venerdì 31 luglio 2009

Mafia: Ass. Georgofili, politica indifferente, no a Commissione


ANSA
del 31 luglio 2009




Firenze. "Del perché mai vorremmo una commissione d'inchiesta parlamentare sul massacro dei nostri parenti, lo abbiamo ben chiaro in testa, e tante volte lo abbiamo detto.

Semplicemente perché in Parlamento non ci sono le condizioni per una tale inchiesta". Lo afferma in una nota la portavoce dell'Associazione tra i familiari delle vittime di via dé Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli. "Riteniamo la politica attuale troppo compromessa nei fatti del 1993, stragi incluse, per avere una commissione d'inchiesta serena nei giudizi e nelle analisi di eventi tanto tragici che hanno visto i nostri attuali politici comportarsi verso quei fatti come minimo con indifferenza", prosegue Maggiani Chelli. "Del resto la storia ci supporta ampiamente. Nessuna commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi in Italia ha mai prodotto alcunché di positivo".
L'associazione si rivolge anche all'ex magistrato Pier Luigi Vigna: "Gli vogliamo dire con serenità, che avremmo preferito che il nostro esposto, a suo tempo presentato in procura proprio sul famigerato 'papello', avesse un risultato diverso da quello ottenuto. Molti politici nel 1992 erano venuti in possesso del 'papello' stesso, secondo le nostre informazioni addotte nell'esposto. I nomi di questi politici ci aspettavamo di conoscerli, sicuramente nessuno di loro fu innocente nel non denunciare di aver ricevuto il documento incriminato, almeno quando nei processi di Firenze si cominciò a parlarne".

"Mancino ha perso la memoria sull' incontro con Paolo"


Dal Quotidiano Antimafia 2000
del 31 luglio 2009

di Floriana Rullo
(Giornalista)



Mafia e Stato, una trattativa che da sempre interroga i magistrati.

Un rapporto che sembra aver portato alla morte il giudice Paolo Borsellino, personaggio scomodo per i vertici di Cosa Nostra.
Una trattativa cercata da Cosa Nostra per avere dei vantaggi di cui non godeva: tra cui l'abolizione dell'art. 41 bis (che prevede il carcere duro per i boss). E poi tanti misteri. Mai risolti. Celati dietro la morte dei due magistrati, nascosti dietro incontri da sempre negati (come quello di Mancino e Borsellino) e dietro documenti cancellati e mai trovati. Dopo la riapertura delle indagini e dell'interessamento del Copasir sulla strage di via d'Amelio Affaritaliani ha intervistato Rita Borsellino, sorella di Paolo Borsellino per capire a cosa dovranno portare le nuove inchieste di Caltanissetta.

Rita Borsellino, dopo la riapertura delle indagini crede che qualcosa si stia muovendo e che finalmente si arriverà alla verità sulla morte di Paolo Borsellino?
Noi abbiamo sempre aspettato che arrivasse la verità. Sinceramente ci sono stati dei momenti in cui abbiamo disperato. Oggi, dopo la riapertura dell’inchiesta si sta indagando su direzioni diverse. Direzioni che dovevano essere percorse molto tempo fa. Sicuramente la cosa è positiva. Il nostro timore è che, dopo aver visto la luce, si possa ritornare nel buio. E già arrivano le prime notizie inquietanti. Adesso qualcosa viene alla luce, ma incomincia anche a sparire qualcosa…In questo paese ci sono troppe sparizioni…

Come la scheda telefonica che Ciancimino consegnò alla procura di Palermo e che testimonia l’esistenza di un’uomo dei servizi segreti che aveva rapporti con la mafia…
Si come la scheda preannunciata da Ciacimino . E ora attendiamo che metta fuori questo papello prima che sparisca anche quello…

Ma lei allora crede che esista il papello che proverebbe il legame tra lo Stato e la Mafia?
Certo che esiste. Non ho dubbi, se ne parlò nei giorni dopo la strage. Poi non si disse più nulla. Ma nei giorni dopo le stragi si parlò di tante cose di cui non si è parlato più. Adesso si sta ritornando a quelle cose dette e poi abbandonate. Facciamo in modo che dopo 17 anni non passino di nuovo inosservate…

Di che cosa parla esattamente?
Si è parlato del papello, dei servizi segreti che potevano essere implicati, si è parlato di Castel Utveggio come luogo da cui potrebbe essere partito l’impulso della strage. Non erano solo ipotesi. C’erano indizi che non erano stati approfonditi. Si è parlato dell’agenda rossa, del fatto che era stata portata via. Poi è calato il silenzio per tanti anni da parte di chi avrebbe dovuto scoprire la verità. Noi abbiamo continuato a parlarle. Ora che ciò diventa oggetto d’indagine sicuramente si riapre la speranza ma anche la preoccupazione che si possano far sparire per sempre

L’agenda rossa e i misteri. Il magistrato Ayala sostiene di aver consegnato la borsa ai carabinieri…
I carabinieri l’hanno consegnata a qualcuno, tra questo qualcuno ci dovrebbe essere Ayala, Ayala l’ha riconsegnata ai carabinieri. La borsa è stata ritrovata sul sedile, sottratta dal sedile, ritrovata sul sedile: certo è che i tutti questi passaggi l’agenda rossa è sparita.

Ayala ha dichiarato ad Affari: “La borsa nera di Borsellino l'ho trovata io, dopo l'esplosione, sulla macchina. Che ci fosse nessuno lo può sapere meglio di me, perché l'ho presa io. Ma io sono arrivato per primo sul posto perché abito a 150 metri. Quando l'ho trovata l'ho consegnata ad un ufficiale dei carabinieri. E' verosimile che l'agenda fosse dentro la borsa e che sia stata fatta sparire”. Che cosa ne pensa?
Abitava lì dietro, lo so bene perché ci abito anche io. Noi abbiamo le immagini di un carabiniere che poi è Giovanni Arcangioli, che dice che l’ha presa e consegnata a qualcuno. Poi è stata riportata sul sedile. Abbiamo le immagini della borsa che va via e si ritrova nella macchina. Non metto in dubbio le parole di Ayala. Ma in questi passaggi l’agenda rossa è sparita. Dobbiamo capire dove quando e perché. Il perché lo possiamo intuire, ma dobbiamo capire dove e quando.

Quindi l’agenda esiste davvero…
Certo che esiste. Se incominciamo a mettere in dubbio che esista dalle nostre parti si dice laviamoci mano e non ne parliamo più. E che cos’è una favola?

