sabato 31 ottobre 2009

DAI DIRITTI MEDIASET ALLA CORRUZIONE: IL “NOVEMBRE NERO” DEL PREMIER

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 1 novembre 2009

di Antonella Mascali
(Giornalista)


Se qualcuno ha sperato che Berlusconi, in caso di condanna, si dimettesse, ha sbagliato. Il premier ha chiarito che non lo farà, d’altronde non l’ha fatto neanche quando è uscito dai processi grazie alla prescrizione. A suo carico, il 16 novembre riprenderà il processo Mediaset, il 27 quello per la corruzione di David Mills. Al processo Mediaset Berlusconi è accusato, insieme ad una decina di persone, di frode fiscale. Grazie a una delle sue leggi, la “ex Cirielli” - che ha accorciato la prescrizione - sono state azzerate la frode fiscale per 120 miliardi di lire e l’appropriazione indebita per 276 milioni di dollari, fino al 1999. Il pm Fabio De Pasquale, però, ha mosso una nuova accusa, che ipotizza la frode fiscale fino al 2003. Prescrizione fra un anno e mezzo. Secondo la Procura, Berlusconi a partire dal ‘94, ha accantonato fondi neri, e quindi esentasse, per 280 milioni di euro. Iscrivendo nei libri contabili “maggiori costi” per i diritti tv , ha gonfiato il valore dei magazzini e quindi di Mediaset, favorendo la quotazione in Borsa del ’96, «con l’intenzione di ingannare i soci e il pubblico circa la situazione patrimoniale della società». L’indagine è stata ostacolata anche con operazioni di “spionaggio”. Nel luglio 2003, il ministero della giustizia, guidato da Castelli, ha bloccato una rogatoria Usa. Dopo mesi, il ministro è costretto però a sbloccarla e il 18 dicembre 2003, i pm De Pasquale e Alfredo Robledo hanno inviato il cancelliere Francesco Santoro e altri due collaboratori a Roma, per acquisire le carte. Arrivati in via Arenula, hanno trovato una funzionaria e un’altra dipendente del dipartimento Affari penali - diretto da Augusta Iannini - che stavano rimettendo i documenti negli scatoloni e sigillandoli con lo scotch. Quindi il ministero ha visionato atti d’indagine di una Procura, che per di più riguardavano il premier. Costola dell’inchiesta Mediaset è quella, sempre di De Pasquale, su Mediatrade-Rti. Berlusconi, indagato dall’aprile 2007, è accusato di

concorso in appropriazione indebita. Con il presunto meccanismo dei costi gonfiati, per l’acquisto dei diritti televisivi, avrebbe accantonato 100 milioni di euro. A stretto giro, il pm invierà alle parti il cosiddetto “ avviso di conclusione delle indagini”, anticamera della richiesta di rinvio a giudizio. Anche dalla Svizzera guai in vista, c’è un’inchiesta su riciclaggio a carico di 4 manager Mediaset.

Ma il processo che rende molto nervoso Berlusconi, è quello per la corruzione di David Mills, che per “ aver evitato un mare di guai a mister B”, ha scritto e detto, salvo poi ritrattare, di aver preso 600 mila dollari. Pesano le sue condanne, l’ultima in appello, il 27 ottobre, sempre a 4 anni e mezzo. Tra una decina di giorni sapremo le motivazioni dei giudici, ma già adesso si può dire che anche loro hanno ritenuto Mills colpevole di aver testimoniato il falso, a favore di Berlusconi, al processo Fininvest-Guardia di Finanza, e al processo All Iberian. Nella sentenza di primo grado, i giudici scrivono che la testimonianza di Mills, al processo d’appello Fininvest-Gdf, per il filone Tele+, ha contribuito all’assoluzione per insufficienza di prove di Berlusconi: “Pur fornendo prove dell’esistenza delle off shore non ha indicato alcun elemento idoneo a fondare un giudizio di responsabilità personale di alcuno e in particolare di Silvio Berlusconi…”. Sul processo del mese prossimo al premier, incombe la pronuncia della Cassazione su Mills. Se dovesse confermare la condanna, attualmente (Alfano ha inserito una modifica ad hoc nella riforma del processo penale), quell’eventuale verdetto può essere usato dal collegio che deve giudicare Berlusconi.

L’altro incubo del cavaliere, è la Procura di Palermo, che sta indagando sulla trattativa Stato-mafia . Secondo il neo pentito Gaspare Spatuzza dal ’93 e almeno fino al 2003-2004 c’è stata una trattativa di cosa nostra con Dell’Utri e Berlusconi. Il collaboratore verrà ascoltato dalla corte d’appello che deve pronunciarsi su Dell’Utri, già condannato in primo grado a 9 anni per concorso in associazione mafiosa. Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, che coordina l’inchiesta sulla trattativa, quando gli abbiamo chiesto particolari sulle accuse di Spatuzza, ha risposto: “Ci sono approfondimenti, stiamo valutando l’attendibilità delle dichiarazioni”.

SCASSARE IL PROCESSO MILLS

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 1 novembre 2009

di Enrico Fierro
(Giornalista)


Non mi dimetterò. Mai. Neppure in caso di condanna. Parola di Silvio Berlusconi. Le pagine alle quali il Cavaliere affida l’ennesima sfida alla Giustizia italiana sono quelle del libro di Bruno Vespa, Donne di cuori, in uscita prossimamente ma da giorni oggetto di anticipazioni. “Ho ancora fiducia di magistrati seri che pronunciano sentenze serie basate sui fatti. Se ci fosse una condanna basata su fatti come questi, saremmo di fronte a un tale sovvertimento della realtà che a maggior ragione sentirei il dovere di resistere al mio posto per difendere la democrazia e lo stato di diritto”. Le sentenze, quando sono di condanna, non contano per chi si sente al di sopra della legge. Resistere, resistere, resistere, è il nuovo slogan del Cavaliere. Contro i giudici “comunisti”, le toghe rosse che da anni lo perseguitano. L'unico giudizio che conta è quello del “popolo”. Lo ha detto tante volte Berlusconi: sono stato eletto, quindi solo un nuovo voto potrà mandarmi a casa, altrimenti siamo di fronte ad un “sovvertimento” della realtà. Ma l’avvocato Mills, ricorda Vespa, è stato condannato anche in appello. Berlusconi non fa una piega, “quella sentenza – dice sicuro – sarà certamente annullata dalla Cassazione”.

“È una prova di grande sensibilità... “ è il caustico commento di Pierluigi Bersani. “Marrazzo si è dimesso senza essere non diciamo condannato ma neppure indagato. Il presidente del Consiglio ha invece annunciato che non si dimetterà neppure in caso di condanna. Quelli che hanno legittimamente chiesto le dimissioni di Marrazzo avranno ora il coraggio civile di far sentire almeno un pizzico di sdegno per le affermazioni eversive di Berlusconi oppure fingeranno di non aver sentito?”, si domanda Giuseppe Giulietti, deputato e animatore di “Articolo21”. Parole nette, quelle del capo del governo, che disegnano una strategia di chiara opposizione ad ogni sentenza e di contrapposizione dura con la magistratura. I grimaldelli dell’operazione sono quelli di sempre: riforma del sistema giudiziario e demolizione degli ultimi residui di autonomia della magistratura e dei suoi organi di autogoverno. Ma l’attenzione delle teste d'uovo del Cavaliere da giorni, da quando il Lodo Alfano è stato bocciato dalla Consulta, si è concentrata tutta sulla ricerca di una soluzione alternativa. Spostare tutti i processi che riguardino le alte cariche istituzionali a Roma. È questa l’ultima trovata dell’avvocato del premier Nicolò Ghedini, che però raccoglie molte perplessità in diversi settori del Pdl e della maggioranza. In sintesi si tratterebbe di assestare un colpo ai processi Mills e Mediaset cancellando, di fatto, il concetto del giudice naturale. Una via d’uscita secondaria che non piace all’Associazione nazionale magistrati. Nell’ultima assemblea dell’Anm il presidente Luca Palamara ha detto che i giudici “non possono andare dietro a questi annunci. La giustizia ha bisogno di riforme urgenti e non di soluzioni punitive contro i magistrati”. L’esatto contrario di quello che la maggioranza di governo si appresta a fare: legge sulle intercettazioni, nuove norme ad personam, ritocchi al ribasso sui tempi della prescrizione processuale e colpo d’ascia su Csm e organismi di garanzia.

E IL CAVALIERE SI AUTODENUNCIÒ

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 1 novembre 2009

di Marco Travaglio
(Giornalista)


