del 22 dicembre 2009
di Marco Lillo
(Giornalista)
La partita che si sta giocando sulla nomina di Massimo D’Alema a presidente del Copasir non è soltanto l’ennesimo braccio di ferro tra le due anime del centrosinistra. Un anno fa accadde lo stesso a parti invertite per la commissione di vigilanza Rai quando Leoluca Orlando fu stoppato dalla maggioranza grazie al timido appoggio del Pd. In ballo stavolta non c’è solo una poltrona da attribuire all’amico Massimo per mettere all’angolo i dipietristi. Stiamo parlando di una delle poche istituzioni di controllo che possono limitare lo strapotere del Governo Berlusconi. E che pertanto va sterilizzata ponendola in mani affidabili. Il Copasir è composto da dieci membri provenienti da tutti i partiti in proporzione alla rappresentanza. Può convocare il presidente del consiglio e chiedergli conto della sicurezza nazionale. Può manifestare il suo no all’apposizione del segreto di Stato da parte del Governo e darne comunicazione al Parlamento. Può convocare i capi dei servizi segreti ma anche il ministro dell’interno e il sottosegretario con delega sulla materia, Gianni Letta. Il Copasir può anche sentire i funzionari e gli agenti e persino le persone estranee ai servizi se utili alle sue indagini conoscitive. Ma soprattutto può chiedere alle procure di trasmettere tutti gli atti di indagine, anche quelli coperti dal segreto per esaminare le materie di suo interesse.
Il presidente (che per legge deve provenire dall’opposizione) ha ampi margini per decidere in autonomia. Quando al governo c’era la destra e il comitato era guidato da personalità di sinistra, questi poteri sono stati usati con grande oculatezza. Sia Enzo Bianco (dal 2001 al 2006) che Francesco Rutelli hanno tenuto un profilo istituzionale evitando di svolgere un controllo ficcante sui servizi dell’era Berlusconi. Ben diverso l’atteggiamento del centrodestra. Franco Frattini, presidente del Copaco dal 1996 al 2001, per esempio, ha attaccato senza alcuna remora la sinistra per la lista Mitrokhin (l’elenco delle personalità italiane che sarebbero state al soldo dei servizi segreti sovietici). Mentre Claudio Scajola ha gestito con partigianeria lo scandalo dell’archivio segreto del Sismi gestito dal funzionario Pio Pompa, silenziandolo. Con l’ascesa di Francesco Rutelli le cose non sono cambiate di molto. Quando un agente del Sisde, Federico Armati, ha scritto al Copasir per essere sentito sulle conseguenze (positive e negative) prodotte sulla sua carriera della relazione tra la ex moglie e Silvio Berlusconi, Rutelli si è guardato bene dal convocarlo. Ed è stato un peccato perché Armati, liberato dall’obbligo di tutelare il segreto di ufficio, avrebbe potuto raccontare molte cose sul modo nel quale si decidono le promozioni e i trasferimenti nei servizi italiani. O sulla disinvoltura con la quale le donnedel premier usano gli aerei di Stato. Quando poi è scoppiato lo scandalo delle foto di Villa Certosa, il Copasir di Rutelli si è risvegliato dal letargo. Non per chiedere conto dell’impiego distorto degli agenti immortalati con il mitra in mano a due passi dalle pulzelle del Cavaliere, bensì per tirare le orecchie a chi, nei servizi, non aveva impedito che quelle foto fossero scattate. In tutti i momenti più caldi, insomma, il Copasir di Rutelli si è mosso all’unisono con Palazzo Chigi. L’unica inchiesta seria è stata quella sulle banche dati del consulente informatico del pm Luigi De Magistris, Gioacchino Genchi. Dopo aver chiesto tutte le carte delle indagini e dopo averlo sentito per ore, il Copasir ha bacchettato Genchi con una relazione puntuta. Pochi giorni prima il presidente Berlusconi aveva detto: “è il più grande scandalo della repubblica”.
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