False dichiarazioni, misteri su via D’Amelio. I magistrati di Caltanissetta si stanno concentrando sul verbale d’interrogatorio di Scarantino del 94, verbale pieno di annotazioni. L’agente dichiara che fu Scarantino a dettargli le note, lui smentisce. Ma questi elementi risolverebbero molti dubbi, se veri, sul rapporto Stato –mafia e soprattutto sul depistaggio ideato da qualcuno…
Scarantino ha detto e si è smentito centomila volte. Non ci meraviglia. Qui si tratta di appurare la verità dopo 17 anni, dopo che sono state fatte tante operazioni e tante cose. Dove ognuno racconta la sua verità. Qui la scommessa è quella, dopo 17 anni quando tutto è più difficile, capire qual è la verità. Perché non esistano più verità. E’ una sola. Qui bisogna trovare il bandolo della matassa e scoprila…

La strage di Capaci fu una stage di mafia con interessi di Stato, quella di via d’Amelio una strage di stato con interessi di Mafia.
Si. Le dico una cosa oggetto di deposizioni durante il processo Paolo disse: “Quando mi ammazzeranno ricordate che non fu soltanto mafia”

Ciò che sosteneva anche Falcone quando nel giorno dell’attentato dell’Addaura nell’89 disse che a tentare di ucciderlo fu chi quel giorno lo chiamò per primo…
Certo, l così dette menti raffinatissime. Si è voluto far finta che questo non esistesse. Ci sono molte responsabilità, perché altrimenti si sarebbero seguite delle piste che non sono state seguite

Due colleghi di Marsala di Paolo Borsellino hanno messo a verbale le loro parole. "Un giorno di quell'estate siamo andati a trovare Paolo nel suo ufficio a Palermo, era stravolto. Si è alzato dalla sedia, si è disteso sul divano, si è coperto il volto con le mani ed è scoppiato a piangere. Era distrutto e ripeteva: "Un amico mi ha tradito, un amico mi ha tradito...".
Se l’ha detto mio fratello è vero. Mi chiedo perché parlare dopo 17 anni. Non so se non venne preso in considerazione, come tante altre cose. Ma se l’hanno detto dopo 17 anni è molto grave. Avrebbero dovuto riferire prima queste parole, se non altro per aiutare a capire chi era stato a tradirlo

Parliamo di Mancino. A quel tempo era Ministro dell’Interno. Ayala racconta che l’incontro con Borsellino c’è stato, l’agenda grigia di Borsellino lo conferma, lui continua a smentire....
Adesso si è dimenticato, la cosa ci spiace. Che cerchi di ricordarsi. Borsellino lo ha annotato sull’agenda. Era conosciuto, era la vittima designata. Il ministro dell’Interno avrebbe dovuto sapere che Paolo Borsellino era la vittima designata, così come tutti gli altri. E non dimenticare. Ha fatto una dichiarazione sinceramente che mi ha stupito e amareggiato. Ha detto: “Un ministro appena eletto e un magistrato che cosa avrebbero dovuto dirsi”…Credo che avrebbero dovuto dirsi tante cose e soprattutto credo che un ministro dell’Interno appena insediato avrebbe dovuto chiedere tante cose a Paolo…cosa che non ha fatto.

Secondo lei ci fu un’accelerazione nell’uccisione di suo fratello perché aveva scoperto troppo ed era diventato un pericolo?
E’ un fatto oggettivo ed è oggetto di una sentenza in cui si parla di un’accelerazione nella decisione di uccidere Paolo Borsellino e oggetto di una dichiarazione pubblica alla biblioteca comunale. Borsellino dice:“ Io so delle cose di cui parlerò solo alle autorità giudiziaria” Che non gliele chiese o non potè farlo…

Si parla ancora di un uomo senza nome presente sia sulla strage di Capaci che su quella di via d’Amelio…
Non l’abbiamo mai visto. Forse si sarebbe anche li cercare una verità meglio….

E poi c’è la telefonata fatta una manciata di secondi dopo l’attentato che raggiunge il capo palermitano dei servizi, Contrada in gita nel golfo di Palermo su una barca…
Si, quelle in oggetto delle perizie di Genchi, di lui ho grande stima

La stessa che ha per Ayala?
Lui sta raccontando la sua verità che ha vissuto, mancano dei pezzi. Che magari non conosce. Premesse e conseguenze di quella situazione. Lui racconta il suo momento… Ora vorremmo che altri raccontassero le loro

Le parole di Riina, crede che lui conosca la verità?
Lui sa sicuramente. Il fatto che lancia messaggi inquietanti mi fa pensare che stia lanciando messaggi a qualcun altro per fagli capire che non solo sa, ma che probabilmente è anche disposto a raccontare se si creano le condizioni adatte. E’ chiaro che è un messaggio quello che lancia. Bisogna vedere a chi e perché questo è oggetto di lavoro da parte dei magistrati e della procura di Caltanissetta che hanno il grande merito di aver ripreso in mano questo lavoro

La strage di via D’Amelio. Spatuzza smentisce Scarantino sul furto della 126 che uccise Borsellino. Che cosa ne pensa?
Scarantino si smentisce sempre da se. E’ un pentito poco affidabile. Ho l’abitudine, proprio per quello che mio fratello mi ha insegnato, di fidarmi di sentenze e giudici. Spatuzza parla adesso, racconta la sua versione e viene ritenuto attendibile perché questi fatti sono stati riscontrati. Se quindi è un collaboratore attendibile nel senso che sta raccontando la verità bisogna allora capire perché Scarantino si auto accusa per ciò che non ha commesso

Perché lo fa?
Ci saranno tanti motivi ma certo che auto accusarsi di una cosa del genere non è una cosa da poco. Non può essere frutto della mente di Scarantino che è una persona non di altissimo livello dal punto di vista ampio della cultura.

Che cosa si aspetta ora dalla riapertura delle indagini?
Che non passino altri 17 anni per avere altri pezzi di verità. Mi aspetto la verità. Ma il fatto che si ricominci a parlare di sparizioni è la cosa che mi inquieta di più.

Salvatore Borsellino sostiene che il pm Lari non verrà fermato se non con il tritolo. E’ d’accordo?
Ho grande stima di Lari, lo conosco. Ha avuto il coraggio e la determinazione di andare avanti. Mi auguro che chi gli deve proteggere la vita lo faccia. Non possiamo permetterci un altro Borsellino

Caselli sostiene che l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia. E’ vero?
Si. Perché il terrorismo attaccava al cuore lo Stato, il suo nemico era lo stato. Con la mafia ci sono troppe commissioni, troppi interessi convergenti. La mafia è uno stato nello stato, il terrorismo è invece l’anti stato. Questo il motivo. Putroppo ci sono sentenze passate in giudicato e realtà e verità che ci mostrano che i rapporti tra uomini dello stato ci sono state. Ci sono state complicità e intromissioni. Lo stato per me è sacro, le istituzioni sono sacre. Gli uomini un po’ meno.

Si è fatta un’idea su chi possa aver voluto la morte di suo fratello?
Se avessi avuto un idea sarei corsa a raccontarla. Ma so bene che non si possono raccontare ipotesi. Solo fatti.

Servizi segreti, il Copasir chiede gli atti dell'omicidio Borsellino

Ecco che la politica cerca di nuovo di intromettersi nelle indagini della magistratura e invitiamo i nostri gentili lettori a tener ben presente questa vicenda dell'azione del Copasir sulle nuove indagini delle stragi di Via D'Amelio. Questa interferenza potrà essere devastante sull'esito delle indagini.


