martedì 22 dicembre 2009

PARLAMENTO AL PALO, RIFORME FUORI STAGIONE

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 22 dicembre 2009

di Vincenzo Vasile
(Giornalista)


Almeno quattro pillole amare e un paio un po’ più dolci per il presidente del Consiglio, assente giustificato alla cerimonia di fine anno per gli auguri del capo dello Stato alle Alte cariche. Giorgio Napolitano in venti cartelle ha argomentato, infatti, ieri alcuni concetti che, prima dell’aggressione di Piazza Duomo, avevano acceso l’ira di Berlusconi: 1) l’invito a non agitare inesistenti teorie del “complotto”, impraticabile con questa Costituzione (teorie che poco prima nell’introdurre la cerimonia il presidente del Senato Schifani aveva per la verità incautamente evocato); 2) l’appello a non scivolare nell’“illusione ottica” di considerare già modificata in senso presidenzialista la Carta del 1948 alla luce di pretesi effetti sulla “Costituzione materiale” della legge elettorale. La citazione di Napolitano viene da un testo del compianto Leopoldo Elia, che ammoniva, appunto, contro l’“uso scorretto” di questa visione evolutiva. Ma tradotto sembra di capire che voglia dire che qualcuno deve spiegare a Berlusconi che non può fare impunemente quel che vuole perché, come si vanta, è “eletto dal popolo”.

Il presidente ha aggiunto una valutazione severa su almeno altri tre temi scottanti: sulla “compressione” dei poteri del Parlamento malmenati da una raffica di decreti. Mentre è innegabile il potere esercitato dal governo, le attività delle Camere sono mortificate, afferma il presidente. E l’abuso a man bassa di decreti legge e “il loro divenire sempre più sovraccarichi ed eterogenei” nel corso dell’iter parlamentare di conversione, la pratica del ricorso ad “abnormi accorpamenti di norme in maxi articoli” su cui apporre la fiducia, hanno continuato a produrre “evidenti distorsioni negli equilibri istituzionali” nel “funzionamento dello Stato”, e “nell’amministrazione della giustizia” .

Sebbene simili cose rimproverò anche ai governi di centrosinistra, in questa legislatura già siamo a 47 decreti legge. Napolitano picchia duro – in distonia con l’ottimismo governativo di facciata della “crisi alle spalle” – anche sul peggioramento dei dati della realtà economica e sociale, in particolare sulla disoccupazione record, e sul Mezzogiorno allo stremo. E sul nodo del debito pubblico, che il governo è chiamato a “sciogliere”.

E, infine, il 2009 induce il presidente a un pronostico di imprevisto taglio cauto dello stato dell’arte riguardo alle “riforme condivise”: “Purtroppo, ancora non si vede un clima propizio nella nostra vita pubblica, una consapevolezza comune a maggioranza e opposizione in Parlamento”. Per cui l’auspicio è che ci si concentri su “alcune essenziali e ben mirate” riforme che “rispettino l’equilibrio tra i poteri”: un simile approccio “realistico”, che al presidente è “sembrato saggio suggerire”, le rende non solo auspicabili, ma possibili in questa legislatura. Sulla ferita più dolorosa, quella della giustizia, il suo funzionamento è un motivo di “grave insoddisfazione e preoccupazione” ed è quindi davvero necessaria, secondo Napolitano, una riforma. Ma quel che potrebbe apparire una concessione al governo è mitigato dalla considerazione che ciò non deve significare “svalutare o sottovalutare” impegno, “senso delle istituzioni” e valore dei magistrati, la cui autonomia e indipendenza sono un principio “intangibile”.

A Berlusconi si dà anche atto, invece, senza riserve di avere dato una buona prova nel dopo terremoto abruzzese, con “forti misure di emergenza ed erogazioni di denaro pubblico”, e ciò si può considerare “una pagina all’attivo dell’Italia e della sua immagine internazionale nel 2009”. Fatti come l’alluvione nel messinese pongono, però, questioni grandi come il dissesto idrogeologico, che richiederebbero – è un esempio a cui Napolitano tiene molto – “il massimo di condivisione e continuità al di là dell’alternarsi delle maggioranze”. E questa consapevolezza condivisa dovrebbe abbracciare anche “la riforma delle istituzioni”.

Ma la situazione in questo senso non è certo “soddisfacente”, benché Napolitano sia portato – osserva – ad esprimere generalmente “giudizi benigni”. Eppure il paese reale – dice – è ben più unito della politica e delle istituzioni.

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