venerdì 19 giugno 2009

Gli amici se ne vanno, Fini e Ferrara «diffidano il cavaliere

Dal Quotidiano L'Unità

di Susanna Turco
(Giornalista)




Qualche anno fa, trovandosi a immaginare quale sarebbe potuta essere un giorno la conclusione della carriera politica di Silvio Berlusconi, Carlo De Benedetti azzardò: «Non so quale. Ma sarà drammatica, eccezionale, travolgerà tutto».

È più o meno questa, ormai, la preoccupazione che comincia a serpeggiare anche negli ambienti del centrodestra. Preoccupazione per un «lento declino» negli uni, sensazione negli altri che «piuttosto di un 25 luglio, rischiamo un 25 aprile, ossia una piazzale Loreto ma senza l’elemento tragico, con il banco che salta per colpa di qualche signorina». Prospettive non esenti da rischi che portano le prime file degli indiziati - come Gianfranco Fini - a negare un qualsiasi disegno per il post Berlusconi («se c’è un complotto odora di finanziario e clericale. E lui è un laico lontano dalla finanza», avverte il finiano Granata). E a lasciar trapelare - sempre Fini - una certa preoccupazione per gli scenari che si potrebbero disegnare.

Silvio come Drogo
Il presidente della Camera, peraltro, si è (involontariamente, assicurano) intestato la più efficace delle metafore della giornata. Silvio Berlusconi come il tenente Drogo, la Fortezza Bastiani come Palazzo Grazioli, il Deserto dei Tartari come l’Italia di oggi, vista con l’occhio del Cavaliere che dal suo fortino grida al complotto. La suggestione è tanto affascinante quanto implicita, il nome non viene pronunciato, è ovvio, e anzi si nega ogni malizia. Eppure il collegamento è inevitabile, quando Fini, aprendo il convegno su “Nazione, Cittadinanza, Costituzione”, accenna alla pulsione tutta italiana «che si traduce nel paventare l’aggressione di chissà quale nemico, interno o esterno». Nazionale o internazionale. Prosegue l’ex leader di An: «Non c’è modo migliore per tratteggiare tale ansia che rileggere il Deserto dei Tartari. Asserragliato nella Fortezza Bastiani, il tenente Drogo vive nella perenne attesa dei “barbari”. E quando i Tartari verranno, egli non li vedrà».

Il Cav. come Mele?
Parole che ben si armonizzano con la sferzante critica a Berlusconi pubblicata ieri da Giuliano Ferrara. «Un premier non si difende così», diceva l’Elefantino sul "Foglio", «dunque si decida: o accetta di naufragare in un lieto fine fatto di feste e belle ragazze, oppure si mette in testa di ridare il senso e la dignità di una grande avventura». Altrimenti detto: torni a fare politica, o finirà travolto dallo scandalo, come Cosimo Mele. Il timore, peraltro, è lo stesso che serpeggia tra gli stessi parlamentari del Pdl. «C’è una forte preoccupazione», riferiscono alcuni tra i meno inclini a drammatizzare: «Non si teme tanto la scossa. Si percepisce però che la soglia della decenza è vicina e quindi il rischio di un arrestabile declino».

Non per nulla,i l’indice di popolarità di Berlusconi è ormai crollato a 52. Intanto, nei vertici meno allineati del Pdl si ragiona sulla «pericolosa fase di incertezza che potrebbe aprirsi». «Ha detto bene Veronica Lario», dice un finiano: «Il dittatore non è Berlusconi, rischia di esserlo chi verrà dopo». Perché il Cavaliere non è un qualsiasi segretario Dc «che si fa da parte. Con lui crollerebbe un sistema, il vuoto sarebbe spaventoso. E chi pensa di gestirlo, potrebbe finire come l’apprendista stregone».

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