Dal Quotidiano La Repubblica
del 31 luglio 2009


ROMA -
Il Comitato parlamentare che vigila sui servizi segreti ha chiesto gli atti dell'omicidio Borsellino. La notizia trapelata a margine della relazione annuale del Copasir illustrata a palazzo San Macuto dal presidente del comitato Francesco Rutelli.

E' intenzione del Comitato parlamentare invitare a Roma il procuratore di Caltanissetta per un'audizione: "Ho parlato con il magistrato - ha spiegato Rutelli - e ho concordato che una volta completata l'analisi della documentazione che ha nei suoi uffici, per la quale ci vorranno alcune settimane, tutte le eventuali informazioni riguardanti nel passato funzionari dei Servizi segreti, saranno oggetto di una sua informativa e di una sua audizione al Copasir".

La scelta del Comitato di controllo, giunge dopo la pubblicazione dell'inchiesta di Repubblica che ha svelato presunte "operazioni sporche" in Sicilia di agenti segreti coinvolti in una trattativa segreta fra Mafia e Stato forse all'origine nel '92 della strage del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta.

Rutelli chiede che al Copasir venga anche Berlusconi a parlare: "Abbiamo rivolto ripetutamente l'invito al presidente del Consiglio per un'audizione - ha detto il presdiente del Comitato parlamentare - ma Berlusconi non mai ha trovato il tempo di venire". Le audizioni periodiche del presidente del consiglio davanti al Copasir sono previste, tra l'altro, dalla legge di riforma dei servizi del 2007. "Un incontro ancora più importante - ha aggiunto Rutelli - perchè spetta al presidente del Consiglio dare le indicazioni generali sul lavoro da svolgere".

Palermo, sparita una prova dei contatti fra Stato e mafia

Dal Quotidiano La Repubblica
del 31 luglio 2009

di Attilio Bolzoni e Francesco Viviano
(Giornalisti)


PALERMO - L'ultimo mistero siciliano è una carta sim, una scheda telefonica scomparsa nelle stanze della Corte di Appello di Palermo. La cercano da molto tempo e non la trovano. Dentro c'è anche il numero del cellulare di "Carlo", l'agente segreto che ha trattato con Vito Ciancimino prima e dopo le stragi del 1992. Il suo nome è sconosciuto agli investigatori, la sola via per identificarlo era quella carta sim requisita nel giugno del 2006 a Massimo, il figlio di don Vito, al momento dell'arresto. C'è il verbale di sequestro di uno dei suoi telefonini, c'è anche il verbale di sequestro della scheda ma la carta è sparita.

Dalla procura di Palermo sono partite più richieste e "sollecitazioni" alla Corte di Appello però - dopo mesi di ricerche - non è stata consegnata ancora ai pubblici ministeri che indagano sul patto fra Stato e Mafia. O qualcuno l'ha sottratta o qualcun altro l'ha infilata in un posto sbagliato. Forse fra un giorno o fra un anno salterà fuori da qualche scatolone o forse non ricomparirà più. E "Carlo", se non ci sarà nessuno che dirà chi è, resterà nell'ombra.

E' il personaggio centrale di tutta l'inchiesta siciliana sugli avvenimenti di quell'estate del 1992. Più dello sfregiato, quell'altro agente segreto con la "faccia da mostro" che i magistrati di Palermo e di Caltanissetta stanno inseguendo da mesi. Più degli "irregolari" del Sisde che per anni si sono aggirati nelle borgate palermitane "camminando" insieme a boss e a picciotti - questa l'ipotesi - per mettere bombe o far paura a Falcone e Borsellino.

E' "Carlo" l'uomo cerniera di più "alto livello" fra Mafia e Stato prima e dopo le stragi di diciassette anni fa. E' lui - lo racconta Massimo Ciancimino - che aveva materialmente in mano il famigerato "papello" alla vigilia del massacro di via D'Amelio mentre discuteva con suo padre sulle prossime mosse per far contento Totò Riina. Il figlio di don Vito non conosce l'identità di "Carlo" e quella scheda telefonica scomparsa era l'unica traccia per risalire all'oscuro 007.

Ha fra i sessanta e i sessantacinque anni, Vito Ciancimino aveva una frequentazione con lui dal 1980. Un vero "intermediario" fra pezzi dello Stato e poteri criminali. Uno che poteva entrare e uscire dalle carceri italiane quando voleva. Uno che ha fatto avere a Vito Ciancimino anche un passaporto turco subito dopo l'uccisione di Salvo Lima, all'inizio del 1992. E' stato "Carlo" a portarglielo a casa sua, a Roma in via San Sebastianello. "Se dovesse averne bisogno, se avesse necessità di allontanarsi in fretta dall'Italia", gli disse "Carlo". La foto che servì per quel passaporto, don Vito l'ha fatta in uno studio a pochi passi dalla sua abitazione. Si è messo in posa con una barba finta.

Ma quel passaporto l'ex sindaco di Palermo non l'ha mai usato. E' fra le carte ereditate dal figlio.
E' un potente "Carlo". Con "licenza" di fare scorribande dappertutto. Quando andava da don Vito arrivava sempre in auto blu e chaffeur. E' sempre stato lui - nell'autunno del 1984 - a far visita più volte a Rotello, in Abruzzo, a don Vito che era al soggiorno obbligato. In quel periodo "Carlo" incontra pure i figli. Li pedina anche. Quando escono di casa. Quando lasciano la Sicilia. Quando hanno i "colloqui" in carcere con il padre. Capita anche che "Carlo" prova a usare come "postini" i figli di Vito Ciancimino per mandargli a dire: "Dite a vostro padre di stare tranquillo e di non lasciarsi andare perché ci siamo noi che teniamo a cuore la sua vicenda". L'agente segreto e i suoi hanno sempre avuto paura che don Vito potesse parlare.

Le "visite" in carcere si fanno sempre più frequenti. E anche la "libertà" di don Vito in galera è tanta. Può chiamare con un cellulare di "Carlo". E può incontrare, anche quando è ufficialmente in isolamento, altri detenuti. Come per esempio Nino Salvo, il grande esattore mafioso della Sicilia, con Salvo Lima l'uomo più potente della corrente andreottiana nell'isola che Giulio Andreotti ha sempre negato di conoscere. Ecco cosa raccontava il 17 marzo 1993 Vito Ciancimino al procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli, al sostituto Antonio Ingroia e - guarda caso presente all'incontro - al capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno, il fedelissimo del generale Mario Mori che fu il primo ad "agganciare" Massimo Ciancimino per avviare la "trattativa".

Allora don Vito non raccontò come poteva aggirare l'isolamento, però ricordò: "Nino salvo mi disse: 'Hai capito di quali romani ci parlò Salvo Lima? Non hai capito niente... Ti comunico in termini perentori che a decidere l'assassinio del generale Dalla Chiesa e dell'onorevole Pio La Torre è stato Giulio Andreotti". All'epoca don Vito fu bollato come un "depistatore".
Un rapporto antico quello fra l'agente "Carlo" e l'ex sindaco. Fino ai giorni del "papello". Fino a quando si ritrovarono a "ragionare" insieme sulle richieste che Totò Riina aveva avanzato allo Stato per fermare le stragi.