Quando denunciò per ricettazione il direttore di “Oggi”, Pino Belleri, che nell’aprile 2007 aveva pubblicato le foto del suo harem a Villa Certosa, Silvio Berlusconi non poteva immaginare che due anni dopo avrebbe ricevuto il video di Marrazzo col trans. E che, visionandolo e tenendolo in un cassetto di Palazzo Grazioli, avrebbe rischiato una denuncia per lo stesso reato che lui e l’on. avv. Niccolò Ghedini avevano appena rinfacciato a Belleri (ora imputato a Milano per quelle accuse). Le foto del Cavaliere che, due mesi dopo il Family Day, palleggia e palpeggia sulle sue ginocchia tre procaci “attiviste di Forza Italia” (parole sue), presentano qualche analogia col videotape di Marrazzo. Ma non sono la stessa cosa. La ricettazione scatta quando qualcuno, “al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve o occulta cose provenienti da un qualsiasi delitto o comunque s’intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare”. Pena prevista: “reclusione da 2 a 8 anni”. Ora, le foto di “Oggi” le scattò Antonello Zappadu fuori dalla villa, forse ingrandendole con un teleobiettivo (niente violazione della privacy), o forse usandolo per realizzarle (violazione della privacy). Belleri le acquistò per pubblicarle su Oggi. Secondo Berlusconi e Ghedini, non poteva non capire che le foto erano corpo di un reato (violazione della privacy). Ma, per casi del genere, viste le finalità giornalistiche, il Codice prevede il “reato speciale” (e minore) di pubblicazione di materiale acquisito in violazione della privacy. La ricettazione invece è una fantasia del duo Ghedini-Berlusconi. Ma si applica a pennello al caso Marrazzo. Il video è girato da carabinieri delinquenti che irrompono in casa del trans (violazione di domicilio), filmano due persone seminude (violazione della privacy), costringono con la forza Marrazzo a firmare tre assegni (violenza privata ed estorsione), poi tentano di vendere il videotape a vari giornali (Oggi, Libero, Chi, Panorama), giornalisti ed editori (Feltri, Signorini, Belpietro, famiglia Berlusconi, Angelucci). Chi lo riceve o lo occulta o s’intromette nel farlo acquistare, ricevere od occultare, che intenda pubblicarlo o meno, precipita nella ricettazione: il video infatti deriva da reati ben più gravi della violazione della privacy. Ergo niente reato speciale (e minore). Semprechè, ovvio, si intenda ricavarne profitto e si sappia che il dvd è “proveniente da delitto”. Ma, per capirlo, bastava guardarlo: Marrazzo, in mutande con un trans in una casa privata, implora pietà (“non mi rovinate”) e teme che gli estorsori abbiano chiamato “i giornalisti sotto”. Più chiaro di così… Signorini riceve il video e s’intromette per farlo acquistare da Libero e da Panorama; Marina Berlusconi lo riceve; come pure papà Silvio, che se lo guarda con comodo, lo conserva per due settimane, poi s’intromette nel farlo occultare: infatti chiama Marrazzo per dirgli di comprarselo da Photomasi e farlo sparire; poi avverte Signorini, che mette in allerta l’agenzia: “La chiamerà Marrazzo”. Oltretutto, per non incappare nell’accusa di conflitto d’interessi, il Cavaliere è costretto a dire di aver ricevuto il video dalla figlia non come editore, ma come padre, e di aver telefonato a Marrazzo come premier per fargli “una carineria”. Dunque, almeno sulla carta, ci sarebbero tutti gli estremi per indagare per ricettazione un bel po’ di gente (e non solo il carabiniere che aveva il dvd in casa e lo mostrò il video all’inviato di Oggi). Decideranno i magistrati se l’articolo 648 del Codice penale si applichi al caso concreto e nei confronti di chi. Ma una cosa è certa: per come Berlusconi intende la ricettazione nella sua denuncia a Belleri, Berlusconi ha commesso una ricettazione. Riletta oggi, quella denuncia è un’autodenuncia.

I grandi fratelli che minacciano la Rete

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 1 novembre 2009

di Andrea Cairola
(Giornalista)


Un giorno il vostro provider Internet potrebbe impedirvi di consultare il vostro blog preferito, o di usare software di telefonia via Internet come Skype. O immaginate che vi notifichino che non potere più accedere alla Rete, come rimanere senza patente dopo una serie di violazioni del codice della strada.

È quello che potrebbe capitare a breve se il “Pacchetto telecom” sarà approvato dall’Ue così come di recente modificato su pressione della potente lobby delle compagnie telefoniche. Il Pacchetto è l’insieme di regolamenti sull’industria europea delle telecomunicazioni e dell’accesso a Internet via Adsl e rete mobile, che secondo gli attivisti sarà la Caporetto della libertà della Rete, almeno così come l’abbiamo conosciuta.

I principi in ballo sono due e interrelati: la neutralità della Rete e il diritto diaccesso a Internet. La “Net Neutrality” è la neutralità dell’infrastruttura rispetto ai contenuti che vi transitano. Significa accesso allo stesso Internet per tutti gli utenti: i provider e gli altri operatori della Rete non possono discriminare sui contenuti o interferire con la navigazione degli internauti, così come al telefono non c’è un filtro su quello che si può dire.

Oggi in Italia un internauta può accedere con uguale facilità al sito del grande media mainstream, così come alle pagine del blogger semisconosciuto. Nel futuro un fornitore non neutrale potrebbe invece, per ragioni commerciali (o altre convenienze, per esempio politiche), velocizzare l’accesso ai siti “amici” e rallentare l’accesso a quelli non graditi. E nell’era dell’Internet multimediale e della banda larga, rallentare equivale a filtrare e oscurare. Se non c’è neutralità della rete, un Internet a due velocità sarebbe come un’autostrada dove le macchine di un certo costruttore che ha pagato viaggino ai 130 nella corsia di sorpasso mentre tutti gli altri debbano rimanere nella prima corsia ai 50 all’ora.

Altro principio in ballo è l’accesso a Internet, da considerarsi un diritto fondamentale così come il diritto all’informazione in generale. Provvedimenti (come la legge Hadopi in Francia) che vietino l’accesso a chi ha commesso violazioni, sarebbero come dire a chi ha fotocopiato illegalmente un libro protetto da copyright che non può più usare le mani per sei mesi. Decisioni ancora più discutibili se imposte senza l'intervento di un giudice.

Torniamo all'elaborazione a Bruxelles del “Pacchetto telecom”, ormai alle battute finali dopo oltre due anni di accese discussioni. La prima bozza è stata preparata dalla Commissione europea e, secondo gli attivisti pro libertà della Rete, risentiva chiaramente della pressione delle lobby delle compagnie telefoniche e non faceva riferimento ai principi fondamentali della neutralità della rete e dell’accesso a Internet. A questo punto, nel tortuoso meccanismo delle decisioni Ue, è intervenuto il Parlamento europeo che la scorsa primavera ha votato a stragrande maggioranza (88 per cento) per l’inclusione di una modifica al testo che riconoscerebbe le libertà fondamentali anche su Internet.

Ma il Parlamento europeo conta poco: ai rappresentanti del Parlamento tocca poi difendere l’emendamento con il Consiglio (ovvero i governi dell’Ue). E la settimana scorsa il testo che tutelava le libertà fondamentali degli internauti è saltato durante le trattative. Nel blog Scambioetico.org   Paolo Brini denuncia:“l’istituzione di una giustizia” parallela indipendente dalla magistratura” che colpirebbe i cittadini “sulla base di semplici sospetti”. Brini spiega che giovedì prossimo è prevista la riunione dei delegati parlamentari con i rappresentanti del Consiglio: se ci sarà accordo sul testo senza i diritti fondamentali la frittata sarà fatta.

Reporter senza frontiere definisce come “incomprensibile” il comportamento delle istituzioni europee. Negli Usa la questione della neutralità della Rete era esplosa nel 2006 quando i fornitori di Internet cercarono di farsi assimilare a chi offre la tv via cavo. Migliaia di cittadini-internauti del movimento “Salvare Internet” protestarono a Washington davanti al Congresso. Dopo anni di battaglie tra la lobby degli Internet provider e i rappresentanti dei fornitori dei contenuti e dei cittadini, il principio di neutralità della rete è ora una bozza di legge che si prevede sarà approvata a breve.

“Contromafie” libere di gridare

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 1 novembre 2009

di Gian Carlo Caselli
(Procuratore della Repubblica di Torino)


Un successo straordinario. E’ il bilancio degli “Stati generali dell’antimafia” organizzati da “Libera” una settimana fa. Significativa la presenza del Capo dello Stato, che ha voluto in particolare esprimere la sua vicinanza ai tantissimi familiari delle vittime di mafia presenti. Bellissime e profonde le parole con cui Luigi Ciotti e Barbara Spinelli hanno concluso la tre giorni. Ma decisiva la partecipazione di un mare di giovani, circa 2500, affluiti a Roma da ogni parte d’Italia, con massicci contributi di ragazzi europei e sudamericani.

Una partecipazione attiva, con ben 17 gruppi di lavoro, impegnati su temi articolati in modo da non tralasciare nessun profilo direttamente o indirettamente legato alla criminalità mafiosa. Ecco dei giovani, tanti giovani, capaci vivere il presente con radicalità, senza cedere alla rassegnazione e all’indifferenza.Coraggiosinelsaperrespingeregliidolidella seduzione e del consenso, per lavorare invece ad una comunità finalmente capace di vincere le ingiustizie, ripartendo dalla Costituzione. Giovani dotati di un’eccezionale capacità di critica argomentata e intelligente. Percepiscono che la legalità – in Italia passando sempre più di moda. Registrano pessimi esempi in alto loco. Sintetizzati negli scudi fiscali, che sono un grande regalo al grandi evasori e un grande insulto agli onesti. Eppure si rendono conto che senza regole non c’è partita o la partita è truccata: e la vincono sempre i “soliti noti”, quelli che di regole – per conservare i loro privilegi e prevaricare gli altri –non hanno proprio nessun bisogno. Così si spiega perchéquestigiovani,purcontrocorrente,continuinoabattersi per la crescita del tasso di legalità in Italia.

I giovani di “Libera” avvertono con chiarezza che vi è unoscartocrescentefralaveritàecertapolitica,sempre più incline alla propaganda e al disprezzo per la realtà dei fatti. Arrivano a questa constatazione per molte vie. Ad esempio ragionando sul progetto di riforma delle intercettazioni. Ragionando, capiscono che è una falsità dire che in Italia vi sono troppe intercettazioni. Semmai troppe (per un paese normale) sono le manifestazioni del crimine organizzato, della corruzione, della mala-amministrazione, della malasanità, della malapolitica. Troppe sono le attivitàdeitrafficantididroga,armi,rifiutitossici,esseri umani…..Troppe sono le attività delinquenziali, non leintercettazionichecercanodicontrastarle.Inogni caso, che le intercettazioni siano troppe non è neppur vero in assoluto: alla Procura di Torino, nel 2008 sono stati trattati 154.232 procedimenti, e solo nello 0,2 per cento di essi vi sono state intercettazioni. Altra falsità è che le intercettazioni costano troppo. In verità, assai spesso esse si ripagano da sole, consentendo di confiscare beni per milioni di euro che rimpinguano le casse dello Stato. Per tacere del fatto che leintercettazioniinmoltissimicasisalvanoviteumane: e basterebbe una sola vita salvata per ripagare qualunque costo delle intercettazioni. Infine, dire che la riforma delle intercettazioni eviterà abusi ( divulgazione di conversazioni estranee all’oggetto del processo o relative a soggetti estranei al processo) è vero, perché nella riforma sono previsti paletti rigorosi al riguardo. Ma fissati questi paletti, é una falsità presentare la riforma come necessaria anche là dove essa azzoppa le intercettazioni nonostante che il rischio di abusi sia azzerato. Questo azzoppamento serve solo a coprire i vizi (pubblici e privati) di chi impunità va cercando, anche a costo di picconare la sicurezza dei cittadini “comuni”. Ai quali la propaganda nasconde che le intercettazioni ( secondo stime per difetto) saranno ridotte almeno della metà, con la conseguenza che almeno la metà degli assassini, rapinatori, stupratori, pedofili, usurai, estortori, corruttori, bancarottieri e via elencando oggi assicurati alla giustizia la faranno franca: alla faccia – appunto – della sicurezza degli ignari cittadini.

