del 4 febbraio 2010
di Caterina Perniconi e Sara Nicoli
(Giornaliste)
Approvato ieri alla Camera, tra le contestazioni dei deputati dell’Italia dei Valori, il provvedimento sul legittimo impedimento. Per due giorni l’aula di Montecitorio è stata impegnata a discutere l’ennesima legge ad personam. Il testo, infatti, consente al premier e ai ministri di “saltare” i processi, di rinvio in rinvio, fino a un massimo di 18 mesi, tempo entro il quale dovrà arrivare un lodo Alfano-bis per lo “scudo” alle alte cariche dello Stato. Con questa norma, quindi, Palazzo Chigi potrà “autocertificare” gli impegni istituzionali del presidente del Consiglio e il giudice dovrà prenderne atto e sospendere il processo. La tensione a Montecitorio è arrivata solo col voto finale al provvedimento, i cartelli con le scritte “casta di intoccabili” o “legittimo impedimento, legittima impunità” sui banchi dell’Idv, le palline di carta lanciate dai banchi della maggioranza. Con il leader del Pd Bersani ad accusare: il legittimo impedimento “è composto da tante norme non semplici, ma la gente capisce una cosa semplice: c'é di mezzo Berlusconi, un premier che non vuole farsi giudicare e tiene ferma l’Italia su questo punto in una folle guerra tra politica e giustizia”. E con il botta e risposta tra il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto e Massimo D’Alema: “Lei, onorevole D’Alema - ha sottolineato l’esponente del centrodestra durante la dichiarazione di voto - ha meno bisogno di avvocati dell’onorevole Berlusconi, sia per un diverso atteggiamento nei suoi confronti di molti magistrati a partire da Di Pietro, sia perché nel passato lei si è potuto avvalere dell’immunità del Parlamento europeo e in quella sede del voto a suo favore dei parlamentari del centrodestra, che non sono garantisti a senso unico come lei”. D’Alema ha preso la parola prima del voto finale: “Non mi sono mai avvalso di alcuna immunità - ha replicato - sono stato indagato per otto anni dalla Procura della Repubblica di Venezia ad opera del giudice Nordio. Questo periodo di otto anni ricopre anche il periodo in cui sono stato presidente del Consiglio. Sono stato indagato, ho risposto alle domande del giudice, l’ho incontrato pur essendo stato segretario del maggior partito di Governo e poi presidente del Consiglio. Dopo otto anni sono stato prosciolto”. Ma per il Pdl un’udienza ogni tre giorni (computo di quelle programmate per il premier nei prossimi mesi) impediscono di governare . Non è impedito, però, chi come Matteoli, Castelli o Brunetta, è candidato a raddoppiare il suo incarico o magari a triplicarlo. Fino a ieri sera la due giorni di discussione si era svolta senza grandi scossoni: in Aula c’è chi parla al telefonino, chi gioca a poker sul pc o chi risponde addirittura ai messaggi su Facebook. La noia dei deputati per l’ennesima discussione pro premier è palpabile e anche il Partito democratico - che considera il legittimo impedimento il minore dei mali tra processo breve e immunità – discute senza enfasi le centinaia di emendamenti presentati per mettere in difficoltà l’approvazione del provvedimento. Fuori dal palazzo non si sentono più i mortaretti degli operai dell’Alcoa ma c’è una manifestazione del “popolo viola” che ha autoconvocato l’iniziativa via e-mail e sms, ricordando che “davanti a Montecitorio non puoi mancare , l’illegittimo impedimento sarà votato e a Berlusconi il processo sarà evitato”.
“Lo si deve a noi - tuona a fine mattinata dall’emiciclo il delfino di Casini, Roberto Rao - se del processo breve non si riparlerà fino a settembre; la mediazione dell'Udc sul legittimo impedimento è servita a questo”. Se fossero vere le parole di Rao varrebbe la pena di fare ai neo democristiani di Casini – che si sono astenuti dal voto sul legittimo impedimento - un monumento al valore. Ma non è così. Il processo breve non è stato affatto cancellato dai calendari dell’aula ma solamente rimandato, probabilmente a settembre, in cerca di una convergenza più ampia. E’ sottinteso che la riforma della Giustizia non è prioritaria come i processi del premier. L’incontro più delicato di ieri, però, è avvenuto lontano dai corridoi di Montecitorio, ovvero al Quirinale. Il ministro Alfano è salito al Colle più alto per sincerarsi che il Capo dello Stato, quando il legittimo impedimento avrà superato con successo anche il voto di palazzo Madama (ossia entro fine mese), non troverà nulla da eccepire e firmerà serenamente la promulgazione. Non si sa come abbia risposto Giorgio Napolitano, ma si sa, invece, che lunedì tre emendamenti della maggioranza che estendevano anche alle più alte cariche dello Stato (i presidenti delle Camere e, appunto, il presidente della Repubblica) sono stati ritirati. Napolitano, in sostanza, non avrebbe gradito che il Quirinale potesse essere coinvolto nel legittimo impedimento.
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