Poi, dopo la morte di don Vito e dopo le disavventure del figlio Massimo arrestato per riciclaggio, "Carlo" non ha mai voluto abbandonare i contatti con i Ciancimino. Soprattutto con Massimo. E' stato lui a fargli avere le aragoste vive il giorno di Ferragosto del 2007, quando Massimo era agli arresti domiciliari. E' stato lui a presentarsi come "un carabiniere" sotto la sua casa di Palermo qualche mese fa. E' stato sempre lui il 10 luglio scorso, nel primo pomeriggio, a entrare segretamente nell'appartamento bolognese di Ciancimino jr per lasciare un messaggio: "Ma chi te lo fa fare? Perché ti sei messo in questa situazione? Non pensi alla tua famiglia?". E ieri, Massimo Ciancimino, ascoltato di sera in procura a Palermo, forse ha parlato anche dell'ultimo incontro con "Carlo" e dei suoi avvertimenti.

giovedì 30 luglio 2009

Verso la fine dello stato di diritto

Dal Quotidiano Il Manifesto
del 30 luglio 2009

di Luigi De Magistris
(Eurodeputato)



Credo sia un grave errore pensare che il governo Berlusconi, la maggioranza berlusconiana, non persegua una ben precisa strategia che mira a modificare in modo radicalmente autoritario ed illiberale il nostro paese.

Il disegno, di chiara matrice piduista, impone sia ampie revisioni costituzionali che svuotamenti della Carta attraverso la legislazione ordinaria: matrice di fondo è la soppressione di quella che gli anglosassoni chiamano balance of powers, il bilanciamento dei poteri.

La Costituzione deve subire – in tale progetto strategico - una svolta presidenziale, con la concentrazione dei poteri di governo nelle mani di un’unica persona: il parlamento ridotto a mero organo di ratifica dei voleri della maggioranza, Corte costituzionale e Consiglio superiore della magistratura modificati nella loro composizione attraverso l’aumento dei membri di nomina politica. Il presidente della repubblica sarà quindi capo del governo, capo delle forze armate, capo del csm e magari, se lo scenario di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico e politico-istituzionale del nostro paese rimarrà quello attuale, anche capo dei capi.

Dal momento che anche una maggioranza di chiara ispirazione autoritaria ed illiberale non potrà mai abolire formalmente l’art. 3 della Costituzione (l’uguaglianza delle persone di fronte alla legge) e l’art. 21 della Costituzione (libera manifestazione del pensiero e diritto di cronaca) ecco che si colpiscono – attraverso lo strumento della legge ordinaria – quelli che sono due baluardi di ogni stato di diritto che consentono l’effettiva attuazione di tali principi: l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e dell’informazione. In questi ultimi mesi la maggioranza sta portando avanti un disegno di complessivo annichilimento dell’autonomia della magistratura e dell’indipendenza, libertà e pluralismo dell’informazione.

Corollari di un disegno autoritario di questo tipo sono anche taluni censurabili provvedimenti normativi adottati negli ultimi mesi e che offrono una chiara cornice dell’avanzare del fascismo del terzo millennio: 1) le ronde che – mortificando le forze dell’ordine - introducono la privatizzazione della sicurezza pubblica e l’istituzionalizzazione in alcune aree del controllo del territorio da parte della criminalità organizzata (tipico strumento utilizzato nel ventennio del secolo scorso e nel periodo iniziale dei paramilitari colombiani); 2) il ricorso sempre maggiore ai militari per compiti di ordine pubblico che – soprattutto in un’ottica di presidenzialismo di chiara ispirazione piduista – potranno essere utilizzati per affrontare conflitti sociali e reprimere il dissenso che viene sempre più criminalizzato nel nostro paese attraverso pratiche liberticide tipiche della tolleranza zero; 3) la criminalizzazione dell’immigrato in quanto tale e non perché ha commesso un reato, ossia l’introduzione della colpa d’autore tanto cara al regime nazi-fascista, con tratti xenofobi indegni di un paese democratico.

Un disegno autoritario di tale portata nasce e si consolida attraverso un ricercato crollo etico anche grazie all’imperversare della pubblicità commerciale, del consolidamento della teoria del consumatore universale, del radicamento del pensiero unico, del rovesciamento dei valori: non conta chi sei, qual è la tua storia, ma quanto appari; il culto del profitto, dell’avere al posto dell’essere, del dio denaro. Un revisionismo culturale realizzato in anni di bombardamento mediatico, in un conflitto di interessi mai affrontato da un opaco centro-sinistra intriso da tanti conflitti d’interessi. Un definitivo controllo delle coscienze e la narcotizzazione delle menti e finanche dei cuori deve passare attraverso la mortificazione della scuola pubblica, dell’università e della ricerca: deve apparire che siamo un paese normale (quanto bello ed attuale quell’articolo di Domenico Starnone che parlava di normale devianza).

Di fronte ad un disegno che appare a tratti anche eversivo dell’ordine costituzionale; di fronte ad un paese dove le mafie condizionano in modo devastante parte significativa del pil e riciclano immani somme di denaro in ogni settore suscettibile di valutazione economica ed in ogni parte del territorio nazionale; di fronte ad una capillare penetrazione della criminalità organizzata in vasti settori della politica e delle istituzioni, attraverso soprattutto il controllo della spesa pubblica; di fronte ad un collante sempre più evidente tra sistema politico castale e criminalità organizzata; di fronte a tutto questo, le forze democratiche – in qualunque articolazione della società civile siano presenti - debbono impegnarsi tanto e concretamente per impedire la realizzazione di un tale progetto politico che condurrà inesorabilmente alla fine dello stato di diritto.

Così come chi è investito di ruoli istituzionali e non è ancora totalmente assuefatto a tale sistema di potere deve battere un colpo per difendere la Costituzione nata dalla Resistenza e per far sì che venga attuata giorno per giorno.

Tocchiamoci tutti: le Dieci Tavole del Sultano

Dal Quotidiano Micromega
del 30 luglio 2009

di Andrea Scanzi
(Giornalista)



Zoccole, zoccole, zoccoleeee…”. Ah scusate, non vi avevo visto.
Sto provando con Marco Taradash il balletto con cui stasera apriremo il Dj set di Silvio Berlusconi a Radio Gioventù. Presenterà Pierluigi Diaco (non è una battuta).

Siamo molto emozionati. Taradash ha studiato certosinamente la coreografia. A un certo punto si spoglierà nudo mostrando il petto villoso, coperto per l’occasione da strass e tombe fenicie miniaturizzate. Sul bicipite destro si è fatto tatuare la Sacra Sindone di Miccichè e sul polpaccio sinistro i nomi in sanscrito dei suoi tre koala albini (Bondi, Cape e Zzone).
Non sembra, ma Taradash ha un talento come coreografo. La canzone di Sal Da Vinci lo ha esaltato. Per il ritornello mi ha chiesto di imparare il Passo del Gladiolo Morto, un complicatissimo fraseggio di anche e bacini miranti a rappresentare il declino dell’impero occidentale. L’ho imparato, per amore della patria e della Costituzione.