Centrale,nelserratodibattitodi“Contromafie”,èstata la questione dell’indipendenza della magistratura. Chiaramente percepita dai giovani di “Libera” non come privilegio di casta dei magistrati, ma come patrimonio dei cittadini tutti. Essendo evidente – a chi sappia dissipare i fumi della black propaganda – che l’indipendenza è premessa indispensabile perché la giustizia possa aspirare a diventare eguale per tutti. Perché se c’è qualcuno che può ordinare ai giudici di dare addosso a questo e risparmiare quello, la giustizia sarà amministrata per favorire o danneggiare qualcuno, non per assicurare pari tutela ai diritti di tutti. Chi è capace di critica argomentata, avverte con facilità che gli interventi programmatidall’attualemaggioranza(CSM,separazione delle carriere, rapporti PM/PG, nuovo processo penale) non sono riforme della giustizia - condannata da alcuni di questi progetti a funzionare ancor peggio – ma dei giudici, pericolosi soggetti cui chi non ama i controlli vorrebbe quanto meno tagliare le unghie. In attesa di questo, ci si porta avanti col lavoro cercando di spingere i magistrati verso scelte di basso profilo, verso forme di burocratizzazione della giurisdizione. Così il “palazzo” tenta di resuscitare la formula (cancellata da qualche secolo di evoluzione) del giudice “bocca della legge”, traducendola nell’ordine di applicare la legge senza interpretarla, perchè prevalga sempre e comunque la volontà del potere. Così, l’ignoranza del dato di fatto che l’interpretazione è la quint’essenza dell’attività di qualunque giudice onesto e indipendente, si intreccia con lo sprezzo del ridicolo. Perché basta confrontare l’art. 575 del codice penale ( chiunque cagiona volontariamente la morte di un uomo……) conl’art.589(chiunquecagionapercolpalamortedi una persona…) per capire come – senza interpretazione – l’omicidio volontario della donna resterebbe…. impunito. Prova evidente che i problemi della giustizia sono un po’ più complessi di quel che certi disinvolti pseudo-riformatori vorrebbero farci credere.

SVIZZERA E BERLUSCONI LA MINACCIA DI RACCONTARE TUTTO

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 31 ottobre 2009

di Stefano Feltri
(Giornalista)


Sul tabloid svizzero “Blick” compare ieri una frase che lascia intendere, al di là della sua fondatezza, quale potrebbe essere il prossimo livello dello scontro diplomatico tra Svizzera e Italia innescato dallo scudo fiscale. “Se io parlassi, il governo italiano cadrebbe in un giorno, non c’è alcun esponente del governo, nessuno nel mondo dell’economia italiana che non abbia un conto in Svizzera”. E soprattutto: “Grazie al silenzio degli avvocati e delle banche ticinesi non è ancora chiaro da dove sono arrivati i milioni che hanno permesso il sorgere dell’ impero costruito attorno alla Fininvest”. Sono frasi attribuite a un banchiere anonimo che si sarebbe confidato con “Blick”, ma indicano che ormai la guerra con la Svizzera è passata a un altro livello. La miccia l’hanno accesa le perquisizioni di questi ultimi giorni nelle filiali italiane di alcune banche svizzere, con la Finanza che cerca di spaventare gli evasori per convincerli a regolarizzare la propria posizione pagando allo Stato la penale (5 per cento della somma). Il fatto che siano stati violati anche gli uffici di banche ovattate e di riferimento di ricchi clienti piemontesi e lombardi, come Pictet, non ha lasciato indifferenti .

Poco importa se le dichiarazioni anonime di “Blick” siano davvero di un banchiere o ispirate da ambienti diplomatici che vogliono mandare un messaggio al governo italiano. Perché Berlusconi ha davvero rapporti con la Svizzera, e gli svizzeri - se vogliono - sanno creare problemi. Se n’è accorta anche Veronica Lario, moglie di Berlusconi ora sulla via del divorzio, che da mesi riceve ispezioni delle autorità comunali nella casa (intestata alla madre, Flora Bartolini) che ha a Schanf in Engadina. I lavori di ristrutturazione dell’immobile dovevano essere completati entro ottobre perché il paese non tollera cantieri eterni che ne turbano l’armonia ma, forse per le procedure di divorzio, stanno andando per le lunghe. Queste sono minuzie, però, rispetto ai problemi che potrebbero derivare al Cavaliere dalle banche svizzere. “Nessuna banca svizzera seria vuole avere a che fare con un cliente come Berlusconi, ma escludo che qualcuno si spinga a rivelare le sue operazioni riservate, visto che il segreto bancario per la Svizzera è ancora fondamentale”, dice al “Fatto Quotidiano” un private banker di un istituto svizzero che opera in Italia.

La banca Arner, con la sede principale a Lugano e filiali da Dubai alle Bahamas, è quella a cui si affida da anni Berlusconi a Milano per la gestione del suo patrimonio personale e, anche se il suo slogan è “facciamo emergere i vostri valori”, mai rivelerebbe qualcosa degli affari berlusconiani negoziati nelle sue stanze. La Arner è stata coinvolta in una recente inchiesta per riciclaggio e Nicola Bravetti (direttore fino al 2007 della filiale italiana) è stato arrestato a maggio 2008 su richiesta della procura Antimafia di Palermo per i suoi rapporti professionali con un imprenditore siculo condannato per associazione mafiosa. Dopo il commissariamento da parte della Banca d’Italia, è finito sotto inchiesta anche il commissario mandato da Mario Draghi, Alessandro Marcheselli per anomalie nella gestione. Alla Arner bank, come ha rivelato Peter Gomez, Silvio Berlusconi ha il conto numero uno. E infatti la banca è coinvolta nel processo al Cavaliere e a David Mills, appena condannato in appello, per i diritti cinematografici comprati a prezzi gonfiati a Mediaset (con il conseguente sospetto di fondi neri accumulati all’estero).

Il vero pericolo, quindi, per Berlusconi e il suo governo è che nel dibattito pubblico entrino i trascorsi personali, i rapporti con i paradisi fiscali che si è cercato di far dimenticare. Visto che, dal G8 al G20 (dove si invocavano sanzioni ai Paesi non cooperativi con l’Ocse su trasparenza e segreto bancario), la posizione dell’Italia è sempre stata a parole molto dura. Se si comincia a parlare del passato, potrebbero riemergere storie professionali, legittime ma politicamente forse inopportune da rievocare in questo momento, come quella di Giulio Tremonti. Oggi è il ministro dell’Economia che invoca standard legali per le buone prassi finanziarie e che, per garantire l’efficacia dello scudo, va alla guerra contro le banche dei paradisi fiscali scatenando l’Agenzia delle entrate addirittura contro la famiglia Agnelli. Nel 1995, però, quando ancora la sua carriera politica era agli inizi, il professor Tremonti lavorava per la Banca centrale di San Marino come “ispettore vigilanza credito e valute” (con un compenso annuale di 78 milioni di lire) insieme ad Aldo Loperfido e al professor Giovanni Manghetti. Un rapporto cominciato - secondo quanto risulta al “Fatto” - già dieci dieci anni prima, nel giugno del 1985, quando il nome di Tremonti compare per la prima volta nella rosa dei candidati all’Ispettorato per il credito e le valute i cui membri vengono nominati dal Consiglio Grande e Generale (il parlamento sanmarinese). Oggi il ministro non è più molto ben visto nel paradiso fiscale romagnolo. “Ci trattano malissimo, siamo indignati”, si è sfogato di recente un esponente del governo di San Marino.

PROCESSO MILLS, B. TORNA IMPUTATO MAFIA, ADESSO DELL’UTRI TREMA

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 31 ottobre 2009

di Giuseppe Lo Bianco
(Giornalista)


Bocciato il lodo Alfano, a Milano il Tribunale fissa per il 27 novembre il processo a Silvio Berlusconi, accusato di avere corrotto l'avvocato inglese David Mills, condannato a 4 anni e 6 mesi proprio per corruzione. A Palermo la Corte di Appello ritiene ''rilevanti'' le parole del pentito Gaspare Spatuzza, che ha accusato il premier di essere il terminale della trattativa tra Stato e mafia nella stagione delle stragi del '93 e ammette in aula la testimonianza del collaboratore di giustizia. Sull'asse Milano-Palermo arrivano due notizie destinate a togliere il sonno al premier e ai suoi legali, preannunciando un autunno assai caldo per Berlusconi, chiamato di nuovo nelle aule giudiziarie per spiegare e difendersi.

Nel capoluogo lombardo i magistrati bruciano i tempi dopo la pronuncia della Consulta che bocciando il lodo Alfano ha acceso il semaforo verde per il dibattimento che dovrà verificare l'accusa al presidente del Consiglio. E sono proprio i tempi a non lasciare tranquilli i legali del premier: la sua prescrizione dovrebbe arrivare intorno all’estate 2011 ma se tutto resta come ora e Mills venisse condannato definitivamente, la sua sentenza diverrebbe una prova difficile da ignorare nel processo Berlusconi perché di fatto accerterebbe che se c’è un corrotto c’è anche un corruttore.

