassegna stampa di giornata ispira la prima esternazione di getto del settennato, il primo vero “altolà” di Napolitano. Pur sempre lima le virgole, come è nel suo stile, e legge un manoscritto concepito appositamente e separatamente rispetto alle dichiarazioni di giornata per evitare il frullatore mediatico: Giorgio Napolitano affida a telecamere e cronisti radunati senza preavviso a margine di un’udienza sugli omicidi bianchi, poche parole – per l’esattezza, quindici righe, centotrentotto parole – che dovrebbero replicare alla nuova “spirale” drammatizzante innescata dal Berlusconi furioso della puntata precedente, che è giunto a sparlare di guerra civile contro i magistrati. Il presidente del Consiglio è fermamente invitato a non coltivare la teoria del complotto, pensi piuttosto a cercare e trovare una maggioranza, la sola che può togliergli la fiducia, e che può “abbatterlo”. Il Parlamento è centrale, lì si possono e si devono fare le riforme che riequilibrino il sistema quasi impazzito.
Ovviamente, il capo dello Stato usa una prosa ben più diplomatica e istituzionale, fa un appello bipartisan all’“autocontrollo”, e fa riferimento a tutto il complesso dello scontro in atto, perché “l’interesse del paese – che deve affrontare seri e complessi problemi di ordine economico e sociale – richiede”, per l’appunto, che “si fermi la spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali”.
La preoccupazione principale, e il primo argomento, è sgombrare il campo dalla teoria della cospirazione delle toghe coltivata ossessivamente dal premier e dalla sua stampa d’assalto: “Va ribadito che nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento, in quanto poggi sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare”. E del resto l’idea di intervenire è maturata al Colle proprio dopo le dichiarazioni di Berlusconi che lamenta una “persecuzione giudiziaria”, che agita lo spauracchio di un complotto contro il governo.
Dal presidente del Consiglio, non nominato, ma chiaramente evocato, e “da tutte le parti” deve venire, invece, secondo Napolitano, uno “sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche”, mentre dall’altra parte, la magistratura, da “quanti appartengono alla istituzione preposta all’esercizio della giurisdizione”, occorre che ci si dia una calmata. I magistrati, è l’invito, “si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione”. Per i cultori della prosa presidenziale, si può far notare, del resto, che nel testo scritto diffuso dal Quirinale c’è studiatamente una pausa, una virgola, che separa il monito a controllarsi (riferito principalmente al premier) e quello a non debordare (riferito alle toghe). La chiave dell’intervento di Napolitano nella versione autentica fornita da fonti del Quirinale sta, dunque, nelle ultime righe. Quando Berlusconi viene invitato a rispettare la centralità del Parlamento: perché spetta appunto a esso, tocca alle Camere, “esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia”.
Seguono le reazioni: la più rilevante è quella di Palazzo Chigi. Infatti, Silvio Berlusconi tace. Nella maggioranza, le seconde file si consolano perché nelle parole di Napolitano c’è il rimbrotto alle toghe. Bossi, in versione da statista, fa il Salomone e chiede a tutti di stare “un po’ tranquilli”. Fini ammonisce: “…leggetevelo tutto il messaggio del capo dello Stato, va visto nella sua interezza”. Bersani valorizza il richiamo alla centralità del Parlamento. Casini si siede in mezzo: il presidente ha criticato tutti.
L’Italia dei valori si divide in un caleidoscopio di più frammenti: per Formisano Napolitano è ineccepibile, De Magistris e Di Pietro, stavolta d’accordo, polemizzano, invece , ma “senza polemizzare”, per le bacchettate del capo dello Stato alla magistratura.
L’Associazione dei magistrati stupisce tutti, perché invita a non sezionare il discorso del presidente a piacimento. “Noi magistrati non siamo in guerra con nessuno, ma chiediamo di non essere aggrediti”, afferma il presidente dell’Anm, Luca Palamara. E, insomma, “il capo dello Stato fa affermazioni in cui ogni magistrato deve riconoscersi”.
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