A fine esibizione, in sincrono, faremo una spaccata. Gli zebedei aderiranno aerobicamente al suolo. Le membra saranno erculeamente protese verso l’Avvenire.

Lui sarà Heather Parisi e io Enzo Paolo Turchi.

Vamos (cit).

A parte questo, anche questa settimana non è successo molto. Repubblica ha spacciato per inedita una canzone di Gaber che conoscevano tutti da sedici anni, Debora Serracchiani ha richiamato al centralismo democratico (ahahahahahaha) e Luigi Amicone ha detto “ghm mgh eccetera” in tivù.
Si è fatto un gran parlare, dalle vostre parti bolsceviche, delle registrazioni di Patrizia D’Addario. Credevate che bastasse guardare dal buco della serratura della politica (cit) per far cadere Berlusconi. E ci siete rimasti fregati. Un’altra volta.

Siete proprio tristi, voi comunisti.

Prima di tutto, quelle registrazioni sono false. Se anche non sono false, sono fasulle. Se anche non sono fasulle, sono artefatte. Se anche non sono artefatte, sono pilotate. Se anche non sono pilotate, sono illegali. Se anche non sono illegali, non hanno alcuna rilevanza giuridica. E se anche tu non mi vuoi, tu non mi perderai, so perdonarti le cose che non mi dai, io credo in noi, anche se tu non mi vuoi (cit).

I testi delle registrazioni, pubblicati dai grumi insufflati di criminosità dell’Espresso, hanno però un grande interesse antropologico. Non è tanto importante cosa raccontano, quanto piuttosto come lo raccontano. Da questi aulici dialoghi emerge tutto l’universo berlusconiano.
Le chiameremo le Dieci Tavole del Sultano.

Ne sia fatta una seria esegesi, con un occhio a Francesco Alberoni ed un altro a Roberto Cota.

3942_a29911. Il re della galassia.
Dialogando con Patrizia D’Addario, Berlusconi si preoccupa anzitutto di nutrire il proprio Ego. E’ il padrone di casa tornato dopo le vacanze, che obbliga gli ospiti a guardare le 780 diapositive. E’ il maturo anfitrione che poteva divertirci le serate estive con un semplicissimo mi ricordo (cit). Le feste non mirano tanto all’alcova, quanto alla reiterata celebrazione di sé. L’inno di Forza Italia, i filmini con l’amico Putin, le barzellette raccontate: non è Italia, è stra-Italia. E’ Alberto Sordi che dà vita a un tassinaro più vero del vero. E’ la summa del leader che incarna al meglio il peggio degli italiani. Quello che è sempre più furbo degli altri: che ce l’ha sempre più lungo degli altri.
I regali “li ho disegnati io”, quelli più belli “non li ho fatti io ma l’idea è mia”. Io, io, io. Tutto è oro, perfino il sottosuolo diviene babele archeologica. Patrizia nel paese delle Meraviglie.
Berlusconi diviene poi incontrastato Re della Galassia quando racconta i fantasmagorici successi politici: “Sono il responsabile dell’organismo internazionale che governerà l’economia del mondo… si chiama ora G8, poi sarà G14… E’ un organo che raccoglie i leader dell’80 per cento dell’economia che devono decidere di applicare le leggi dell’economia in un momento complesso di crisi…Io per avventura…io sono l’unico al mondo che ha presieduto due volte nel 1994 e nel 2002, non c’è nessun altro che ha presieduto due volte…Siccome si va a sedici, uno deve stare lì, e si fa un anno ciascuno, ora sono in-su-pe-ra-bi-le…tre volte! ed è un grande risultato per l’Italia”. Lui è unico, insuperabile, lo fa “per avventura” (a differenza di Mogol-Battisti) e la sua gloria - per osmosi - tocca anche la vita degli italiani.
Notevole la risposta della D’Addario, che dopo una tale profusione d’Ego, al cui confronto Morgan è Seppi, riassume il suo interesse così: “Eeeeeeeeeeeehhh”. E non si capisce se sia sbadiglio o catatonia passeggera.

2. L’afasia di Willie Wonka.
I dialoghi hanno un che di lobotomizzato. Spesso i due parlano ma non si capiscono. C’è una incomunicabilità di fondo, forse una citazione dai film di Bergman o solo la prova che a Berlusconi i testi glieli scrive Renzo Bossi.
Tre esempi.

Esempio 1, altresì noto come Apologo dell’Italia agli italiani. Berlusconi parte con una filippica (non chiarissima) sulla Finlandia che di artistico non ha niente, mentre “noi (italiani) qui abbiamo… 40mila parchi storici con tutti i tesori dentro, 3500 chiese, 2500 siti archeologici, pari al 52% di tutte le opere d’arte catalogate al mondo e al 70 % di tutte le opere d’arte catalogate in Europa”.
Non è solo lui che è eccezionale: lo è anche il suo paese. Il più bello del reame nel più bello dei reami. Col solito surplus d’enfasi, Berlusconi conclude: “Questa è l’Italia”. La D’Addario, che come abbiamo visto non è bravissima a tenere alta la concentrazione quando il cliente (ooops) si imbroda, non sa che dire e butta là: “E perché non vengono più?”. Che non c’entra niente (chi non viene più? I finlandesi? I polacchi che non morirono subito? I visigoti? Boh).

Esempio 2, altresì noto come Sindrome del Baglioni ingrifato. La mattina dopo aver passato la notte insieme (casualmente la stessa notte in cui è stato eletto Obama, ma in fondo chi se ne frega di Obama), Berlusconi chiama la D’Addario. Lui: “Come stai questa mattina?”. Lei: “Come stai?”. Se lo chiedono cento volte: e tu come stai, tu come stai, tu come stai, come ti trovi, chi viene a prenderti, chi ti apre lo sportello (cit). Cose così. Passano due minuti, stanno parlando di tutt’altro, e poi lui ancora: “Va bene senti, tutto bene?”. E lei: “Sì tutto bene”. E via così. Sono dialoghi loop, ritualizzati, scanditi da fasi afasiche e cortocircuiti comunicativi (ignoro il significato di ciò che ho appena scritto, ma è voluto, fa molto radical chic).

Esempio 3, altresì noto come Miracolo dei Gelati. Berlusconi si incarta nel celebrare i migliori gelati del mondo (che ovviamente sono di sua proprietà): “Questo è l’ingresso della gelateria questa qua è la gelateria guarda che meraviglia questa è la gelateria con tutti i posti per i gelati”. Rileggete: non vuol dire niente, sembra un intervento di Amicone. Lei però, gentile, risponde: “Ah, è il mio posto ideale …”. E Berlusconi, ancora in loop: “Qua c’è… qua c’è la fabbrica dei gelati …”. Attenzione: non è un semplice reparto gelati: è la fabbrica dei gelati. La fabbrica. Qui non è più Berlusconi: è Willie Wonka. E gli umpa lumpa sono capitanati da Brunetta.