Invece a Palermo, dopo avere respinto l'audizione di Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso, per il contenuto contraddittorio delle sue rivelazioni, la corte di appello ha ammesso la testimonianza di Gaspare Spatuzza, il killer pentito di Brancaccio, braccio destro dei boss stragisti Filippo e Giuseppe Graviano che in alcuni interrogatori ha sostenuto che i referenti politici della trattativa nel periodo delle stragi del '93 erano Berlusconi e Dell'Utri, quest'ultimo condannato in primo grado a 9 anni per concorso in associazione mafiosa. E c'è attesa a Palermo per le nuove rivelazioni che puntano ''in alto'', chiamando in causa direttamente il premier come interlocutore di quella fase della trattativa con Cosa Nostra: non è escluso che la corte, dopo avere ascoltato le parole di Spatuzza, citato dal pm Nino Gatto, possa disporre nuovi accertamenti, tra cui un nuovo interrogatorio di Berlusconi a palazzo Chigi sui suoi presunti rapporti con la mafia. Esperienza non nuova per il premier che venne interrogato sei anni fa, sempre a palazzo Chigi, dal Tribunale presieduto dal giudice Leonardo Guarnotta in trasferta a Roma: in quella occasione si avvalse della facoltà di non rispondere consigliato dai suoi legali. ''Avevamo messo nel conto questa decisione - ha detto ieri l'avvocato Giuseppe Di Peri, legale del senatore - anche se per noi le dichiarazioni di Spatuzza sono assolutamente non provate". Adesso la corte deciderà il prossimo 6 novembre data e luogo dell'interrogatorio di Spatuzza, dopo avere acquisito e depositato anche i verbali che il collaboratore ha reso alla magistratura di Caltanissetta. I giudici, infine, decideranno solo dopo avere sentito il pentito se citare sul banco dei testimoni, come sollecitato dal pm, i tre capi mafia Giuseppe e Filippo Graviano e Cosimo Lo Nigro, testimoni, secondo Spatuzza, dei colloqui nei quali egli avrebbe appreso del ruolo di Berlusconi e di Dell'Utri. Sono due, infatti, gli incontri a cui avrebbe partecipato anche Lo Nigro, nei quali, prima con Giuseppe e poi con il fratello Filippo, Spatuzza apprese che tra Cosa nostra e lo Stato era in corso una trattativa, che sarebbe durata fino al 2004, e che i referenti politici dei boss erano proprio Dell'Utri e Berlusconi.

E POI CI PENSA SIGNORINI

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 31 ottobre 2009

di Marco Lillo
(Giornalista)


Quelli che riportiamo qui sotto sono i passaggi più interessanti dei verbali delle tre testimonianze che riscostruiscono le trattative per la cessione del video che ritraeva l’ex presidente del Lazio Piero Marrazzo con un trans. I protagonisti delle trattative che parlano con i pm romani sono Antonio Tamburrino, il carabiniere arrestato con l’accusa di ricettazione che ha trattato il video per conto dei suoi colleghi che l’avevano girato. Il fotografo Massimiliano Scarfone che ha fatto da tramite tra Tamburrino e gli altri carabinieri e l’agenzia Photomasi e infine Carmen Pizzutti in Masi , della Photomasi che lo ha proposto al direttore di Chi, Alfonso Signorini.

Dai verbali emerge nettamente il ruolo fondamentale di Signorini.

Verbale di Massimiliano Scarfone:

“Per quanto raccontatomi da Carmen iI video è stato fatto visionare dall’agenzia anche a personaggi importanti, come Berlusconi che, pare, era assolutamente contrario all'acqulsto del video. Almeno cosl mi stato riferlto”.

Verbale di Carmen Pizzutti: “in data 04.08.2009 II nostro freelance Scarfone Massimiliano, mi incontrava presso la sede della società per cui lavoro per proporci una nuova vendita di non meglio specificato video, per iI tramite di un suo conoscente che era in contatto con individui dl Roma in possesso del predetto filmato, da consegnare per la vendita per un ipotetico importo dl 100 mila euro. ...In tale occasione Scarfone ci rivelava il contenuto del filmato e in particolare che II Presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo era all'intemo dl un'abitazione parzialmente vestito, in compagnia di un transessuale nonché dl un piatto contenente della polvere bianca e varie banconote. ....Interessati alla visione del filmato per la successiva eventuale proposta commerciale decidevamo di partire iI 7 agosto 2009 in treno per Roma ove incontrare iI proponenti del video. ...

fallita la trattativa con II gruppo RIZZOLI (settimanale OGGI) contattavo verso I

primi di ottobre del 2009 iI gruppo MONDADORI nella persona di Alfonso SIGNORINI, non ricordo se sull'utenza cellulare o tramite la sua segreteria, proponendogli

il filmato senza specificare il contenuto. Dopo qualche giorno ho incontrato Alfonso SIGNORINI a Cologno Monzese all'interno degli studi Mediaset specificando i contenuti del filmato. Signorini mi diceva che poteva interessare ma doveva consultarsi, senza senza specificarmi con chi, ma che comunque era necessaria Ia visione della stesso ... Il 5 ottobre 2009 intorno alle 11 io e mio marito a bordo della nostra Smart ci recavamo presso la stazione di Milano Centrale, ove dovevamo incontrare Antonio, cosa che avveniva ed In tale frangente lo stesso ci consegnava un cd all'intemo dl una custodia rigida priva di segni di riconoscimento. Una volta In possesso del cd, mio marito, rimasto con Antonio; mentre io a bordo della Smart ml sono recata presso lo studio del nostro legale ELLER VAINICHER, che ml stava attendendo sul marclapiede. Subito dopo ci siamo recati a Segrate presso gil ufficl della MONDADORI ove ci attendeva Alfonso SIGNORINI. Preciso che SIGNORINI, data Ia sua riservatezza ed in raglone del fatto che non conosco personalmente II nuovo direttore di Panorama Molé rappresentava per me II tramite più affidabile per entrare in contatto con direttori dl altre testate giomalistiche del gruppo MONDADORI. Nell'ufficio dl SIGNORINI, alla mia presenza e del mio avvocato, io stesso ho Inserito il cd nel suo PC per visionare iI filmato senza riusclrci per

probleml dl natura, credo, tecnlca. A seguito di ciò siamo scesi nel piani seminterrati ove esiste una struttura tecnlca, e in un pc finalmente SIGNORINI, sempre con me ad II mlo awocato presenti, è riuscito alla presenza anche dl un suo tecnlco a visionare iI tutto, nonostante la scarsa qualità delle immaglnl e dell'audio, quasi assente. SIGNORINI dopo averlo vlsIonato, mi ha chiesto dl lasciargli iI cd, per consentire la visione ad altrl membrl della MONDADORI. A fronte dl questa rlchiesta, acconsentivo anche dopo essermi consigliata con II mio awocato, pertanto acconsentivo affinché copiassero iI fllmato, facendoml rilasclare una ricevuta su carta intestata "Sorrisi e Canzoni” con la dicitura “ricevo dalla signora MASI Carmen un dvd di un filmato in visione, firmato In calce Alfonso SIGNORINI. Tornavo presso i miei uffici dove ad attendermi vi era Antonio, al quale spiegavo la situazione, ribadendo, come gli

fatto In precedenza con l0 SCARFONE, che la nostra richiesta sarebbe stata,

qualora concluso I'affare, In-torna a 100mlla euro, dl cui II 70 per cento a loro e il 30 per cento a noi. ...mio flglio Simone, anch'egli impiegato presso la PHOTOMASI, realizzava sul suo pc una copia, e subito dopo Antonio, convinto dl non essere visto da mio figlio, spezzava In due parti II suo cd gettandolo In un cestino. Subito dopo Antonio, a cui nel frattempo mio marito aveva acquistato presso un'agenzia dl viaggio pagandola con la propria carta dl credlto, iI biglietto aereo per Napoli, con partenza da Milano

sempre II 5 ottobre 2009. Dopo qualche giomo, Signorini mi ha richiamato dicendomi che ci poteva essere un interesse da parte di Libero, con compenso dl 100 mila euro, chiaramente con pubblicazione del tutto. Io subito dopo, ho comunicato iI tutto a Scarfone e questi, dopo qualche ora, mi rispondeva, anche in relazione alla cifra da destinare all'avvocato, che i soggetti non erano più interessati a concludere, e nonostante ciò provavo a convincerlo a insistere nel chiudere la trattativa, restando In attesa dl capire la cifra In relazione alla quale vendere II un sms ricevuto da Gianluigi NUZZI, anch'egli giomalista, con II quale lo informava dell'esistenza del filmato in parola, e se non ho capito male con due trans e iI noto personaggio, e in vendita a circa 20mila euro. A fronte di ciò, specificavo che iI video era in mio possesso e che per I'eventuale acquisto, in relazlone all'importo, ci saremmo dovuti risentire. Terminato l'incontro ho chiamato SCARFONE riferendogli iI contenuto della conversazione con BELPIETRO, sottolineando che a Roma "questi" stavano facendo vedere iI filmato, per cui avevo bisogno dl capire cosa fare, e in particolare che, dopo ulteriore telefonata con SIGNORINI, dovevo incontrare mercoledi 14 ottobre 2009, I'editore del quotidiano, omettendogli di dire a SCARFONE espressamente trattarsi dl ANGELUCCI.

L’UTILIZZATORE FINALE & SOCI RISCHIANO LA RICETTAZIONE

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 31 ottobre 2009

di Marco Travaglio
(Giornalista)


Pare che uno si diverta a tirare in ballo Silvio Berlusconi anche nel caso Marrazzo. Come se in quella vicenda l'avessero trascinato per i capelli i soliti comunisti. Invece, tanto per cambiare, il presidente del Consiglio ha fatto tutto da solo. O meglio, in tandem con il suo spin doctor e king maker, al secolo Alfonso Signorini, direttore di “Chi” e “Sorrisi e canzoni” (Mondadori), con la partecipazione straordinaria di altri suoi attuali o ex dipendenti: Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro. Grazie alle inchieste di Annozero e ai primi verbali depositati dalla Procura di Roma al Riesame, siamo finalmente in grado di mettere in fila i fatti in ordine cronologico. Ogni commento è superfluo.

3 LUGLIO. Irruzione di tre carabinieri deviati e del loro confidente Gianguarino Cafasso, spacciatore salernitano, nell'appartamento di Natalì che ospita il governatore del Lazio, Piero Marrazzo, in via Gradoli 96. Ne esce almeno un video di 13 minuti compromettente per il governatore associato a trans e coca, non si sa se girato dal pusher o da un militare (nel caso che il video fossero due, il primo sarebbe opera di un trans e l’altro da un carabiniere). Marrazzo implora i carabinieri di non rovinarlo, teme che abbiano avvertito la stampa, quelli gli portano via qualche migliaio di euro e lo costringono a firmare tre assegni, ma poi non li incassano. Non sono loro che faranno il ricatto: sarà qualcun altro, al qualepasserannoilvideo,olanotizia,oil video e la notizia, in cambio di denaro. Fin da subito è chiaro a tutti che il video è un corpo di reato, frutto di una perquisizione abusiva e violenta, in violazione della privacy di Marrazzo e del domicilio di Natalì, dunque chi lo sa e lo “acquista, riceve, od occulta” ugualmente commette il delitto di ricettazione.

