giovedì 23 luglio 2009

"Disinformatia" televisiva

Dal Quotidiano La Repubblica
del 23 luglio 2009

di Giovanni Valentini
(Giornalista)



Una tv alla maniera della Ddr - paragonabile cioè a quella della Repubblica democratica tedesca, la famigerata Germania dell'Est - non è una televisione di Stato, bensì di regime. Una tv che nasconde, occulta e censura le notizie sgradite al governo, o più in generale ai poteri dominanti. E dunque, l'opposto di un servizio pubblico, finanziato dai cittadini attraverso il canone d'abbonamento, tenuto a fornire invece un'informazione corretta e completa all'intera collettività nazionale.

Il giudizio severo espresso dal quotidiano inglese The Guardian sulla televisione italiana piomba con il fragore di un macigno sul tavolo del Consiglio di amministrazione della Rai, convocato oggi per procedere con le nomine al vertice dei telegiornali e delle reti, come hanno autorevolmente sollecitato il Capo dello Stato e il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza. Ma risulta tanto più grave per il fatto - del tutto anomalo nel panorama internazionale - che la nostra tv pubblica è controllata indirettamente da quello stesso governo che già controlla direttamente la tv privata di proprietà del presidente del Consiglio. Siamo, perciò, al doppio regime televisivo; al duopolio di regime; al regime assoluto dell'etere.

Ne abbiamo avuto l'ennesima riprova ieri, dai tg del pomeriggio e della sera, quando il titolo di testa è diventato il rassicurante "Non sono un santo", pronunciato da Silvio Berlusconi con una formula autoassolutoria che rivela in realtà tutta la spregiudicatezza e l'arroganza di chi si considera un impunito o un impunibile. Finora, però, i telegiornali domestici o compiacenti hanno accuratamente evitato di riferire agli italiani che cos'è accaduto in quei set a luci rosse, a Roma o in Sardegna, dove il presidente del Consiglio ha consumato le sue notti hard in compagnia di belle ragazze più che disponibili, ruffiani, traffichini e faccendieri, protetto dagli agenti dei servizi segreti, della Polizia di Stato o dai carabinieri.

È come mandare in onda il finale di un film, senza aver trasmesso il primo e il secondo tempo: nel caso specifico, significa dare solo le notizie favorevoli e gradite al premier, dopo aver tentato di liquidare la vicenda con la giustificazione che si trattava di gossip o di questioni private. Un'informazione parziale, incompleta, a senso unico; subalterna al potere politico; suddita del governo.

A Berlusconi, insomma, viene concesso di replicare e difendersi da accuse che i telespettatori non conoscono bene o non conoscono affatto, se non leggono abitualmente i giornali italiani e quelli stranieri. Così la sua autocertificazione di empietà rischia perfino di apparire incomprensibile alle orecchie di tanti cittadini ignari e teledipendenti che non hanno assistito alle puntate precedenti o ne sono stati informati in modo parziale e distorto dai tg di regime. E pensare che otto elettori su dieci si formano un'opinione proprio attraverso la "disinformatia" a reti unificate.

È troppo pretendere che almeno i telegiornali del servizio pubblico rispettino più rigorosamente la propria funzione istituzionale? Lo "spoil system" al vertice delle reti e delle testate giornalistiche della Rai, vagheggiato dal vice-ministro delle Comunicazioni Paolo Romani e avallato entro certi limiti anche dal presidente della Vigilanza, Sergio Zavoli, non può degenerare evidentemente in un'occupazione "manu militari" della tv pubblica. Per ora non si vedono carri armati intorno al palazzo a vetri di viale Mazzini, ma già si percepiscono i segnali inquietanti di un'offensiva mediatica che minaccia di compromettere definitivamente la legittimità del servizio pubblico e soprattutto la stabilità della vita democratica.

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