del 8 novembre 2009
di Marco Travaglio
(Giornalista)
In questi quindici anni la parola “dialogo”, peggio se associata alla parole “riforme” e “giustizia”, ha mietuto più vittime dell’influenza suina. Di chiunque abbia abboccato al dialogo con Berlusconi, non è rimasta traccia vitale. Infatti Pier Luigi Bersani, pur essendo un D’Alema travestito e rivestito, continua a ripetere che “dialogo” è un termine malato, jettatorio, e lui non lo vuole nemmeno pronunciare. Preferisce vivere. E’ già qualcosa, ma non basta. Perché il guaio non è la parola: è la sostanza. Per sapere che cosa intenda Berlusconi per dialogo, basta leggere i suoi house organ. L’altroieri Il Foglio spiegava che “il Cav. prepara il Gran Consiglio di maggioranza sulla giustizia” e ha pronto “un documento politico per chiudere con l’assedio di Milano e una legge esplicitamente ad personam”, determinato com’è a “porre la propria messa in sicurezza dal Tribunale di Milano come primo punto nell’agenda del Pdl e della maggioranza”, anche a costo di “rischiare la crisi di governo e ad azzardare nei rapporti con Fini e la presidenza della Repubblica”. Siamo alla soluzione finale. L’impunito, come scrive Francesco Verderami sul Corriere della Sera, l’ha già annunciato ai suoi: “Stavolta avverrà tutto alla luce del sole, spiegherò personalmente al Parlamento e al paese”. Che cosa spiegherà? Che il punto primo e unico del suo programma di governo è una legge che cancelli i suoi processi o, meglio ancora, i suoi reati. Ci sono addirittura trenta bozze di legge pronte al varo, che passano per la prescrizione dei processi o dei reati, oppure per il trasloco dei dibattimenti da Milano a Roma, dove tradizionalmente riposano in pace per sempre, con l’aggiunta di una maialata che cancellerebbe pure i procedimenti tributari. Prendere o lasciare. Non c’è dunque alcuna “riforma della giustizia” all’ordine del giorno. C’è l’ennesima porcata impunitaria, stavolta presentata come tale, senza nemmeno l’ipocrisia di camuffarla da riforma erga omnes e di trovare qualche prestanome che la firmi per conto terzi. La firmerà lui, in tandem con i suoi onorevoli avvocati. E’ un colpo di Stato contro la Costituzione e contro il diritto universale, che vuole le leggi “generali e astratte”: per tutti, non per uno solo. A questo punto le chiacchiere (e il “dialogo”) stanno a zero. Se esistesse uno Stato e una classe politica, tutti i partiti non golpisti presenti in Parlamento – dal Pd all’Idv, dall’Udc ai finiani del Pdl agli eventuali leghisti dissenzienti – dovrebbero firmare una mozione che li impegni a opporsi con ogni mezzo a qualunque legge che riguardi, direttamente o indirettamente, i processi del premier. Ma, siccome di leghisti dissenzienti non se ne vedono più da anni e siccome i finiani e i casiniani, finora, sono sempre rientrati all’ovile quando si trattava degli affari privati del padrone, basta e avanza una dichiarazione congiunta del Pd e dell’Idv. Perché una legge ordinaria tagliata su misura del premier violerebbe la Costituzione, dunque finirebbe come tutte le altre: cassata dalla Consulta (sempreché il capo dello Stato – che incredibilmente seguita a invitare i magistrati a “dialogare” col governo anziché intimare al governo di rispettare la magistratura – sia disposto a perdere un’altra volta la faccia promulgando l’ennesima legge destinata al macero). Dunque l’impunito, per la sua personale “messa in sicurezza”, ha bisogno di una legge costituzionale. Che però richiede tempi lunghi (doppia lettura: Camera-Senato-Camera-Senato) e maggioranza dei due terzi. Altrimenti, prima che entri in vigore, si dovrebbe attendere il referendum confermativo, rischioso e di là da venire. Ecco perché, per la prima volta nella sua storia, Berlusconi ha bisogno del dialogo con l’opposizione. E, per la prima volta, l’opposizione ha il coltello dalla parte del manico. C’è da sperare che non lo usi, come sempre, per fare harakiri.
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