11 LUGLIO. Cafasso, tramite il suo avvocato, contatta Libero ancora diretto da Vittorio Feltri per vendere il video.

15 LUGLIO. Due croniste di Libero incontrano Cafasso, che mostra loro due minuti del video (il resto, dice, riprende volti che “non si devono vedere”). Le croniste informano il loro direttore Feltri che decide di non acquistarlo. Ma da allora sa. Negli stessi giorni sta trattando con Berlusconi per tornare al Giornale (ha raccontato in agosto a Cortina: “Il 30 giugno scorso ho incontrato Silvio Berlusconi. Ogni volta che lo vedevo mi chiedeva: ‘Ma quand'è che torna al Giornale?’. E io: ‘Sto bene dove sono’. Ma quel giorno entrò subito nei dettagli, fece proposte concrete e alla fine mi ha convinto”). Possibile che Feltri non dica niente a Berlusconi di quel che sa su Mar-razzo?

AGOSTO. Morto improvvisamente Cafasso, il video tentano di venderlo i carabinieri deviati, tramite il paparazzo Max Scarfone (già protagonista delle foto a Silvio Sircana alle prese con un altro viado). Scarfone attiva Carmen Masi, titolare dell'agenzia milanese “Photomasi”. Che contatta il settimanale “Oggi” (gruppo Rcs, la stessa rivista che tre anni fa acquistò le foto di Sircana per 100 mila euro, ma non le pubblicò).

21 AGOSTO. Feltri lascia Libero per andare a dirigere Il Giornale, al posto di Mario Giordano. Belpietro lascia Panorama per andare a dirigere Libero. Giordano saluta così i lettori del Giornale: “Nelle battaglie politiche non ci siamo certi tirati indietro (…). Ma quello che fanno le persone dentro le loro camere da letto (siano essi premier, direttori di giornali, editori, ingegneri, first lady, bodyguard o avvocati) riteniamo siano solo fatti loro. E siamo convinti che i lettori del Giornale non apprezzerebbero una battaglia politica che non riuscisse a fermare la barbarie e si trasformasse nel gioco dello sputtana-mento sulle rispettive alcove”.

28 AGOSTO. Feltri esordisce da par suo al Giornale, tirando fuori il primo dossier: una vecchia condanna di Dino Boffo, reo di pallide critiche al premier, per molestie su una ragazza. E spiega: “Quando la politica si trasforma e si svilisce scadendo nel gossip , quando gli addetti all'informazione si rassegnano a pescare sui fondali del pettegolezzo spacciando per notizie le attività più intime degli uomini e delle donne, fatalmente la vita pubblica peggiora e riserva sorprese cattive. E se il livello della polemica è basso, prima o poi anche chi era abituato a volare alto, o almeno si sforzava non perdere quota, è destinato a planare per rispondere agli avversari. La Repubblica da tempo si dedica alla speleologia e scava nel privato del premier, e l'Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, ha pure messo mano al piccone per recuperare materiale adatto a creare una piattaforma su cui costruire una campagna moralistica contro Silvio Berlusconi, accusato condurre un'esistenza dissoluta in contrasto con l'etica richiesta a una persona che ricopra cariche istituzionali. Mai quanto nel presente periodo si sono visti in azione tanti moralisti, molti dei quali, per non dire quasi tutti, sono sprovvisti titoli idonei. Ed è venuto il momento di smascherarli. Dispiace, ma bisogna farlo affinché i cittadini sappiano da quale pulpito vengono certe prediche. Cominciamo da Dino Boffo...”. Seguiranno Ezio Mauro, Carlo De Bendetti, Gianfranco Fini, Enrico Mentana, Michele Santoro, Giulio Tre-monti.

1° SETTEMBRE. Giangavino Sulas, inviato di Oggi, accompagnato da due dei carabinieri deviati, visiona il solito spezzone del video. E, in mancanza di garanzie sull’autenticità, decide di non farne nulla.

25 SETTEMBRE. Un uomo vicino alla maggioranza di governo “soffia” a diversi giornalisti, fra cui Peter Gomez de Il Fatto, Giuseppe D'Avanzo la Repubblica, e un inviato di Libero, che circola un video contro Marrazzo. Notizia impossibile da confermare, dunque impubblicabile.

5 OTTOBRE. La Masi consegna una copia del video a Signorini, anche se questi s'è subito detto disinteressato ad acquistarlo per “Chi”. Signorini dirà di aver “subito avvertito i miei editori”: la presidente di Mondadori, Marina Berlusconi, e l'amministratore delegato Maurizio Costa. Da questo momento - si presume (salvo che non parli per 15 giorni con la figlia) - il presidente del Consiglio sa del video-ricatto a Marrazzo. Ma non fa nulla, come se attendesse qualcosa. Signorini comunque suggerisce alla Masi di vendere il dvd a Belpietro, che dirige un giornale filoberlusconiano, ma estraneo al gruppo del premier (appartiene alla famiglia Angelucci, editori nonché titolari di cliniche convenzionate con le regioni, Lazio compresa; il capofamiglia Antonio è anche senatore del Pdl).

12 OTTOBRE. Belpietro incontra la Masi che gli mostra il video , ma non gliene lascia copia. La signora dirà a verbale che quel giorno si accordò con Libero per 100 mila euro.

14 OTTOBRE. Mentre il Ros informa la Procura di Roma del ricatto ai danni di Marrazzo e partono le indagini segrete (o quasi) dei carabinieri “buoni” contro i quattro “deviati”, Signorini chiama la Masi e le annuncia una visita di Giampaolo Angelucci, l'editore di Libero, che visionailvideocomegiàhafattoBelpietro. Masi e Angelucci si risentiranno in serata per concludere l’affare. Ma, nel pomeriggio, ecco un'altra telefonata di Signorini: “Fermate tutto, è interessato anche Panorama (sempre Monda-dori, ndr), dobbiamo decidere chi deve pubblicare tutto”. Poi nessuno pubblicherà niente, ma soltanto perchè interverrà la magistratura.

19 OTTOBRE. Berlusconi – tre mesi e mezzo dopo che Feltri ha saputo tutto, 15 giorni dopo che Signorini e Marina han saputo tutto, 7 giorni dopo che Belpietro ha saputo tutto – si decide finalmente a telefonare a Marrazzo per dirgli di aver visto il video, rassicurarlo che non sarà pubblicato dai giornali del gruppo e suggerirgli di chiamare subito l’agenzia Photomasi per acquistarne i diritti e levarlo dalla circolazione. Di denunciare il reato sottostante, nemmeno a parlarne. Ecco la versione ufficiale del premier, affidata al nuovo libro di Bruno Vespa e subito anticipata alle agenzie di stampa: “Appena ho visto il video, ho allungato la mano sul telefono e ho chiamato il presidente Marrazzo. Gli ho detto che c’erano sul mercato delle immagini in grado di nuocergli, gli ho dato il numero dell’agenzia che aveva offerto il video e lui mi ha cordialmente ringraziato”. Il Cavaliere e i suoi consiglieri devono rendersi ben conto che si tratta di un corpo di reato: infatti sono molto interessati a farlo sparire (cosa che può fare solo Marrazzo). Secondo alcuni, sanno che i carabinieri “buoni” e la Procura di Roma stanno indagando e dunque il tempo stringe. Tanto ormai lo scopo è raggiunto: partita l’inchiesta, il governatore è definitivamente sputtanato e non potrà ricandidarsi alle regionali della primavera prossima. Se si riesce a fare in modo che sia lui stesso a pagare “i killer” e a far sparire le prove, è il delitto perfetto. Lo stesso giorno Signorini chiama la Masi e le preannuncia che le telefonerà Marrazzo (da chi altri può averlo saputo, se non dal premier?). Il governatore puntualmente si fa vivo e tenta di recuperare il videotape in cambio di soldi. Ma proprio l’avvio della trattativa accelera il blitz della Procura di Roma, che non può permettere la distruzione della prova regina del ricatto. Infatti il giorno dopo, i quattro carabinieri deviati e Scarfone vengono interrogati. E l’indomani scattano le manette, con la pubblicazione della notizia che mette fuori gioco Marrazzo proprio alla vigilia delle primarie del Pd e la messa in sicurezza del videotape : il corpo del reato. Che giaceva da due settimane nella cassaforte della Mondadori e, da almeno qualche giorno, in un cassetto di Palazzo Grazioli. Ben custodito dall’Utilizzatore Finale.

MONTECITORIO CHIUDE I BATTENTI NON CI SONO LEGGI DA APPROVARE

Dal Quotidiano IL Fatto Quotidiano
del 31 ottobre 2009

di Carlo Tecce
(Giornalista)