3. I cigni Co.Co.Co.
Berlusconi, sempre Re della Galassia, mostra il parco dei cigni. Che però non ci sono. La D’Addario (che sa essere sagace) lo nota. E lui: “Sì, ma poi li tiriamo fuori perché vogliamo avere l’acqua pulita per fare il bagno…”. Cioè sono cigni co.co.co, con contratto a tempo determinato (pure loro). Domanda: quando non li tengono in acqua, dove li nascondono? Li parcheggiano nel duodeno di Borghezio? Li prestano come claque a Capezzone? Li usano come cavie per gli esperimenti genetici di Elisabetta Gardini? Non si sa.

4. Balena.
Berlusconi cammina sul parco. A un certo punto dice: “Questa è una balena fossilizzata”. Grande sdegno tra archeologi e animalisti. Non ve n’è motivo. Stava solo indicando la cuccia di Calderoli.

5. Meteoriti.
Berlusconi colleziona meteoriti. “Questi qua sono i meteoriti. Questi son quelli che mi ha regalato… visti questi qua io sono andato in India” (sintassi post-atomica). I meteoriti. Lui li colleziona. Ecco: come si fa a collezionare meteoriti? Ti fai sparare in cielo dentro lo Sputnik e rubi nel salvadanaio del Dottor Spock? Telefoni a Marlon Brando e ti fai dare di contrabbando qualche pezzo del pianeta Krypton? Fai merenda con Tom Hanks a bordo dell’Apollo 13? Mah.

3757681698_9183320358_m6. Tombe fenicie.
Nell’universo berlusconiano c’è una dialettica continua tra terreno e ultraterreno, al di qua e aldilà (questa l’ho scritta per farvi notare come io sappia che “aldilà”, se allude al regno dei trapassati, si scrive tutto attaccato - altrimenti no). Nemmeno la tomba può essere normale, dacché (?) il tratto comune è l’Eccezionalità. Berlusconi non intende limitare al presente il proprio Dominio. Il suo è il regno dei cieli: da qui l’insistenza su mausolei mirabolanti - con la luce sempre accesa, perché lui odia il buio - e pure le tombe fenicie. Che sono tutte prenotate, però. Gasparri c’è rimasto male e, come giaciglio ultimo, si è accontentato di un monolocale sfitto a Scampia.

7. Lettone.
Se n’è parlato tanto. “Aspettami lì”, dice Berlusconi, “nel lettone, sì quello di Putin”. E’ il momento più tenero dei dialoghi. Da una parte c’è l’uomo pubblico, potentissimo, che sottolinea come perfino il letto ce l’abbia lungo. Dall’altra c’è l’uomo privato, che con retaggio infantile allude al luogo del riposo come si faceva da bambini. Il lettone: della mamma, dei genitori. Un letto al tempo stesso maschio e bambino. Corpo e anima. Peccato e santità. Che dolce.

3754669645_fabbec9843_m8. La rivoluzione di Onan.
Sono i consigli erotici di Berlusconi. Al Premier non passa minimamente per la testa che Patrizia D’Addario, in quanto escort, sappia benissimo che tra i suoi compiti ci sia anche quello di magnificare le virtù sessuali del cliente (oops). A sentire la D’Addario, sembra che fino a quel giorno abbia fornicato solo con eunuchi e sfigati. Invece con Berlusconi tutto è diverso, migliore, indimenticabile: lei ha sentito male (uh), lei ha perso la voce (”eppure non abbiamo gridato”), lei non faceva sesso così da mesi. E’ l’Apoteosi di Casanova: Berlusconi è Goldrake, si trasforma in un razzo missile con circuiti di mille valvole.
4444444444“Un giovane sarebbe già arrivato in un secondo”, rincara lei, denotando la stessa fiducia sulle nuove generazioni che aveva Erode. Patrizia è sincera o sta “lavorando”? Berlusconi non ha dubbi: non può averne. Lui è il Re della galassia. Sa che nessuno è come lui. Nemmeno nell’antica arte del dadaumpa. Ed è per questo che, dall’alto della sua virilità, dispensa consigli. Prima allude cripticamente a un “guaio di famiglia” per spiegare la difficoltà a raggiungere l’orgasmo, lasciando intendere che anche qui dipende tutto dall’essere o meno Unti dal Signore. Poi, di fronte alle lagnanze della D’Addario, sintetizza così il suo scibile amatorio: “Mi posso permettere? (variante privata del “Mi consenta” pubblico). Tu devi fare sesso da sola… Devi toccarti con una certa frequenza”.
Toccarsi con una certa frequenza: è la rivoluzione democratica di Onan. Prima di Berlusconi, se ti toccavi parecchio diventavi cieco. Oggi, come minimo, diventi ministro. Daje.

9. Non sono un Santo.
3754610171_70ac8eef71_mEccolo, il talento di Berlusconi. La battuta autoassolutoria, il declinare i propri difetti a simpatiche manchevolezze. “Non sono un Santo”: in un colpo solo ha cancellato mesi di bugie, pettegolezzi, sconcezze. Nulla esiste più, la bomba è disinnescata. C’è pure l’autoironia di fondo: l’Unto del Signore che, per un attimo, nega la sua essenza divina.

“Non sono un Santo”. E l’italiano medio ride, ci si rivede, pensa che “anche lui è come me”. Anche lui pensa che la famiglia sia sacra, sì, ma poi si sa che l’uomo è cacciatore e la donna preda (quindi non ci rompete le palle coi vostri moralismi). Giuseppe D’Avanzo e Repubblica possono scrivere quel che vogliono: cucù lo scandalo non c’è più. E’ tutto finito. La Chiesa non si schiera e la Fenice Berlusconi è nuovamente risorta dalle ceneri.

L’unico errore è stato affidarsi per settimane alla strategia di Mavalà Ghedini. Avesse detto subito “Non sono un santo”, la cosa sarebbe finita lì. Invece si è a lungo ostinato a negare l’evidenza, lasciando che Ghedini parlasse (perfino) di “utilizzatori finali”. Che poi, su: Ghedini che parla di sesso è come la Gegia che dà lezioni di striptease, coi bigodini e le infradito. Inaccettabile.

555555510. Scugnizzi e zoccole.
Berlusconi ama l’abbinamento musicale associativo. Niente metafore, niente astrattismi. Molto meglio la sottolineatura didascalica. Mentre è con la D’Addario, la musica che risuona è quella di Zoccole (e anche qui c’è da applaudire Berlusconi: avere una piena evoluzione mascolina ascoltando Sal Da Vinci non è facile per nessuno). Per Berlusconi, la musica deve amplificare l’azione corporea. Se Berlusconi fa sesso, ascoltaZoccole (secoli di battaglie femministe ammazzate in un colpo solo). Se Berlusconi va a cavallo, ascolta Samarcanda di Vecchioni. Se parla con un amico, ascolta Venditti. Se va in missione all’estero, ascolta Wagner (e invade la Polonia).

