domenica 16 agosto 2009

Stragi, il segreto di Stato resta

Dal Quotidiani L'Unità
del 16 agosto 2009

di Claudia Fusani
(Giornalista)



Ci siamo sbagliati, ancora una volta. Nel 2007 è stata approvata la legge di riforma dei servizi segreti che, tra le altre cose, ha ridotto la durata del segreto di stato da 50 a 15 anni, prorogabili fino a un massimo di trenta. La aspettavamo da trent’anni questa legge, perché l’Italia è piena di misteri con la complicità del segreto di stato, stragi e inchieste che non finiscono mai, da piazza Fontana all’Italicus, dal 904 alla strage di Bologna. L’elenco sarebbe lunghissimo. Limitare nel tempo il segreto di stato è una conquista di trasparenza e democrazia. Bene: apprendiamo, in questi giorni, che «ci sono problemi nell’applicazione di questa parte della legge». E i segreti di stato continuano a restare tali.

Ma non è finita qua. La stessa legge (n.124) ha riformato il complesso sistema delle agenzie di intelligence riorganizzando competenze e incarichi; ha dato più poteri ai nostri 007 (le cosiddette garanzie funzionali, in pratica la licenza di reato) mettendoli al pari dei colleghi stranieri e in grado di fronteggiare la sfida del terrorismo e, in parallelo, ha dato anche più poteri al Parlamento (al Copasir) per sorvegliare e controllare. Soprattutto, le legge ha riformato i modi di reclutamento degli 007, un modo per fermare il mercato delle assunzioni per questioni di parentela, amicizia e cordata. Anche questo punto delle legge «ha difficoltà di applicazione».

Potremmo non crederci visto che la legge di modifica dei servizi segreti è stato un lavoro lungo quindici anni, da quando s’è capito che quella del 1978 non era più adeguata perché il mondo nel frattempo è cambiato. Questo hanno scritto, sfumandolo in «ci sono difficoltà di applicazione», il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta che ha la delega ai servizi segreti e il direttore del Dis prefetto Gianni De Gennaro che coordina e sovrintende l’attività di Aise (ex Sismi) e Aisi (ex Sisde). Francesco Rutelli, presidente del Copasir, scrive nella relazione annuale appena consegnata al Parlamento che «con l’approvazione dei regolamenti applicativi è stata data effettiva attuazione alla riforma dell’intelligence». Tutto vero. Solo che i direttori delle agenzie, a regolamenti approvati, hanno rappresentato dubbi e perplessità. Il risultato è che sia le assunzioni che il vincolo del segreto di stato sono bloccati. Per l’esattezza «inapplicati».

La nuova legge prevede che per accedere nei ruoli delle agenzie sia necessario un concorso pubblico, un passaggio tecnico di valutazione di chi lo Stato sta per assumere in uno dei ruoli più delicati della propria amministrazione. È quello che accade, da anni, negli Stati Uniti per i ruoli della Cia o Dia e nel Regno Unito per Mi5 e Mi6. Là funziona, accesso con concorso pubblico. In Italia no: «Le procedure del concorso pubblico in Italia sono tali – è stato spiegato dai direttori di Dis, Aisi e Aise – per cui è impossibile conciliare i meccanismi di un concorso con la segretezza».

Non ci sta Ettore Rosato (Pd), membro del Copasir: «Se ci sono difficoltà nella procedura dei concorsi dobbiamo intervenire, ma il principio è intoccabile: per entrare nei servizi servono selezioni severe». Basta, ad esempio, con favoritismi e corsie privilegiate: nel settembre 2008, un giorno prima che entrassero in vigore i nuovi regolamenti furono assunti all’Aisi 250 agenti. L’ultima grande infornata. Poi con l’obbligo dei concorsi, c’è stato il blocco. Non meno grave è il fatto che non si possa far cadere il segreto di stato sui misteri d’Italia. «Anche qui sono segnalati problemi applicativi – si spiega dal Copasir – ci dicono che devono rinviare, pare non sappiano da quando far decorrere i termini per calcolare i tempi». Scrive Giuseppe de Lutiis (I servizi segreti in Italia, Ed. riuniti): «Il segreto di stato è diventato uno strumento di dominio di prim’ordine».

L’Italia sembra una Repubblica fondata sul segreto. Ha scritto alcune settimane fa su l’Unità Claudio Nunziata, ex pm della strage di Bologna a proposito degli ancora troppi misteri d’Italia: «Occorre che gli storici mettano alla prova la lealtà alle istituzioni esercitando il diritto di accesso agli archivi». Il problema è che quegli archivi continuano ad essere negati.

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