Il fattaccio: la Camera chiude, il Transatlantico andrà deserto. Ma erano mesi che la serranda s’abbassava. Lentamente. L’ozio stanca e provoca assuefazione. Alla Camera i deputati passano il tempo a pigiare bottoni: quattro ore di lavoro al giorno, poi tre, due, una. Decreti legge calati dal governo e blindati con la fiducia. Il 90 per cento delle leggi approvate sono affare privato di Palazzo Chigi. E se mancano pure i soldi, le “coperture finanziarie” nelle Commissioni, il presidente Gianfranco Fini consiglia una settimana bianca. Riposo assoluto. I banchi riaprono il 9 novembre. La riunione con i capigruppo è un guaio: nemmeno l’ombra di iniziative parlamentari, ostruzionismo per evitare figuracce della maggioranza, una grossa quantità di interpellanze e ratifiche. La prossima settimana capitano pure due ricorrenze - lunedì 2 i defunti, giovedì 4 i caduti in guerra - e allora, senza che una manina si levasse contraria, oltre il diniego genetico dell’Idv, i deputati capi hanno ben accolto la sosta tecnica. Non ci sono i soldi, certo. Non c’è collaborazione, pure. Ma pochi saranno dispiaciuti perché s’ammazzano tra carte e brogliacci. Dalla segreteria del Pd fanno sapere che una, forse due, non tre leggi erano pronte per l’aula: “Quella sulla cittadinanza agli emigranti, che ormai slitterà a dicembre, e un’altra per aiutare i paesi di montagna”. Sarebbe la convenzione delle Alpi, curata da Angelo Emilio Quartiani: agevolazioni fiscali, contributi governativi per i comuni in alta quota. Nulla. A costi zero potevano votare la mozione Soro-Zaccaria sui respingimenti dei clandestini. E’ vero che i disegni di legge sono migliaia e che le Commissioni tirano oltre la mezzanotte, ma è pur vero che nel Pd iniziano a girare a largo: “Non avevamo altro da proporre per il calendario”, ci dicono con fermezza. Tra un paio di settimane, azzannando la crisi economica con calma, i deputati potranno discutere le norme in favore dei lavoratori che assistono familiari disabili, firmata da Luca Volontè e Teresio Delfino dell’Udc, il progetto nasce sfiancato dalla denuncia di Fini: “Non ci sono le risorse”. Un ritornello che stronca in senso trasversale. Anche la mozione dell’Idv - quel fortunato giorno dell’ingresso a Montecitorio - dovrà resistere alla miseria: sarà raddoppiata oppure no la cassa integrazione, un salto da 52 a 104 settimane? Capitolo a parte meritano le buone intenzioni di detassare le tredicesime e ridurre l’Irap alle piccole e medie imprese. “Le nostre idee costano e dunque sono penalizzate”, scherza Antonio Borghesi rappresentante dell’Idv nella Commissione Bilancio. Borghesi ha faticato di notte per licenziare la riforma “tecnica” della Finanziaria: un testo per sciogliere cavilli, voci grasse e incomprensioni. “Basta con il bilancio dello Stato illeggibile , uno strumento di mercato bestiame. Basta alle categorie onnicomprensive: scrivono spese per il personale, quale personale, militare e sanitario?”. Ai posteri. La Camera riposa. E Giovanni Marco Reguzzoni (Lega Nord) dovrà rinviare la sua battaglia per proteggere l’industria tessile. Il capogruppo Roberto Cota è contento per le ferie: “Siamo sulla linea di Fini, mi sembra ovvio. Non possiamo dire che a Montecitorio ci sia un ritmo frenetico, però”. Ecco, le salvifiche Commissioni: “Lì davvero si fanno gli straordinari. Sono il luogo adatto e giusto per dibattere. Per questo motivo noi chiediamo la riforma dei regolamenti parlamentari. Lasciamo all’aula la parte politica”. E sarebbe già una cospicua eredità. Alla segreteria del Pdl confondono il partito con il governo e viceversa: “Abbiamo appena inoltrato un decreto legge e votato numerosi trattati internazionali”. Quali elaborati del Pdl sostano irrequieti nelle Commissioni? “Tanti. Non abbiamo il conto”. Dieci giorni di vacanze portano consigli, la maggioranza dovrà sfruttarli con avarizia per assumere un comportamento unico e gradito sull’istituzione del ministero della Salute. Il governo ha deciso, adesso l’aula dovrà deliberare. Già s’intravedono forti tensioni interne nel gruppo del Pdl. I reggenti Fabrizio Cicchitto e Italo Bocchino dovranno ricevere la legge con riverenza e trattarla senza provocare fratture e imbarazzi. Domande esistenziali nel centro-destra: perché il governo stringe la borsa per i parlamentari e la svuota per moltiplicare i ministeri e la burocrazia?

Per il premier arriva il lodo Cassazione Processi tributari chiusi pagando il 5%

Dal Quotidiano La Repubblica
del 31 ottobre 2009

di Liana Milella e Roberto Petrini
(Giornalisti)


ROMA - E siamo al "lodo Cassazione" visto che lì, prima o poi, finiscono comunque i processi di Berlusconi. Il contenitore: la legge Finanziaria. Il luogo: il Senato. Il contenuto: due emendamenti, uno per mandare al macero migliaia di processi tributari pur di evitare quello che riguarda la Mondadori; e un altro per premiare le toghe della Cassazione, a cominciare dal suo primo presidente Vincenzo Carbone, spostando l'età pensionabile da 75 a 78 anni e garantirgli così altri tre anni di dominio assoluto sulla Corte.

Due emendamenti preceduti da un'abile mossa: prima della regolare udienza fissata per mercoledì 28 ottobre, il processo "Agenzie delle entrate versus Mondadori" - per un contenzioso da 400 miliardi di vecchie lire - viene sottratto al collegio e al presidente Enrico Altieri, che ha fama di giudice inflessibile, e spostato dal vertice della Corte alle sezioni unite.

Due giorni dopo ecco al Senato l'emendamento che sta alle spalle: il governo ipotizza che tutti i processi tributari in cui l'imputato abbia avuto ragione in primo e in secondo grado possano chiudersi d'emblée con una transazione del 5% sulla cifra complessiva dovuta. Ma, com'è ovvio, l'emendamento ha bisogno di tempo, visto che la Finanziaria è ancora al suo primo passaggio al Senato, e dunque il processo di Berlusconi viene tolto dalle mani di Altieri e rinviato.

Il presidente Carbone si giustifica, dice che è stato il vice segretario generale, che il presidente della sezione tributaria è stato avvertito, adduce una "prassi consolidata", ma gli stessi giudici tributari spiegano che la prassi va invece all'opposto: è il collegio assegnatario, cui si rivolgono le parti, a decidere per l'invio alle sezioni unite di fronte alla richiesta, come in questo caso, delle parti.


Nel lungo elenco delle leggi ad personam ecco dunque il nuovo "lodo Cassazione" che però ha già ricevuto un primo, autorevole stop. Quello del presidente della Camera Gianfranco Fini che, avvisato in tempo dal relatore della Finanziaria al Senato Maurizio Saia, ha bloccato l'ipotesi della transazione al 5 per cento. Alla Suprema corte i giudici, esterrefatti, la considerano "una totale follia che farebbe perdere allo Stato centinaia di miliardi di euro" visto che per la sezione tributaria transitano ogni anno circa 20 mila processi.

Ma a Berlusconi questo non importa. Ed ecco che giovedì sera il finiano Saia si vede recapitare sul tavolo l'emendamento incriminato verso l'ora di cena. Glielo manda, per firmarlo e presentarlo, il presidente della commissione Bilancio Antonio Azzollini. Lui lo legge, sente subito puzza di bruciato, avverte Fini. Il piatto, accuratamente preparato a palazzo Chigi anche da Gianni Letta, salta. Fini, che non sapeva nulla, blocca tutto. L'emendamento è congelato.

I finiani s'interrogano "sull'utilizzatore finale" della norma, si chiedono quale processo si voglia chiudere, rileggono l'intervento di Carbone sul processo Mondadori. Il gioco si scopre. Alla sezione tributaria della Corte c'è almeno un altro processo, quello ai danni della Danieli di Udine, che fruirebbe dell'emendamento.

Se la Mondadori è finita nel mirino degli accertamenti per via di una complessa ristrutturazione aziendale, quello della Danieli è un caso di dividend stripping con imposte non pagate per 200 milioni di euro. La Mondadori è stata messa in salvo, tolta alle mani del giudice Altieri che, esperto di diritto comunitario, una lunga esperienza al servizio giuridico della Commissione Ue, da quando è in Cassazione ha sanzionato più volte le società che compiono un'operazione al solo fine di ottenere un vantaggio fiscale.

In Corte lo chiamano il filone dell'abuso del diritto, sanno che con Altieri non si tratta, Berlusconi ci ha anche provato mandandogli un emissario. Ma l'esito negativo ha prodotto la strategia a tenaglia del "lodo Cassazione": via d'un colpo i processi, basta pagare il 5 per cento.

venerdì 30 ottobre 2009

LE RIFORME ABORTITE

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 30 ottobre 2009

di Bruno Tinti
(Ex Procuratore della Repubblica Aggiunto di Torino)


Oggi. Berlusconi: I pm sono tutti comunisti, i giudici sono comunisti (al momento solo quelli di Milano), urge una riforma della giustizia. I processi di Berlusconi si faranno tutti a Roma. Ieri. Alfano: i processi penali sono lunghi, urge una riforma della giustizia. Si devono separare le carriere dei pm e dei giudici. Poi bisogna levare al pm la Polizia Giudiziaria. L’altro ieri. Gerardo D’Ambrosio: i processi penali sono troppo lunghi, urge una riforma. Ecco a voi 9 disegni di legge per accorciarli e renderli efficienti. Tra queste tre prospettate riforme vi è una grande differenza: le prime due si faranno presto e bene (beh, si fa per dire); la terza non si è proprio mai fatta. Vi racconto come e perché. Per le elezioni del 2006 il Pds pensa di arruolare Gerardo D’Ambrosio. È ll’ex Procuratore di Milano, da qualche tempo in pensione per limiti di età. Persona onesta e capace se mai ce n’è stata una, ovviamente esperta di diritto. D’Ambrosio accetta e si scatena il casino. “Fuori i magistrati dal Parlamento!” Che, detto da partiti che sono il rifugio di condannati e inquisiti per reati di mafia, corruzione, concussione, peculato, dovrebbe far ridere; o almeno piangere. Invece no, si discute a lungo e seriamente se è giusto che D’Ambrosio vada a fare il senatore. Alla fine viene eletto e, almeno lui, cerca di guadagnarsi lo stipendio: presenta 9 disegni di legge per far funzionare la giustizia. Per via dello spazio a disposizione vi parlo dei 4 più importanti. N. 1373 del 7/3/07: chi è arrestato in flagranza di reato (vuol dire preso con il coltello in mano e la vittima sanguinante in terra) deve essere processato subito. Così si saltano le indagini del pm e l’udienza preliminare; sarà il giudice a raccogliere le prove. Si risparmiano una media di 2 anni a processo. N. 1374 del 7/3/07: l’indagato deve ricevere la prima notifica (per esempio l’avviso che si sta procedendo nei suoi confronti) a mani proprie; dobbiamo essere sicuri che è stato avvertito. Nell’atto c’è scritto chi è il suo difensore (di fiducia o di ufficio) e che tutte le successive notifiche saranno fatte a questo avvocato che dovrà avvertirlo di tutto quello che succederà nel processo; quindi è bene che si tenga in contatto con lui. Gli uffici giudiziari faranno le notifiche solo agli avvocati (magari via e-mail) e risparmieranno soldi e tempo (tantissimo ma è difficile quantificarlo). N. 1823 del 3/10/07: quando si fa un ricorso per Cassazione si deve depositare una piccola cauzione (250 euro); se la Corte darà ragione al ricorrente, gli sarà restituito; altrimenti ci si pagherà almeno una parte delle spese processuali. I ricorsi inammissibili sono la norma perché si ritarda il momento in cui la sentenza diventa definitiva. Se si paga, qualche ricorso ce lo risparmiamo; e risparmiamo anche tempo e lavoro. N. 1850 del 11/10/07: gli imputati di reati di mafia, riciclaggio, droga, prostituzione non possono accedere al gratuito patrocinio. Questa gente ha sicuramente un sacco di soldi, perché deve essere lo Stato a pagare? Perché gli imputati per reati fiscali non possono beneficiare del gratuito patrocinio e questi altri si? Come si vede sono riforme che non costano un euro, in molti casi ne fanno guadagnare o risparmiare. I processi si accorciano e lo Stato spende di meno. Cosa fece il governo “di sinistra” Prodi? Non le mise nemmeno a calendario; questo vuol dire che nemmeno le esaminò; la Commissione Giustizia si occupò del divieto della tortura e delle coppie di fatto. Delle riforme di D’Ambrosio se ne fregarono tutti. Poi Prodi fece la fine che sappiamo e le riforme sono rimaste in archivio. Io non mi sento di dire “Signore perdonali perché non sanno quello che fanno”: se non lo sanno, e non lo sanno, si ritirino a vita privata.

