del 6 gennaio 2010
di Giuseppe D'Avanzo
(Giornalista)
ROMA - Agenti della Cia sequestrano Abu Omar, un cittadino egiziano, a Milano. L'intelligence italiana ha collaborato all'extraordinary rendition? Segreto di Stato, dice Berlusconi. L'archivio di dossier raccolto da Nicolò Pollari, direttore del Sismi, in un "ufficio riservato" in via Nazionale a Roma era legale o illegale? Quali potevano essere le finalità istituzionali per spiare, a partire dal 2001 e intensamente fino al 2003 e saltuariamente fino al 2006, quattro procure della Repubblica (Milano, Torino, Roma, Palermo), 203 giudici (47 italiani) di 12 paesi europei e giornalisti e leader dell'opposizione del centrosinistra? Qual era l'"interesse nazionale" che consigliava di sorvegliarne le iniziative; di intimidirli con operazioni di disinformazione; di screditarli con manovre "anche traumatiche"? Segreto di Stato, dice Berlusconi. Quali "motivi istituzionali" imponevano al capo del controspionaggio del Sismi, Marco Mancini, un lavoro comune con la Telecom di Marco Tronchetti Provera, la security di Giuliano Tavaroli, l'intelligence privata di Emanuele Cipriani? Segreto di Stato, dice oggi Berlusconi.
Le tre decisioni del governo, che liquidano anni di indagini, processi in corso e cancellano, con le pratiche oscure di una burocrazia dello Stato, ogni trasparenza e i diritti delle "vittime" spiate, screditate, violate nella loro privacy, inaugurano un nuovo, pericoloso corso del "segreto" nella vicenda pubblica italiana.
Le tre decisioni del governo, che liquidano anni di indagini, processi in corso e cancellano, con le pratiche oscure di una burocrazia dello Stato, ogni trasparenza e i diritti delle "vittime" spiate, screditate, violate nella loro privacy, inaugurano un nuovo, pericoloso corso del "segreto" nella vicenda pubblica italiana. L'attività dei servizi di informazione, dal punto di vista operativo, mira alla raccolta di notizie utili alla salvaguardia non solo dell'indipendenza e dell'integrità dello Stato (riconducibili alla politica estera e di difesa), ma anche (sul piano interno) alla tutela dello Stato democratico e delle istituzioni che lo sorreggono.
Per usare le formule del decreto del presidente del Consiglio (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 16 aprile 2008) gli "interessi supremi da difendere con il segreto di Stato" sono "l'integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali; la difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento; l'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e le relazioni con essi; la preparazione e la difesa militare dello Stato". A vista d'occhio, non c'è alcuna connessione tra questi "interessi supremi" e il lavoro sporco del Sismi di Nicolò Pollari. Come si può credere che il dibattito culturale di un'associazione europea di magistrati minacci l'integrità della Repubblica italiana? Come si può pensare che un'inchiesta giornalistica pregiudichi l'indipendenza dello Stato? Come si può immaginare che la pubblica riflessione di un'opposizione parlamentare, le sue iniziative possano rappresentare una minaccia per la difesa dello Stato?
Nel caso dell'archivio riservato di via Nazionale, nell'affaire Telecom, nel sequestro Abu Omar, l'interpretazione delle regole del generale Nicolò Pollari e ora i provvedimenti di Berlusconi hanno creato un sillogismo deforme. Lo Stato, la Repubblica, le Istituzioni sono il governo, qualunque siano le sue decisioni, mosse, progetti e responsabilità. Ogni opposizione al governo - controllo giurisdizionale o informazione o convinzione culturale o dissenso politico - diviene immediatamente nell'azzardata dottrina del generale, ora confermata dal presidente del Consiglio, "una minaccia alla sicurezza nazionale", quindi un'eversione che giustifica ogni mezzo, ogni attività di spionaggio, finanche una "pianificazione traumatica". Per anni, si è voluto rappresentare questo sentiero stortissimo con una tautologia. Si è detto, l'intelligence è l'intelligence: si sa, lavora con metodi sporchi, spesso oltre i confini della legalità. Ma la questione che dovrebbe interrogarci non si nasconde nel metodo, ma nel fine. Non è nell'illegalità possibile del lavoro di intelligence, ma nella legittimità di quel lavoro che trova ragioni soddisfacenti e adeguate soltanto "nella difesa dello Stato" e non può trovarle, come è accaduto al Sismi di Pollari, nella protezione di un equilibrio politico; nello scudo per un governo (quale che sia); nell'aggressione ad altre indipendenti funzioni dello Stato (la magistratura), della politica (l'opposizione), della società (la stampa), dell'economia e, infine, nella creazione di un potere "autonomo", extraistituzionale che si offre al miglior offerente politico.
