del 28 gennaio 2010
di Enrico Fierro
(Giornalista)
Non si vota a marzo, Flavio Delbono non lascia la sua poltrona di sindaco. Contrordine compagni. “Il nostro obiettivo è evitare un danno alla città dalla chiusura incontrollata dell'attività amministrativa. Appena concluso il monitoraggio delle attività istituzionali sapremo dire la data di chiusura del mandato”. Parla Claudio Merighi, vicesindaco della città, e il consiglio comunale raggela. Non si va a casa, come concordato, non si vota il bilancio, perché nel frattempo saltano i tabelloni per le votazioni, tutto rinviato ai prossimi giorni.
L’opposizione protesta, la maggioranza è nel caos. Bologna non capisce. E il commissario è alle porte. Durerà fino a giugno nella migliore delle ipotesi, o alla primavera del 2011, quello che è certo è che a marzo è ormai impossibile votare. “'Delbono - ha detto il ministro dell’Interno Maroni - non si è ancora dimesso, quindi non sono possibili provvedimenti da parte nostra e per ogni giorno di ritardo nelle dimissioni si allontana la possibilità che si voti il 28 marzo”'.
Uno schiaffo alla città, un’offesa per i bolognesi costretti ad essere governati da un sindaco travolto dallo scandalo delle sue burrascose relazioni sentimentali, dai viaggi istituzionali in dolce compagnia, e dalle gravi ipotesi di reato che gli sono piovute addosso. L’ultima – dopo quelle di peculato, truffa aggravata e abuso d’ufficio - è pesantissima: “Induzione o tentata induzione a rilasciare dichiarazioni mendaci o non farle fare nei confronti di un’altra persona”. Avrebbe costretto Cinzia Cracchi a non rivelare ai pm la storia del bancomat regalato. Sabrina Ferilli a parte (“Delbono non doveva dimettersi, ha lasciato la città per una cazzata”), il Cinzia-gate da sassolino che era, sta diventando una valanga. Altro che amori e tradimenti, l’inchiesta del pm Morena Plazzi si sta allargando alla gestione dei soldi della sanità pubblica, agli appalti, alle consulenze allegre, alle forniture date senza gare d’appalto. Presto sarà aperto un nuovo fascicolo per un altro filone di indagine che fa tremare tanti a Bologna e dintorni e che rischia di mettere a nudo quel particolare sistema di amicizie, relazioni, reciproche coperture che da anni governa la città e si suoi interessi.
Ieri mattina è continuato l’interrogatorio di Mauro Moruzzi, il direttore del Cup. Si tratta della struttura dove è stata trasferita Cinzia Cracchi e dove Mirco Divani riceveva consulenze e appalti per centinaia di migliaia di euro. L’ex operaio delle Officine Rizzoli con tessera del Pci in tasca, è “l’amico di salsicciate di Delbono”, di fatto proprietario del famoso bancomat regalato dal sindaco alla sua compagna e poi disattivato dopo la fine della loro relazione. Divani, che da operaio si trasforma in imprenditore informatico nel 2002, inizia a collaborare col Cup nel 2005, appena due anni dopo fa il grande salto. Con una sua società partecipa al “Progetto sole”, la fornitura di 4 mila computer ad altrettanti studi medici e pediatrici per la messa in rete con le Asl territoriali. Un affare realizzato, secondo l’ipotesi della procura, violando le regole che impongono la gara d’appalto per importi che superino i 200mila euro. Per le aziende di Divani, invece, c’è stato un semplice affidamento diretto. Come è stato possibile? “Solo nel 2009 ci siamo accorti che avevamo superato il tetto stabilito”, ha risposto dopo un interrogatorio durato tredici ore, un imbarazzato Mauro Moruzzi. La procura indaga, i soldi sul tappeto sono tanti. E tante anche le stranezze. Una delle società di Divani, la “Connex card technologies”, nel 2008 passa alla moglie, Simonetta Tosi, dipendente del Cup 2000. Un cambio societario che ora è al vaglio del pm Morena Plazzi, che vuole capire come mai sull’ultimo contratto per le forniture al “Progetto Sole”, non c’è la firma della signora Tosi, ma quella del marito Divani. Riepilogando: Divani era consulente del Cup, sua moglie dipendente, gli appalti li vincevano le loro società e senza gara.
Troppi intrecci, strane amicizie che durano anni nel sistema di potere bolognese. Attorno a Delbono c’era una sorta di compagnia dei fedelissimi, Mauro Moruzzi, il direttore del Cup, Aurelio Donati, ex sindaco Pds di un paese alle porte di Bologna, cavaliere di Gran Croce, che al Cup aveva lavorato e che poi è diventato “ambasciatore” della regione in Bulgaria (dove Delbono ha fatto alcuni investimenti immobiliari). Ma è solo la punta dell’iceberg. “Qui c’è una stratificazione di poteri formidabile, inattaccabile. Ecco perché il mio nome come eventuale candidato sindaco fa paura. È troppo di rottura”. Libero Mancuso, ex magistrato e già presidente della Corte d’assise di Bologna, è stato assessore con Cofferati e oggi è in Consiglio comunale per Sinistra e Libertà. Gira voce di una sua possibile candidatura. Ma oggi a Bologna il toto candidati si è fermato. Se ne parlerà tra settimane. Maurizio Cevenini, sociologo e sfidante di Delbono alle scorse primarie, Giancarlo Sangalli, ex presidente della camera di commercio, il professor Filippo Andreatta. Nomi che aspettano.
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