ECCO CHI È “MICHELE CHI”

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 30 ottobre 2009

di Giandomenico Crapis
(Giornalista)


Michele Santoro nasce a Salerno nel 1951, il 2 luglio, in una casa del centro storico poco distante dal mare. Così come vicina al mare è la scuola elementare dalla quale basta poco per andare a tuffarsi. Con il mare vicino, per i ragazzi come lui i bagni cominciano già a giugno. La spiaggia e il mare diventano il surrogato della strada per giochi e divertimenti, per rubare le cozze ai pescatori, catturare i polipi, spiare le donne nelle cabine attraverso i buchi fatti di nascosto. Il desiderio di novità e quel pizzico di fisiologica rabbia generazionale minano l’adattamento dei giovani alla routine quotidiana: «Non ne potevamo più dell’insopportabile ordine dei licei, di preti e insegnanti pedanti e ignoranti… di passeggiare sul lungomare diviso in corsie, i giovani da una parte i vecchi dall’altra». Santoro al liceo è studente intelligentissimo, dice chi l’ha avuto come allievo, ma terribile sul piano disciplinare. Già leader della sua

classe, una volta intavola una trattativa con l’insegnante per potere alternare a un’ora di lezione un’ora di assemblea. E naturalmente la spunta. Spirito anarchico, non è il solo enfant terrible della sua classe: non si seppe mai se fu proprio lui, o i suoi compagni, a pensare di far trovare il crocifisso nel cestino alla cattolicissima insegnante. Frequenta il liceo Tasso. Nella scuola, a metà degli anni Sessanta, tra gli studenti circola «Nuova generazione», il giornale dei giovani comunisti, che però il preside decide di sequestrare. Al giovane Santoro, che non ha alcun rapporto con la politica organizzata dei giovani comunisti, la cosa non piace per niente. Allora scrive un raccontino, lo batte a macchina e lo affigge in istituto. Nello scritto usa l’ironia, prendendo spunto dal nome della scuola, il Regio liceo Torquato Tasso: sul frontale dell’edificio la parola “Regio” era stata cancellata ma non del tutto, tanto che essa ancora s’intravede sotto la mano di pittura bianca. Lo studente Santoro costruisce il suo raccontino satirico proprio su questo fatto: quel “Regio” cancellato che però s’intravede, a dimostrazione che, per quanti sforzi faccia la scuola repubblicana, la sua cifra educativa e formativa rimane quella di una volta, complici anche presidi troppo chiusi e una scuola vecchio stampo. Siamo nel 1966, ai tempi della «Zanzara», il giornale studentesco del liceo Parini di Milano che dà scandalo nel Paese per i temi inediti che tocca in una scuola bigotta e autoritaria. Santoro, che al Tasso frequenta la prima liceo, insieme ad altri compagni dà vita a un giornalino, chiamato «Blow out», ma il solito preside ne impedisce la pubblicazione. Nel foglio scolastico – sulle cui pagine il futuro giornalista scrive un articolo sul “Che” – che è ispirato da un’idea antiautoritaria e contesta il nozionismo del sapere, covano i germi della ribellione di costume nell’ironia divertente che prende in giro, per esempio, l’abitudine che costringe le ragazze a portare ancora il grembiule in classe. Siamo nella fase embrionale di quella che due anni dopo diventerà la critica sessantottina alla scuola e alla società. Al Tasso Santoro non rimane fino alla fine degli studi, lo bocciano per motivi disciplinari. Da quel liceo, più chic e famoso, passa al De Sanctis, dopo essere stato accusato di avere rigato la macchina di una professoressa. Ma lui nega: «Ero il più turbolento» dice «e mi attribuivano qualsiasi malefatta». In seguito a questo episodio perde un anno scolastico che poi però recupera, presentandosi e superando gli esami di Stato da privatista: al suo colloquio – è già un leaderino– assiste una vera folla tra amici scolastici e compagni d lotte. Vive dunque l’adolescenza in un momento storico difficile e intenso per il Paese. Dopo le bombe di piazza Fontana lui, poco più che diciottenne, si vede persino piombare in casa la polizia che rovista dappertutto e gli sequestra un libro di teatro: di Brecht.

Il teatro, l’altro amore di quella stagione cui si dedica con particolare entusiasmo insieme a un gruppo di amici. Negli anni del liceo si scambia i primi testi con l’amico Ciccio D’Acunto: è lui che gli presta Beckett. Si dedica all’attività teatrale allestendo le prime rappresentazioni presso un circolo di gesuiti che i ragazzi utilizzano come luogo d’incontro, per poi spostarsi nella sede dell’Università popolare,

un’istituzione importante della città. Provano e mettono in scena Pirandello, poi arrivano Sartre, Brecht, Pavese, Ferlinghetti. Il teatro per il giovane Michele è una cosa seria, tanto che, lasciatosi alle spalle le prime esperienze nate sui banchi scolastici, s’impegna in una compagnia importante, il Teatrogruppo di Salerno, con cui allestisce Marat Sade di Weiss. Vorrebbe portarlo in giro per l’Italia. Per un momento pensa che sia la sua strada, ma dopo qualche titubanza decide che prima del teatro viene la politica. Per Santoro, come succede a tanti tra gli anni Sessanta e i Settanta, l’attività teatrale è “politica” in sé e riassume spesso l’impegno politico tout court. Però, proprio come succede a tanti in quell’epoca, alla fine l’iniziativa politica militante prende il sopravvento su quella artistica politicamente impegnata. Così tra il 1968 e 1969 si getta anima e corpo nella politica. Il Sessantotto, in particolare, lo vede assolutamente protagonista prima al liceo, poi fuori. È uno dei leader del movimento studentesco salernitano. Quando Jan Palach si dà fuoco immolandosi a Praga, e i fascisti che a Salerno sono forti scendono in piazza, lui non perde tempo e organizza una contromanifestazione a difesa del martire della libertà. Praga contribuirà a spostarlo su posizioni libertarie e critiche verso il socialismo reale. A differenza di altri sessantottini pentiti, di quel movimento conserverà sempre un ricordo positivo, quasi struggente… Esaurita la fase del movimento degli studenti, decide di entrare in un partito vero. Molti militanti scelgono la strada extraparlamentare e nella sua Salerno molti aderiscono al «Manifesto» (una di questi è Lucia Annunziata). Lui sceglie l’Unione marxista-leninista, che ha come organo di stampa il giornale «Servire il popolo ». L’esperienza – comune negli anni tra il ’69 e il ’72 anche ad altri volti famosi e noti del giornalismo nazionale (Polito, Mannheimer, Vicinanza solo per citarne alcuni) – a lui, più che ad altri, verrà rinfacciata nelle cronache come una sorta di peccato originale. In ogni caso intorno a lui il gruppo cresce e si insedia nella città campana. Santoro presto ne diviene uno dei dirigenti nazionali. La militanza, dunque, si affaccia sotto le insegne della sinistra cosiddetta extraparlamentare, termine sinonimo, più che di un’assenza in Parlamento, di radicalità di posizioni, di velleità rivoluzionarie più o meno mascherate, più o meno reali, e di una contrapposizione forte con il partito comunista, oramai integrato dentro il “sistema”. Di questi gruppi a sinistra del Pci l’Unione marxista-leninista di “Servire il popolo” è quella che esprime forse più di altre una visione di tipo integralista e totale della militanza. Santoro divora letture della beat generation, ma con i marxisti-leninisti l’esperienza per la verità è abbastanza breve. Partecipa nell’estate del 1971 a una scuola di partito per i membri del comitato centrale a San Pellegrino Terme: «Lavoro politico e sano divertimento», come recita la lettera d’invito al giovane dirigente salernitano. Il compagno Santoro s’accorge, a sue spese, del clima politico che si respira il quel seminario. Si discute se presentarsi alle elezioni politiche l’anno dopo, anche se ci sono poche speranze di ottenere il quorum e quindi è altissimo il rischio di disperdere voti. Michele non è per niente d’accordo e critica una scelta che giudica sbagliata. Lo isolano e lo accusano di essere di destra. Il rituale è quello collettivo delle discussioni in pubblico: lo ostracizzano, lo bollano come “nemico interno”, lo “condannano” a un periodo di rieducazione. L’esperienza a San Pellegrino è per lui traumatica. Stanco e abbastanza nauseato, decide di iscriversi al Pci: «Forse mio padre ha ragione» si dice. Approfitta di questa fase di passaggio per portare a termine gli studi universitari. È iscritto a filosofia e, a differenza delle superiori, all’università va come un treno conseguendo ottimi risultati. Segue le lezioni di Biagio De Giovanni, con il quale si laurea il 5 dicembre del 1972 con una tesi sui Quaderni dal carcere di Gramsci. Con grande cruccio paterno rinuncia a fare il professore, rifiutando la nomina che un giorno gli arriva. Tra l’altro, nel Pci presto si trova a ricoprire ruoli di primo piano. Diventa prima segretario della sezione Torre, quella del centro storico, poi viceresponsabile del comitato cittadino. Qualcuno dei militanti storici del partito rimane sorpreso dalla sua rapida ascesa, del resto con i “gruppettari” i comunisti ortodossi un po’ ce l’hanno, ma pesa sicuramente la sua storia di leader cittadino, di capo indiscusso. Diventa funzionario di partito, lo mandano nel Cilento a fare il responsabile di zona, e proprio qui si dedica e dà forza, tra le altre cose, a una pubblicazione chiamata «L’Espresso del Cilento».