Questa mutazione genetica di una burocrazia dello Stato, del suo lavoro con licenza di delinquere e l'asimmetria tra compiti istituzionali e pratiche quotidiane ha oggi la firma, il timbro, la convalida del presidente del Consiglio. E' una decisione che fa leva su una sentenza della Corte Costituzionale definita da molti costituzionalisti "scandalosa". Con la pronunzia n.106/2009, la Consulta sostiene che "l'individuazione degli atti, dei fatti, delle notizie che possono compromettere la sicurezza dello Stato e che devono rimanere segreti" costituisce il risultato di una valutazione "ampiamente discrezionale". E' un giudizio che esclude ogni sindacato giurisdizionale perché, sostiene la Corte, ne sarebbero capovolti "i criteri essenziali del nostro ordinamento" a cominciare da quello secondo cui "è inibito al potere giurisdizionale di sostituirsi al potere esecutivo e alla pubblica amministrazione e di operare il sindacato di merito sui loro atti". A giudizio della Corte costituzionale, l'esercizio del potere di segretazione è assoggettato soltanto al Parlamento, "la sede normale di controllo nel merito delle più alte e più gravi decisioni dell'Esecutivo".
Dovrebbe essere dunque il Parlamento, con il suo comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), a decidere se è coerente e corretta la copertura del segreto di Stato alle attività di un "apparato" legale/clandestino del tutto "visibile" tra il 2001 e il 2006, come ha provato a documentare Repubblica nel corso del tempo. Una piattaforma spionistica, nata con la connessione dello spionaggio militare con diverse branche dell'investigazione, a partire dall'intelligence business della Guardia di Finanza; con agenzie di investigazione che lavorano in outsourcing; con la Security privata di grandi aziende come Telecom, dove è esistita una "control room" e una "struttura S2OC" "capace di fare qualsiasi cosa, anche intercettazioni vocali: poteva entrare in tutti i sistemi, gestirli, eventualmente dirottare le conversazioni su utenze in uso, con la possibilità di cancellarne la traccia senza essere specificatamente autorizzato".
E' proprio qui il punto dolente e minaccioso dell'affare Telecom che il segreto di Stato ora cancella. Quante sono le informazioni, i dossier - per dirla tutta, i ricatti - che possono condizionare il lavoro del parlamento, dei parlamentari, dei partiti, delle loro leadership? E' stato sempre e soltanto questo il nodo avvistato dentro i traffici di quella "piattaforma spionistica" che le indagini di una timida (o intimidita) magistratura e un processo avrebbero dovuto sciogliere e che ora la decisione di Berlusconi taglia di netto. Per dirne una, durante la legislatura 2001/2006, quell'"agglomerato oscuro fatto di agenzie di investigazione e polizie private in combutta con infedeli servitori dello Stato che si muove in una logica di ricatto" - "uno spettacolo spaventoso" lo definì Marco Minniti, viceministro agli Interni del governo Prodi - ha raccolto, "con cadenza semestrale", informazioni in Europa su presunti finanziamenti dei Democratici di Sinistra. E' il "dossier Oak" (Quercia), alto una spanna, denso di conti correnti, bonifici, addirittura con i nomi e i cognomi di presunti "riciclatori" e "teste di legno" dei finanziamenti occulti dei Ds che fanno capo ai leader del partito.
Sono informazioni (vere o false, non importa) che possono pesare sul controllo parlamentare degli atti dell'Esecutivo? Ora che il segreto di Stato impedirà di portare alla luce anche soltanto lacerti delle sue attività, quanto peserà sul "mercato della politica" la presenza di quel network spionistico e gli archivi che ha messo insieme? Se il "potere democratico" è, come scriveva Norberto Bobbio, il "governo del potere pubblico in pubblico", oggi va registrato il minaccioso ritorno del regno del segreto, degli arcana (imperii e dominationis), della "ragion di Stato", della mai morta Italia dei ricatti. La qualità della nostra democrazia non ne può guadagnare.
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