domenica 9 agosto 2009

Censura di Stato sull'informazione

Dal Quotidiano La Repubblica
del 9 agosto 2009

di Giovanni Valentini
(Giornalista)


SAREBBE già grave che un presidente del Consiglio, di centrodestra o di centrosinistra, mettessero sotto accusa il servizio pubblico radiotelevisivo perchè fa il suo dovere: cioè informazione. Perché diffonde le notizie, tutte le notizie, anche quelle sgradite al governo. Ma è gravissimo che in questo si tratti anche del principale concorrente della tv di Stato, il proprietario di quel polo televisivo privato che sta ormai fagocitando l'intero sistema dell'informazione e monopolizzando di fatto la libertà di stampa nel nostro Paese.

Più che un nuovo "editto bulgaro", come lamenta l'opposizione riferendosi all'intervento con cui Silvio Berlusconi da Sofia chiese (e ottenne) a suo tempo il licenziamento di Enzo Biagi e di Michele Santoro, questo è in realtà un diktat sovietico. La pretesa di una neutralità assoluta, ovvero di un'informazione asettica, con l'invito esplicito a non attaccare "né governo né opposizione", equivale in pratica a una censura di Stato, come accade nei regimi anti-democratici, totalitari o dittatoriali. E per smentire l'affermazione secondo cui la nostra sarebbe "l'unica tv al mondo che con i soldi pubblici attacca il governo", basterebbe citare il modello della Bbc, il cui vertice viene nominato dalla Corona e non da Downing Street: fu proprio la televisione pubblica inglese che denunciò le responsabilità del governo di Tony Blair in ordine ai falsi dossier sulle presunte armi di distruzione di massa in Iraq.

L'Italia, semmai, resta l'unico Paese al mondo in cui il premier in carica continua a controllare direttamente tre reti private e indirettamente le tre pubbliche, insediando non solo i vertici della Rai ma anche i direttori e i vice-direttori delle testate, con una proliferazione di posti e di poltrone che proprio nei giorni scorsi ha superato il limite della decenza, all'insegna della più vieta lottizzazione. Un asservimento pressoché totale alla logica del partito-azienda.

In questo clima di regime strisciante, tanto più apprezzabile risulta la reazione con cui il presidente della Rai, Paolo Garimberti, ha replicato al presidente del Consiglio per rivendicare la funzione e il ruolo del servizio pubblico. Ma evidentemente non può essere lasciato solo il presidente Garimberti a difendere il fortino assediato di viale Mazzini. Né possono essere abbandonati al proprio destino i giornalisti dell'azienda.
Ha ragione allora l'associazione "Libertà e Giustizia" a lanciare pubblicamente un "disperato allarme" e a sollecitare un segnale, forte e autorevole, dalle più alte cariche istituzionali: a cominciare dal capo dello Stato, affiancato magari dai presidenti delle due Camere. Anche se il presidente Napolitano era già intervenuto nei giorni scorsi su questo terreno, ora sarebbe quanto mai opportuno un altolà fermo e deciso per impedire lo smantellamento o la demolizione del servizio pubblico televisivo.

Divenuto ormai bersaglio privilegiato di tutta la stampa e di tutte le tv del mondo, a causa di quella che un giornale straniero ha efficacemente definito la sua "libidine geriatrica", il presidente del Consiglio non può pensare di sfuggire alle critiche in virtù di un protezionismo dell'informazione interna. Non sarà attraverso la definitiva normalizzazione della Rai che Berlusconi riuscirà a salvaguardare la sua immagine, la sua credibilità e la sua affidabilità personale. Né tantomeno l'immagine, la credibilità e l'affidabilità dell'Italia sul piano internazionale.

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