E ora scusate, vado ad aprire un conto alla Banca Rasini. Ci sentiamo tra due settimane. Che Matteo Salvini sia con voi.

mercoledì 29 luglio 2009

Filo rosso De Magistris-Bruni/3: che coppia Galati-Lussana, il plurindagato (ex tutto) e la parlamentare leghista antimafia…

Dal Blog Agorà

De Il Sole 24 Ore

del 29 luglio 2009


di Roberto Galullo

(Giornalista - Blogger)



Ancora oggi Galati e il suo gruppo, a detta del D’Anna, pretende il pagamento di ulteriori somme di denaro”. E’ il 19 marzo – festa del papà - quando Antonio Argentino (che come abbiamo visto nel precedente post non è solo il consulente e superteste dell’inchiesta Turbogas della Procura di Crotone ma è anche un pensionato, ex consulente pro tempore di Telecom, già sentito il 29 gennaio 2003 dalla Commissione parlamentare d’indagine sull’affare Telekom Serbia e relative ipotesi di mazzette miliardarie) parla con il Pm Pierpaolo Bruni.

Ancora oggi” puntualizza Argentino. “Ancora oggi” annota Bruni che, ovviamente, dovrà trovare riscontri. Pacman di km ne macina…

E’ il 29 aprile quando, di fronte allo stesso Pm Argentino dirà ancora: “…lo Scordo mi riferì che non solo le persone fisiche – politici Chiaravalloti e Galati avevano percepito guadagni e somme di danaro, per come sopra riportato, ma anche che lo stesso partito politico Udc, partito di riferimento del Galati (all’epoca ndr), veniva finanziato o sarebbe stato finanziato attraverso un sistema di consulenze. Ciò in quanto il Galati, per poter realizzare i propri interessi privati e quelli del suo gruppo, doveva avere il placet della direzione del proprio partito, placet che veniva ottenuto poiché il Galati imponeva alle società interessate alle operazioni il pagamento di somme di danaro indebite in favore delle casse del partito Udc, attraverso un sistema di consulenze fasulle”.

Non era la prima volta che Argentino rilasciava dichiarazioni sulla holding dei “due Giuseppe” Chiaravalloti-Galati (si veda il 1° post del 17 luglio), sulla quale è andato giù durissimo.

Si vedrà su questo terzo, vitale filone (dopo quelli che abbiamo già analizzato dei paradisi fiscali e della massoneria deviata) se pacman Bruni reggerà il confronto con “pasticcino De Magistris” (come l’ho soprannominato comunque con rispetto, stima e affetto e lui lo sa).

Anche Bruni, infatti, come il suo ex collega, si trova di fronte ad una coppia nella quale si era già imbattuto De Magistris nelle inchieste Poseidone e Why Not. In vero Chiaravalloti Bruni lo ha incontrato anche quando ebbe in eredità (per un breve periodo, e non poteva essere diversamente) l’inchiesta Why Not. Ora va specificato che Chiaravalloti è ancora indagato e compare tra i 106 (poi diventati, credo, 98 ma ho perso il conto) che hanno ricevuto le informazioni di garanzia a conclusione delle indagini preliminari della Procura della Repubblica di Catanzaro.

Galati, invece, ne è uscito praticamente subito. La sua posizione è stata prima stralciata e poi archiviata.

LA DIFESA DI GALATI

In una nota spedita all’agenzia di stampa Apcom, il 13 luglio, il parlamentare del Pdl Giuseppe Galati, respinge come "infondate" le accuse nei suoi confronti mosse a suo carico dalla Procura di Crotone nell'inchiesta sull'utilizzo dei fondi pubblici per il piano di sviluppo della città. "Sono certo che anche in questo caso le accuse che mi vengono rivolte nella loro paradossale enormità, si sgretoleranno lasciando spazio alle verità dei fatti e alla volontà popolare", dirà all’agenzia.
"Dalla lettura delle notizie di stampa - afferma Galati – circa un mio presunto coinvolgimento nell'inchiesta di Crotone, rilevo ancora una volta come, siano infondate le accuse nei miei confronti. Siamo nel campo dei teoremi e dei pregiudizi che bene ispirati vogliono modificare in direzione (non sappiamo ancora di chi), il corso della politica regionale. L'attività politico-elettorale mia e della mia componente, evidentemente non va nella direzione di alcuni interessi. Dispiace che la politicizzazione, di una parte, della magistratura voglia invertire la libera scelta dei percorsi democratici della Regione. Abbiamo sufficiente dignità e tenacia per resistere alle scelte di una parte della magistratura che ci attacca sempre con gli stessi ed identici teoremi, e che vuole negare liberi diritti politici ad alcuni e costruire alterate carriere politiche. Vale la pena di sottolineare che, non sempre la costruzione di ipotesi accusatorie fantasiose comporti un risultato politico favorevole a chi lo propone".

Per amore di cronaca abbiamo riportato la sua dichiarazione, così come per difetto giornalistico sottolineo che a essere chiamate in causa sono: la volontà popolare che lo ha eletto e la supposta macchinazione di alcune toghe che invece di pensare magari ad altro, hanno l’ardire di condurre inchieste. A me sembra di averli già sentiti da un altro queste argomentazioni ma, sicuramente, mi sbaglio.

ITALIA UNITA: PIU’ CHE GARIBALDI POTE’ GALATI

Ma chi è ‘sto Galati? Inutile rivangare antiche e ormai consumate storie che lo videro nel 2003 al centro dell’operazione “Cleopatra”, una vicenda di sesso e cocaina. Tanta neve sciolta in acqua è passata sopra e sotto i ponti: lui stesso butta alle spalle queste vecchie vicende.

Lo fece con me, che lo intervistai per il Sole-24 Ore il 29 marzo 2008 nell’ambito di un’inchiesta che feci in vista delle elezioni politiche. Con l’etica in politica come la mettiamo – gli chiesi – visto che cinque anni fa finì in una brutta storia di cocaina e prostitute? “I calabresi sanno scegliere – mi rispose tranquillo – e sanno che non c’entro nulla con quelle vicende. Ho lavorato solo per la mia terra”. Prendo atto.

E infatti nella biografia che ha inserito nel suo sito www.giuseppegalati.itnon c’è traccia. Di lui però sappiamo che: prima aveva pochi capelli, adesso ha una fetta di asfalto sulla cervice (non è il solo, mi consenta), è laureato in legge e, soprattutto è un ex: ex Dc, ex Ccd, ex Udc e ora felicemente approdato tra le braccia del Pdl che lo ha rieletto deputato con Forza Italia.

Di lui si ricordano memorabili interventi a favore della sua terra, come a esempio l’ultimo, avanzato con un’interrogazione parlamentare a risposta scritta il 2 luglio 2009, con la quale chiede conto a ben due ministri, quello dell’Interno e quello delle Infrastrutture, per quale motivo abbiano tarpato le ali (sequestrandolo) al porticciolo “Il Delfino” di Gizzeria Lido, frazione alle porte di Lamezia Terme dove Galati è di casa, essendoci uno dei suoi ristoranti preferiti “Marechiaro” del miticoPaolo Sauro.