BATTIATO Requiem per la politica

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 30 ottobre 2009

di Marco Travaglio
(Giornalista)


Franco Battiato è molto diverso da come lo immagini. Allegro, scherzoso, spiritoso, talora persino un po’ cazzone. Forse perché, con la suaculturasterminataelasuapace interiore, se lo può permettere. Un uomo, però, armato di un’intransigenza assoluta, di un’insofferenza antropologica per le cose che non gli piacciono. E’ appena tornato da due concerti trionfali a Los Angeles e New York e ancora combatte il jet-lag nella sua casa di Milo (Catania). Parliamo del suo ultimo pezzo-invettiva “Inneres Auge”, già anticipato sulla rete: uno dei due singoli inediti che impreziosiscono l’album antologico in uscita il 13 novembre (“Inneres Auge - Il tutto è più della somma delle sue parti”). Una splendida invettiva che si avventa sugli scandali berlusconiani e sulla metà d’Italia che vi assiste indifferente e imbelle, con parole definitive: “Uno dice: che male c’è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato? Non ci siamo capiti: e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti…”.

Che significa “Inneres Auge”?

“Occhio interiore. Ma lo preferisco in tedesco. In italiano si dice “terzo occhio”, ma non mi piace, fa pensare a una specie di Polifemo. I tibetani hanno scritto cose magnifiche sull’occhio interiore, che ti consente di vedere l’aura degli uomini: qualcuno ce l’ha nera, come certi politici senza scrupoli, mossi da bassa cupidigia; altri ce l’hanno rossa, come la loro rabbia”.

Lei, quando ha scritto “Inneres Auge”, aveva l’aura rossa.

“Vede, sto bene con me stesso. Vivo in questo posto meraviglioso sulle pendici del Mongibello. Dalla veranda del mio giardino osservo il cielo, il mare, i fumi dell’Etna, le nuvole, gli uccelli, le rose, i gelsomini, due grandi palme, un pozzo antico. Un’oasi. Poi purtroppo rientro nello studio e accendo la tv per il telegiornale: ogni volta è un trauma. Ho un chip elettronico interiore che va in tilt per le ingiustizie e le menzogne. Alla vista di certi personaggi, mi vien voglia di impugnare la croce e l’aglio per esorcizzarli.C’èunmutamentoantropologico, sembrano uomini, ma non appartengono al genere umano, almeno come lo intendiamo noi: corpo, ragione e anima”.

I “lupi che scendono dagli altipiani ululando”.

“Quello è un verso di Manlio Sgalambro che applico a questi individui ben infiocchettati in giacca e cravatta che dicono cose orrende, programmi spaventosi, ragionamenti folli e hanno ormai infettato la società civile. Quando li osservo muoversicircondatidaguardiedel corpo, li trovo ripugnanti e mi vien voglia di cambiare razza, di abdicare dal genere umano. C’è una gran quantità di personaggi di questa maggioranza che sento estranei a me ed è mio diritto di cittadino dirlo: non li stimo, non li rispetto per quel che dicono e sono. Non appartengono all’umanità a cui appartengo io. E, siccome faccio il cantante, ogni tanto uso il mio strumento per dire ciò che sento”.

L’aveva fatto già nel 1991 con “Povera Patria”, anticipando Tangentopoli e le stragi. L’ha rifatto nel 2004 con “Ermeneutica”, sulla “mostruosa creatura” del fanatismo politico-religioso e della guerra al terrorismo ingaggiata dai servi di Bush, “quella scimmia di presidente”: “s'invade si abbatte si insegue si ammazza il cattivo e s’inventano democrazie”.

“Sì, lo faccio di rado perché mi rendo conto di usare il mio mezzo scorrettamente. La musica dovrebbe essere super partes e non occuparsi di materia sociale. Ma sono anch’io un peccatore e la carne è debole…”

Lei non crede nel cantautore impegnato.

“Per il tipo che dovrei essere, no. Ma non sopporto i soprusi e ogni tanto coercizzo il mio strumento. Il pretesto di “Inneres Auge”, che ha origini più antiche, è arrivato quest’estate con lo scandalo di Bari, delle prostitute a casa del premier. E con la disinformazione di giornali e tiggì che le han gabellate per faccende private. Ora, a me non frega niente di quel che fanno i politici in camera da letto. Mi interessa se quel che fanno influenza la vita pubblica, con abusi di potere, ricatti, promesse di candidature, appalti, licenze edilizie in cambio di sesso e di silenzi prezzolati. Questa è corruzione, a opera di chi dovrebbe essere immacolato per il ruolo che ricopre”.

“Non ci siamo capiti”, dice nella canzone.

“Non dev’essere molto in gamba un signore che si fa portare le donne a domicilio da un tizio che poi le paga, dice lui, a sua insaputa per dargli l’illusione di piacere tanto, di conquistarle col suo fascino irresistibile. Quanto infantilismo patologico in quest’uomo attempato! Ma non c’è solo il premier”.

Chi altri non le piace?

“Tutta la banda. I cloni, i servi, i killer alla Borgia col veleno nell’anello. Li ho sempre detestati questi tipi umani. Per esempio il bassotto che dirige un ministero e fa il Savonarola predicando e tuonando solo in casa d’altri, senza mai applicare le stesse denunce ai suoi compagni partito e di governo. Meritocrazia: ma stiamo scherzando? Badi che, quando dico bassotto, non mi riferisco alla statura fisica, ma a quella intellettuale e morale: un occhio chiuso dalla sua parte e uno aperto da quell’altra”.

“La Giustizia non è altro che una pubblica merce”, dice ancora.

“Penso al degrado della giustizia: ma i magistrati dovrebbero ribellarsi tutti insieme e appellarsi al mondo contro le condizioni in cui sono costretti a lavorare. Non possono accettare, nell’èra dell’informatica, di scrivere ancora sentenze e verbali col pennino e il calamaio, mentre la prescrizione si mangia orrendi delitti e, in definitiva, la Giustizia”.

Quando Umberto Scapagnini divenne sindaco di Catania, lei minacciò addirittura di espatriare. Come andò?

“Avevo previsto un decimo di quel chepoièaccaduto.Uninferno.Catania era uno splendore: in pochi anni, come Palermo, è stata devastata da questa cosiddetta destra. Ma nessuno ne parla”.

Lei è di sinistra?

“E chi lo sa cos’è la sinistra. Basta parlaredidestraedisinistra,anche perchè a sinistra c’è un sacco di gente che ha sempre fatto il doppio gioco al servizio della destra, spudoratamente. Per evitare tranelli, uso un sistema tutto mio: osservo i singoli individui, poi traggo le mie conclusioni”.

Ha votato alle primarie del Pd?

“Sì, per Bersani. Non che sia il mio politico ideale, ma mi sembra un tipo in gamba. Forse l’ho fatto perché almeno, in queste primarie, il voto non era inquinato. Non è poco, dalle mie parti, dove alle elezioni politiche e alle amministrative i seggi sono spesso presidiati da capibastone e capimafia che ti minacciano sotto gli occhi della polizia”.

Quella cosa dell’espatrio non era esagerata?

“La ripeterei oggi. Io sono sempre pronto: se in Italia le cose dovessero peggiorare, me ne andrei. Ubi maior, minor cessat. Mica puoi fare la guerra ai mulini a vento. Per fortuna è difficile che si ripeta il fascismo, anche perché sono convinto che molti italiani la pensano come me e sarebbero pronti a impedirlo. Comunque, “pi nan sapiri leggiri nè sciviri”, comprerò una casa all'estero”.

Lei è molto antiberlusconiano.

“Sono un Travaglio un po’ più bastardo. Penso che la tecnica migliore sia l’aplomb misto all’irrisione, senza urli né insulti”.

Ma Berlusconi non è finito, al tramonto?

“Dipende da quanto dura, il tramonto. Ma non credo sia finito: la cordata è ancora robusta. Però mi sento più tranquillo di qualche mese fa: sta commettendo troppi errori”.

I partiti hanno mai provato ad arruolarla?

“Mai. A parte Pannella, tanti anni fa. Qualche mese fa mi ha chiamato un ministro di questo governo per dirmi che mi segue da sempre e concorda in pieno con una mia intervista. Forse non aveva capito o avevo sbagliato qualcosa io. Ma ora, dopo il mio ultimo singolo, magari fa marcia indietro”.

“Inneres Auge” già impazza sulla rete. Teme reazioni politiche?

“Mi aspetto la contraerea. Ma siamo pronti”.

Non teme, con una canzone così “schierata”, di perdere il pubblico berlusconiano?

“Mi farebbe un gran piacere. Se invece uno che non mi piace viene a dirmi di essere un mio fan, sinceramente mi dispiace”.

Ai tempi del “La voce del padrone”, a chi la interpellava sul significato dei suoi testi ermetici, lei rispondeva “sono solo canzonette”. Lo sono ancora?

“Quello era un gioco, ma non sono mai stato d’accordo con questa massima di Edoardo Bennato. “La voce del padrone” era un’operazione programmata come un divertimento frivolo e commerciale, e riuscì abbastanza bene, mi pare. Ma in realtà avevo inserito segnali esoterici che sono stati ben percepiti e seguiti da molti ascoltatori. Ogni tanto mi dicono che qualcuno, ascoltando i miei pezzi, ha letto Gurdjieff e altri grandi mistici. E questo mi rende un po’ felice”.

“Inneres Auge”: serve a qualcosa, una canzone?

“Lei parla di corda in casa dell’impiccato: ho sempre avuto dubbi su questo nella mia vita. Ma, dopo tanti anni, posso affermare che un brano molto riuscito può scatenare influenze esponenziali. Una canzone può migliorarti e farti cambiare idea e direzione. Un giorno domandarono a un grande pianista dell’Europa dell’Est, ora a riposo: lei pensa di emozionare il suo pubblico? E lui: “Quando sono riuscito a emozionare anche un solo spettatore nella sala gremita di un mio concerto, ho raggiunto il mio scopo”.