del 9 agosto 2009
di Ma.Ge.
Il generale Mario Mori (nella foto, testimone durante il processo contro le Br) colpisce ancora. Un anno fa, proprio d'agosto, Alemanno, da poco eletto sindaco di Roma, lo chiamò in Campidoglio per affidargli il coordinamento di tutte le iniziative comunali sulla “sicurezza urbana”. Cose come: il censimento dei casali abbandonati, il coordinamento delle pattuglie di volontari per il controllo di autobus e parchi (a Roma non chiamatele ronde), la realizzazione di una sala operativa in cui dovrebbero convergere le informazioni di tutte le telecamere cittadine, ma di cui ancora non si ha notizia. Una collaborazione che inizialmente doveva essere «a titolo gratuito». Ma che poi, di fatto, gli fu affidata con largo esborso di denaro per le casse capitoline: 300mila euro in tre anni per lui, 365mila euro per il suo collaboratore Mario Redditi, già suo capo di gabinetto al Sisde. E con un tempismo perfetto, visto che il generale era stato appena rinviato a giudizio, nel giugno del 2008, insieme al colonnello Mauro Obinu, con l'accusa di favoreggiamento nei confronti del Capo di Cosa Nostra Bernando Provenzano, per il mancato blitz nel casale di Mezzojuso che avrebbe potuto portare all'arresto del latitante già nell'autunno del 1995 .
Un anno dopo, quel processo, è ancora in corso. Ed è cronaca di questi giorni la testimonianza rilasciata ai magistrati palermitani da Luciano Violante, che per tre volte quando era presidente della Commissione parlamentare Antimafia, in quel maledetto 1992, ricevette da Mori l'invito a incontrare “in un colloquio personale” Vito Ciancimino. I magistrati palermitani che indagano sulla presunta trattativa fra Stato e Mafia - che fu avviata secondo il racconto del figlio di Vito Ciancimino nel periodo delle stragi di Capaci e via D'Amelio - stanno acquisendo, dunque, elementi utili per mettere a fuoco il ruolo che l'ex comandante nel Ros, poi capo del Sisde con Berlusconi, svolse in quella vicenda ancora tutta da chiarire. Ma intanto, con lo stesso tempismo di un anno fa, per Mori, che siede ancora in Campidoglio con piena soddisfazione di Alemanno e poche parsimoniose notizie sul suo operato, spuntano nuovi prestigiosi incarichi amministrativi.
Questa volta è il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, a pensare a lui. Formigoni denuncia il rischio di infiltrazioni mafiose negli appalti per la realizzazione di opere e infrastrutture legate all'Expo 2015. E annuncia che presso la Regione Lombardia a settembre si insedierà un comitato per la legalità e la trasparenza che vigilerà sugli appalti delle Grandi Opere regionali. A farne parte - «a titolo gratuito», secondo gli annunci - è stato chiamato anche in questo caso il generale Mori. E insieme a lui il capitano Giuseppe De Donno, che ha lasciato l'arma e ora fa il consulente per alcune società che si occupano di sicurezza. Già al fianco di Mori nel Ros e al Sisde. Nonché quando Mori, secondo quanto dichiarato dallo stesso figlio dell’ex sindaco di Palermo (vedi l'articolo di Nicola Biondo su l'Unità del 31 luglio scorso), incontrava suo padre Vito Ciancimino per consegnargli le mappe della città di Palermo, poi attraverso una serie di intermediari recapitate a Provenzano, che le restituì - sempre secondo il racconto di Massimo Ciancimino - con indicazioni "utili" a catturare Riina.
L'arresto di Totò Riina avvenne davvero, dopo le stragi del '92. Ma per diciannove giorni la villa dove si nascondeva rimase incustodita. Ma per questa vicenda Mori fu assolto perché "il fatto non costituisce reato". Anche se non fu possibile "accertare la causale delle condotte degli imputati".
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