Ma da un po’ di tempo Galati è noto anche per essere il signor Lussana.

IL MATRIMONIO TRA UN TERRONE E UNA PADANA

E si perché mentre migliaia di leghisti minacciavano di suicidarsi ingurgitando per protesta 10 chili di peperoncino essiccato di Diamante (Cosenza) e sette confezioni di ‘nduja sotto’olio con tutto il vasetto di vetro, lui il 24 settembre 2007 si sposava con la focosa parlamentare leghista Carolina Lussana da Bergamo.

Anche di lei rimangono memorabili interventi e atti, come a esempio le “Nuove disposizioni per la tutela del diritto all’oblio su internet in favore delle persone già sottoposte a indagini o imputate in un processo penale”, un progetto di legge presentato il 20 maggio 2009 sul quale sono già stati scaraventati molti fulmini. Una proposta di legge, per sua stessa definizione, che “e` finalizzata a riconoscere ai cittadini, già sottoposti a processo penale, il cosiddetto « diritto all’oblio » suinternet, cioè la garanzia che – decorso un certo lasso temporale – le informazioni (immagini e dati) riguardanti i propri trascorsi giudiziari non siano più direttamente attingibili da chiunque”.

Cuor di moglie, ma vuoi vedere che questo colpo di genio l’ha avuto pensando alle vicende del marito? No, non può essere. Figurati. E’ della Lega, è intelligente per definizione.

Poi, però, guarda tu il caso, scopri che l’onorevole marito è in contenzioso con un gruppo di giornalisti e, altra casualità la sua biografia è sparita da Wikipedia dove, infatti (provare per credere) l’unico che compare è tal Vito Giuseppe Galati, altro politico calabrese passato a miglior vita 41 anni fa.

DUE DOMANDE ALL’ONOREVOLE MOGLIE

E ALLA COMMISSIONE ANTIMAFIA

Una domanda semplice semplice all’onorevole moglie dell’onorevole marito: ma anziché pensare a una legge sull’oblio, non sarebbe meglio promuovere una bella legge non dico sull’esuberanza, ma quantomeno sul dormiveglia. Basterebbe poco: a esempio che l’onorevole marito aggiornasse il sito anche sulle sue vicende giudiziarie. Semplice no? Forse troppo…

Ma l’onorevole Lussana è stata anche nominata dal suo partito nella Commissione parlamentare antimafia dove – ma voglio essere smentito – non mi risulta che abbia mai preso la parola. E dire che ci sono state finora ben 20 sedute in appena 8 mesi di vita.

A questo punto un’altra domanda vorrei fare. Anche a lei ma soprattutto agli altri “49 membri 49” onorevoli membri della Commissione parlamentare antimafia. Se è vero che le colpe dei padri non debbono ricadere sui figli è altrettanto vero che le colpe degli onorevoli mariti (tutte eventuali e da accertare sia ben chiaro) non devono ricadere sulle onorevoli mogli. Mi chiedo però: non sarebbe il caso che – quando un congiunto prossimo – è indagato, per ragioni di opportunità e decoro politico, il congiunto coinvolto di riflesso presenti le dimissioni da una Commissione così delicata? Io lo farei, ma io sono solo un giornalista…E voi, cari amici di blog, vi dimettereste (lo chiedo a voi perché dubito che la coppia calabro-padana e gli onorevoli membri dell’onorevole Commissione mi rispondano)?

3 – the end (per il momento…)

''Non daro' un euro alla mafia!'' Il grido di un panettiere di San Lorenzo

Dal sito Antimafia 2000
del 29 luglio 2009

di Dora Quaranta
(Giornalista)



Palermo. E’ la prima volta che un commerciante di San Lorenzo alza la voce contro il pizzo ed invita tutti gli altri esercenti ad unirsi a lui.

A Franco Aloisi, 67 anni, titolare del panificio “Il fornaio” ignoti hanno bruciato con la benzina la saracinesca del suo negozio situato nella piazza San Lorenzo, storico mandamento dei Lo Piccolo-Biondino. Aloisi non ci sta al racket ed indignato ha detto: “Dobbiamo reagire senza avere paura e lo deve fare tutto il quartiere. Non darò un euro alla mafia, mi possono squagliare tutto se vogliono. Con questo panificio campo dieci famiglie e già mi basta, qui non c’è denaro per nessuno. Vorrei che anche gli altri commercianti della piazza si unissero a me per opporci a questa situazione assurda”.
Aloisi ha contattato un’associazione antiracket con il fermo proposito di iscriversi, “mi sento distrutto – ha aggiunto – appena due anni fa abbiamo ristrutturato tutto per dare una rinfrescata”.
A partire dal mese di febbraio nella stessa piazza sono stati commessi atti intimidatori contro il bar San Lorenzo, l’Agenzia agricola, boutique di fiori e articoli per giardinaggio e la macelleria Melodia. Il quartiere, dopo l’arresto dei Lo Piccolo, si trova in una situazione di instabilità. Nel dicembre scorso è stato arrestato con l’operazione Perseo Giuseppe Biondino, figlio di Salvatore, autista di Riina. Le intercettazioni avrebbero rivelato che Giuseppe Biondino era intenzionato ad inserirsi nel mandamento con la riscossione del pizzo.
A Palermo Cosa Nostra non ha mai dato segni di cedimento sul fronte del racket nonostante i numerosi blitz delle forze dell’ordine e le denunce delle vittime. Segno del continuo bisogno di liquidità dei mafiosi che devono foraggiare le famiglie dei detenuti. Negli ultimi tempi gli inquirenti hanno riscontrato un cambio di strategia da parte degli estorsori: nessuno si presenta più di persona a chiedere il pizzo, ma ci si fa annunciare tramite una serie di segnali come l’attak nelle serrature, l’incendio della saracinesca, ecc. Gli uomini del racket evitano così di esporsi troppo e si limitano a controllare chi denuncia e chi si mostra disponibile alla “messa a posto”.

''I mandanti impuniti''. Il video integrale della conferenza

I MANDANTI IMPUNITI 1/15 - R. Borsellino




I MANDANTI IMPUNITI 2/15 - Bongiovanni




I MANDANTI IMPUNITI 3/15 - Bongiovanni+Ingroia1




I MANDANTI IMPUNITI 4/15 - Ingroia2




I MANDANTI IMPUNITI 5/15 - Ingroia3




I MANDANTI IMPUNITI 6/15 - Ingroia+S. Borsellino1




I MANDANTI IMPUNITI 7/15 - S. Borsellino2




I MANDANTI IMPUNITI 8/15 - S. Borsellino3




I MANDANTI IMPUNITI 9/15 - S. Borsellino4+de Magistris1




I MANDANTI IMPUNITI 10/15 - de Magistris2




I MANDANTI IMPUNITI 11/15 - de Magistris3




I MANDANTI IMPUNITI 12/15 - Lumia1




I MANDANTI IMPUNITI 13/15 - Lumia2




I MANDANTI IMPUNITI 14/15 - Lumia3




I MANDANTI IMPUNITI 15/15 - Bongiovannni+S. Borsellino